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 2024  febbraio 07 Mercoledì calendario

Intervista a Dominique Chenot

Dominique Chenot, imprenditrice, esperta di nutrizione, per 40 anni al fianco di suo marito Henri Chenot, l’inventore del detox, scomparso 4 anni fa. Come è stato lavorare insieme?«Io mi occupavo della parte estetica e supervisionavo la cucina. Ero anche responsabile delle relazioni con i clienti: Henri pensava a tutto il resto. È successo tutto in totale armonia. A casa non parlavamo mai di lavoro, se c’era da discuterne lo facevamo in ufficio. Mi sedevo davanti alla sua scrivania, come una collaboratrice».
Il primo incontro.
«Avevo 27 anni, lui 37. Ero divorziata. A Parigi mi occupavo di estetica e sono venuta a sapere che a Cannes c’era una nuova scuola di formazione, il metodo Chenot. Mi sono iscritta e durante uno stage ci hanno portati a Solda, in Alto Adige, il paese a quota 2000 metri dove Henri amava villeggiare e aveva iniziato a proporre i primi trattamenti. La gente di giorno sciava e dalle 17 alle 20 seguiva gli incontri sulla metodologia».

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L’allieva e il Maestro.
«Quando l’ho visto indossava un cappotto di lupo e fumava. Ho pensato: “ma chi è questo qui...”. Al termine di una conferenza mi ha preso sotto braccio: “domani l’aspetto per pranzo”. Ma il giorno dopo c’era il sole e io sono andata a passeggiare. Dopo tre giorni si è dichiarato: “Tu sei la donna che sarà al mio fianco per tutta la vita”».
Quindi è rimasta a Solda.
«Eravamo molto innamorati. Henri aveva già ottenuto un grande successo, ma non era abile ad amministrare, confondeva i soldi in tasca con quelli della società. Una sera mentre eravamo in discoteca ci chiamò il suo avvocato: “Henri, hai perso tutto”. Per reazione ordinò champagne per tutti».
Come siete ripartiti?
«Un amico lo mise in contatto con Ljuba Rizzoli: suo marito Andrea Rizzoli era diabetico, il rischio era che gli amputassero la gamba. Henri partì per Montecarlo e lo guarì con gli impacchi. Non volle essere pagato: Rizzoli per ringraziarlo lo mise in contatto con Willy Molco, il direttore di Oggi. Iniziò a scrivere una rubrica pagata benissimo. All’inizio la faceva lui, poi Henri mi disse: “scrivila tu”».
Arrivarono prima Villa Eden, poi il Palace a Merano.
«Ad un certo punto, con l’arrivo di personaggi sempre più importanti, Henri decise che dovevamo spostarci in un luogo meno isolato. Iniziai con due massaggiatrici e in poco tempo arrivai a 40: al Palace facevamo anche 200 ore di massaggi al giorno. Avevamo una autostrada davanti. Nessun marketing, solo un bouche à oreille, il passaparola tra i clienti».
Iniziarono ad arrivare le star: Luciano Pavarotti.
«Passava con noi almeno due mesi all’anno e si faceva raggiungere dagli amici di Modena per giocare a carte. Lo sentivamo cantare dal bagno La donna è mobile. Piaceva molto alle donne, Lady D disse che era l’uomo più sexy del mondo e ne andava fiero. Era vanitoso: si portava dietro un tappo di Lambrusco bruciato che si passava tra i capelli e sulle sopracciglia per scurirle. Infatti girava con dei cuscini neri per dormire».
Il primo incontro di Big Luciano con Chenot.
«Per fargli capire che tutto il cibo che ingeriva lo intossicava, prese un vaso di vetro e cominciò a buttarci dentro pollo, pane, prosciutto, pasta e bicchieri di Lambrusco. Il mix era disgustoso e Pavarotti lo guardava atterrito».
Stava a stecchetto?
