il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2024
La confessione di Vittorio Emanuele
Se all’epoca della “confessione” di Vittorio Emanuele, in cella, a Potenza, sulla morte del giovane Dirk Hamer ci fosse stata la norma bavaglio del governo Meloni – quella che vieta ai giornalisti di pubblicare in qualsiasi forma le ordinanze di custodia cautelare – né la sorella della vittima, né il resto della sua famiglia, né i cittadini interessati ai fatti, avrebbero mai saputo cosa successe realmente la notte tra il 17 e il 18 agosto 1978 al largo dell’isola di Cavallo, in Corsica, perché Vittorio Emanuele, quando si vantò con i detenuti a Potenza di aver preso per i fondelli i giudici di Parigi, era già stato assolto.
Ma andiamo con ordine per capire quanto questa storia sia emblematica per comprendere i danni della norma Costa sottoscritta e pure peggiorata dal governo Meloni dato che inciderà sul diritto dell’opinione pubblica – e in casi come questo dei familiari delle vittime – di conoscere i fatti anche quando non si può avere giustizia in tribunale. Era il 21 giugno 2006, Vittorio Emanuele si trovava nel carcere di Potenza per l’inchiesta del pm Henry John Woodcock denominata “Vallettopoli”, da cui verrà assolto. Il pm chiese e ottenne dall’allora gip Alberto Iannuzzi l’autorizzazione a intercettare il principe in cella. Durante le registrazioni si sentì Vittorio Emanuele parlare con altri detenuti della morte del ragazzo tedesco: “Anche se avevo torto… devo dire che li ho fregati (i giudici di Parigi, ndr). È davvero eccezionale: venti testimoni, e si sono affacciate tante di quelle personalità importanti. Ero sicuro di vincere. Io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era steso, passando attraverso la carlinga”. Vittorio Emanuele la notte tra il 17 e 18 agosto 1978 era in rada davanti all’isola di Cavallo. Stava dormendo ma gli schiamazzi di alcuni ragazzi lo svegliarono e vide che gli ospiti del “Coke” di Nicki Pende stavano per prendere il suo gommone per andare a riva. Ci fu una colluttazione mentre Vittorio Emanuele aveva già imbracciato una carabina. Partirono dei colpi e uno ferì il ragazzo tedesco che stava su un’altra barca. Morì nel dicembre 1978, dopo mesi di agonia. Nel 2006 la sorella di Dirk Hamer, Birgit, lesse quella intercettazione, pubblicata sui giornali perché trascritta nel provvedimento di rigetto, a firma di Iannuzzi, alla richiesta di revoca di una misura restrittiva. Hamer chiese al gip Iannuzzi di aprire il caso, ma ovviamente il giudice non poté fare nulla, dato che il principe era già stato assolto, e per di più in Francia, nel 1991. Fu condannato solo a 6 mesi, con condizionale, per porto d’arma abusivo.
Nel febbraio 2011 il Fatto pubblica un articolo a firma di Beatrice Borromeo, autrice del documentario ora su Netflix, in cui si racconta che c’è anche un video di Vittorio Emanuele mentre parla in carcere a Potenza. Il video, pubblicato dal Fatto.it, era stato trasmesso per competenza ai pm di Roma e consegnato su sua richiesta a Birgit Hamer. Smentisce quanto sostenuto da Vittorio Emanuele in conferenza stampa, nel 2006, dopo la pubblicazione dell’intercettazione: “Due tribunali francesi si sono pronunciati prosciogliendomi da ogni responsabilità. Lo hanno fatto perché ci sono prove chiare. La pallottola che ha colpito il ragazzo non poteva essere del mio fucile. Qualcuno ha sparato con una pistola a quel povero ragazzo, ecco la verità”. Ma nel video si sente il principe che dice non solo che la pallottola sparata da lui “ha preso la sua gamba” ma anche che si trattava di “pallottola trenta zero tre”. E dopo aver raccontato ai compagni di cella di aver “fregato” i giudici francesi si è messo pure a ridere. Quindi la pubblicazione sui giornali prima, e quella del video cinque anni dopo, sono stati fondamentali per sapere come morì un ragazzo. Sull’importanza della pubblicazione di atti giudiziari di rilievo c’è da registrare una sentenza della Cassazione del 2017 proprio in merito al diritto di pubblicare quanto detto da Vittorio Emanuele in carcere. I giudici, nel motivare l’assoluzione dell’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro e di un cronista imputati per diffamazione, scrivono che Vittorio Emanuele, anche se fu assolto dall’accusa di omicidio di Dirk Hamer, “non significa che sia esente da responsabilità sotto ogni altro profilo… il diritto all’oblio (che chiedeva il principe, ndr) si deve confrontare con il diritto della collettività a essere informata”. Parole sacrosante, che cozzano con diverse norme bavaglio pronte per essere approvate, come la norma Costa.