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 2024  febbraio 05 Lunedì calendario

La politica dei tassi e l’arte del banchiere centrale


Prosegue l’attendismo? In effetti si conferma, da parte della Bce, l’esigenza di un nuovo dato disponibile ad aprile per decidere sul taglio dei tassi ufficiali di riferimento che hanno impatti sul costo del denaro praticato dalle banche commerciali e sull’onere che il Tesoro affronta per la raccolta del risparmio con l’emissione dei suoi titoli. Finora si era parlato del contrasto dell’inflazione causata soprattutto dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei blocchi nelle catene della produzione. Ora, si prospetta, ad opera della Bce, il timore che un aumento dei salari nell’Eurozona che andasse ben oltre il 4/5 per cento secondo alcuni, potrebbe innescare, con l’aumento della domanda da parte di famiglie e imprese, una spirale prezzi-salari che nuocerebbe al percorso contrario dell’inflazione verso il 2 per cento che è il livello il quale consente di poter dire essere stata conseguita la stabilità dei prezzi, come prescrive il mandato per l’Istituto centrale conferitogli dal Trattato Ue. Di qui la verifica a primavera sull’andamento dei salari.
Anche al di là dell’Oceano non si è ancora deciso, da parte della Federal Reserve, un allentamento monetario. Ma le condizioni sono diverse. A fronte di un’inflazione negli Usa al 2,6 per cento con una crescita stimata al 2,1 per l’anno in corso, nell’Eurozona si registra un’inflazione al 2,8 – non lontanissima dal target indicato – e si prevede una crescita sotto l’1 per cento. A ciò si potrebbe aggiungere il fattore elezioni presidenziali in America che potrebbe incidere pure sulle scelte del presidente della Fed, Jerome Powell, a proposito del quale Donald Trump ha detto che, se sarà eletto, non lo confermerà nella carica. Mentre si valorizza, da parte dei Democratici, la “Bideconomics”, una riduzione dei tassi meno lontana di quanto lo sarebbe oggi dalle votazioni di novembre potrebbe rafforzare la posizione del Presidente in carica. Insomma, dati i rispettivi quadri, a muoversi per prima nell’allentamento dovrebbe essere la Bce, considerata, in particolare, la crescita asfittica che viene stimata. E, invece, si ripete il ritornello che si deciderà di volta in volta “in base ai dati”, i quali, però, riflettono il passato. Insomma, a Francoforte, si è abbandonata la “forward guidance”, che intende indirizzare d’anticipo l’orientamento sulle mosse della Banca centrale, ma si procrastinano le decisioni per la conoscenza, a seconda dei casi, di questa o quella variabile. Ora in ballo sono i salari. Non sfiora la mente di coloro che debbono decidere il rischio di incorrere in un errore uguale e contrario rispetto a quello commesso quando si è gravemente indugiato per oltre un anno sostenendo che l’aumento dell’inflazione era transitorio e non era il caso di contrastarlo, mentre tale non è poi risultato affatto e la tardiva restrizione monetaria è stata molto meno efficace di una tempestiva politica contraria che avrebbe inciso anche sulle aspettative. Oggi, l’attesa per il taglio dei tassi non fa i conti con la situazione dell’area ed elude un’azione propulsiva che influisca efficacemente sul costo del denaro ancor più sospingendo le banche a fare la propria parte come, entro determinati limiti, si sta iniziando a fare. Nè si può ovviare all’agire sperando che gli aumenti salariali vengano assorbiti dai profitti. Che un adeguamento dei trattamenti economici con il rinnovo dei contratti sia necessario non può essere messo in dubbio. Ciò pone anche il complesso tema della produttività, ma non solo di quella del lavoro, bensì quella totale dei fattori, problema particolarmente acuto in alcuni Paesi, fra i quali l’Italia.
Stando così le cose, non può essere sostenibile una manovra della moneta che di volta in volta attende l’evoluzione di questo o quel fattore della produzione per poi decidere pur avendo chiaro il quadro d’insieme e così passano in secondo piano la tempestività e l’efficacia di quella che dovrebbe essere l’"arte” del banchiere centrale. Se la politica economica e di finanza pubblica non può vanificare la politica monetaria o comunque andare contro corrente, è altrettanto vero che quest’ultima non dovrebbe aprioristicamente contrastare la prima o comunque fare astrazione da essa. Allora è sempre più necessario un raccordo tra politica monetaria, politica economica, a livello centrale e nei singoli Paesi, e politica dei redditi (fra i quali, appunto, i salari) per quel che oggi può ascriversi a quest’ultima nelle condizioni date. E tutto ciò nel rispetto delle reciproche autonomie. Ma si richiede una revisione vera della politica monetaria – non quella rapidamente compiuta tempo fa – e un coordinamento di tale funzione con quella della Vigilanza bancaria, nonché un radicale superamento dei gravi limiti che permangono in una comunicazione confusa, disorientante, spesso contraddittoria. Ora, comunque, esisterebbero le condizioni per evitare una lunga procrastinazione delle decisioni. Il Trattato stesso prevede che, mentre si raggiunge la stabilità monetaria, la Bce sostenga le politiche economiche. A Francoforte non vi è un novello Quinto Fabio Massimo che, temporeggiando ("cunctando"), salvò la Repubblica. Semmai si rischia che si finisca, non volendo, per imitare il Don Ferrante manzoniano indeciso su come considerare la peste, se sostanza o accidente, fino a quando purtroppo ne fu colpito ("absit iniuria").