«La cosa che gli costava più fatica fare era rinunciare al cibo. La mattina mi chiamava e mi diceva: “amore cosa mi fai da mangiare?”. Una volta ordinò un brodo di porri, noi capimmo “polli”. Gli arrivarono dei polli orribili, lessati, senza pelle, grigiolini. Sbottò: “Cristo!” Era il suo intercalare quando perdeva la pazienza, con il pugno sul tavolo».
Maradona.
«Il Palace si riempiva di giornalisti. Maradona era argentino, Henri catalano: si intendevano. Lo curava e per verificare che non avesse più problemi, lo nascondeva in macchina e lo portava a giocare con una squadra di gente del posto. Era gioioso: arrivava in sala da pranzo palleggiando con un’arancia».
Gianni Agnelli si faceva invece curare a domicilio.
«Henri partiva per Torino con un cuoco, una massaggiatrice e un medico. L’Avvocato aveva una venerazione per mio marito e amava guardare le partite con lui. Gli chiedeva consigli sui calciatori. Henri diceva: “perché chiedi a me, hai i consulenti migliori”. E lui: “perché hai visione”».
Un «raccomandato».
«Zinedine Zidane. Un mese dopo dall’ingaggio però l’Avvocato protestò: “mi hai dato un bidone”. Mio marito partì di nuovo per Torino e prese da parte Zidane. “Non mi passano la palla”, gli confessò. Gli fece da coach e lo rimise in piedi. Tre mesi dopo fu Henri a chiamare Agnelli: “Allora pensi sempre che ti ho dato un bidone?”».
Perché venivano da voi?
«Il punto di forza era Henri e la sua metodologia molto precisa. Non ha mai imparato l’inglese, io traducevo per lui, zoppicava anche con l’italiano: diceva ai pazienti “il detox fa bene alla menta”».
Lei è l’inventrice delle ricette raccolte nel libro «Detox a casa».
«Un giorno Henri mi diede una black list di ingredienti da non usare e chiese: “Fammi i menu”. All’epoca la cucina sana era triste e brutta da vedere, l’ho rivoluzionata».
È stata la padrona di casa con ospiti a volte capricciosi.
«Avevo una tecnica: quando avevo un ospite indomabile lo lasciavo sfogare fino alla fine. Al termine intervenivo: «ha ragione, però...”
Suo marito è scomparso 4 anni fa, anche se sembrava immortale.
«Era scherzoso, serio ma leggero. Non aveva dubbi, andava avanti come un carrarmato e siamo vissuti in simbiosi. Ma ho pensato a quello che diceva sui morti: “se vuoi che continuino la vita nell’universo, devi lasciarli andare”».
Adesso prosegue il suo metodo a Weggis, in Svizzera, e all’Espace Chenot dell’Albereta, a Erbusco.
«A Weggis siamo sul lago di Lucerna, in Franciacorta arrivammo io e Henri nel 2003. All’inizio era dura far capire il detox: pensavano che ci occupassimo di tossicodipendenti. Oggi si parla di epigenetica, Henri lo faceva anni fa».
Re e capi di Stato volevano dimagrire o restare giovani?
«Abbiamo avuto Silvio Berlusconi, Jaques Chirac, Carolina di Monaco e Ernst di Hannover. Venivano per fare un’esperienza».
Avete messo i potenti in accappatoio e ciabatte.
«Da noi si liberavano della divisa. Anche le principesse dovevano togliersi i gioielli».
C’è una frase che ripeteva spesso suo marito?
«“L’uomo è un essere spirituale che viene a fare una esperienza umana sulla Terra”. L’ho fatto scrivere anche sotto al busto dove riposa, a Merano, il luogo che amava».
In cosa si sente capitana?
«Sono nata in Algeria e la mia bisnonna è stata la prima algerina a prendere la patente e a guidare un movimento femminista. Siamo così di famiglia».
Progetti futuri?
«Ho quasi 72 anni e quando l’ho realizzato ho deciso che non permetterò a nessuno di rovinarmi i prossimi 10 anni. Saranno meravigliosi».