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 2024  febbraio 05 Lunedì calendario

Intervista alla figlia di Francesco Cossiga, Anna Maria

Anna Maria Cossiga, qual è il primo ricordo di suo padre Francesco?
«Siamo bambini a Sassari, io e mio fratello Giuseppe, di due anni più piccolo, e babbo per divertirci ci fa la casette di carta. Lo rivedo chino a ritagliare il cartone, aprire le finestrelle, mettere il cellophane al posto dei vetri...».
Che papà era?
«Molto severo. Un po’ rigido. Non dovete pensare al picconatore, o al presidente emerito, giocoso e allegro. Da giovane era molto serio. Prima di andare al cinema controllava il giudizio di Famiglia Cristiana. Noi volevamo vedere American Graffiti...».
Cosa scrisse Famiglia Cristiana di American Graffiti?
«Disdicevole, ambiguo. Babbo ce lo proibì. Andammo lo stesso. Poi mi appassionai a Jesus Christ Superstar, lo vidi dieci volte di fila, finché babbo non me lo vietò».
Vi picchiava?
«Questo no. Ricordo una sculacciata a mio fratello e una sculacciata a me. Ero a casa di nonna Anna e facevo i capricci perché non volevo venire via con babbo...».
Altri giochi d’infanzia?
«Ci faceva disegnare le bandiere di tutti i Paesi, per prima quella del Regno Unito, così complicata, ma anche degli Stati africani. Poi ci insegnava gli inni nazionali, bofonchiando. Non l’ho mai sentito cantare in vita mia. Però adorava ascoltare l’inno della brigata Sassari. Muoveva le braccia come per dirigerlo ed era felicissimo».
Andavate al mare?
«Sì, anche d’inverno, a far volare sulla spiaggia di Platamona gli aquiloni che fabbricava mia madre. Babbo però non amava il mare, preferiva la montagna. Da bambini andavamo in vacanza in Alto Adige: San Candido, Dobbiaco, Brunico. Compravamo la piccozza e i pantaloni alla zuava, ricordo ancora l’odore del velluto, e partivamo verso le cime. Babbo ha sempre amato le terre di confine, quelle che chiamava le piccole patrie».
Perché?
«Forse gli ricordavano la Sardegna, un’isola dalla forte identità. Adorava l’Irlanda: da adulta lo accompagnavo in vacanza, a visitare castelli, a cenare nelle locande, ad ascoltare la musica nei pub. Cantavo per lui una canzone, Molly Malone... E poi la Catalogna e i Paesi baschi».
I Paesi baschi?
«Una volta a San Sebastian, in un bell’albergo con giardino, vennero a trovarlo tre personaggi barbuti. Babbo mi disse: “Figlia mia, vai un po’ a farti un giro...”. Pensai che potessero essere dell’Eta. Certo babbo avversava il terrorismo. Ma ammirava coloro che si battevano per l’indipendenza».
Parlava sardo?
«Poco. Non sardo; sassarese. Mamma invece parlava logudorese».
Amava la buona tavola?
«Mangiava un po’ di tutto, tranne i crostacei, ma il suo piatto preferito erano le uova con le patate fritte. Vino pochissimo; semmai, due dita di whisky».
Quando vi trasferiste a Roma?
«Nel 1968, quando divenne sottosegretario alla Difesa, per stargli vicino; prima da deputato tornava a Sassari ogni week-end. Andammo a stare tutti insieme alla Balduina, in una casa in affitto con un bel terrazzo. Babbo non amava comprare case».
Che rapporto aveva con Berlinguer?
«Una frequentazione tra politici, non tra parenti. Berlinguer non me l’ha mai presentato, con mio grande dispiacere. Forse pensava fosse pericoloso...».
Perché?
«Perché, dopo il partito sardo d’azione e il partito repubblicano, votavo comunista. Babbo mi chiamava la bolscevica, la miscredente».
Lei non aveva fede?
«No. Lui tantissima. Credeva fortemente in Dio, anche se non gli piaceva che il Vaticano si impicciasse con lo Stato».
Credeva anche nell’esistenza dell’aldilà?
«Ne era certissimo».
Il suo mentore era stato Giovanni Battista Montini.
«Sì. Ma poi aveva legato molto con Ratzinger, prima ancora che diventasse Papa. Quando fu eletto Wojtyla ci invitò a colazione, con tutta la famiglia. Lo ricordo gioviale, aperto, divertente. Mi chiese: “Quanti anni hai?”. Diciassette, Santità. “Ecco, adesso cominciano i guai”».
Lei quindi non ha mai votato Dc?
«No, sono sempre stata di sinistra, senza rimorsi; anche perché la prima volta votai solo per la Camera e babbo stava in Senato. Avevamo discussioni molto accese, molto libere. Una volta in un ristorante di Londra ci guardavano preoccupati, pensavano che stessimo bisticciando... Ma lui rispettava le mie idee. Anni dopo con un amico gallerista facemmo una mostra con le foto di tutte le scritte sui muri contro di lui: Kossiga con la kappa, Cossiga babbeo beccate ’sto corteo...».
Come reagì?
«Si divertì molto. Era severo su altre cose».
Quali?
«Mio fratello poteva andare in discoteca, io no: “Figlia mia, una brava ragazza in discoteca non ci va”. Quando feci il primo buco nelle orecchie si arrabbiò molto: “Figlia mia, cosa ti è venuto in mente, sembri una selvaggia!”. Quando feci il secondo ero già sposata, e lui disse a mio marito: “Adesso è un problema tuo”».
Era geloso dei suoi fidanzati?
«Sì. Difficilmente gli piacevano».
Con Andreotti com’era il rapporto?
«Un po’ freddo. Però quando mi stavo laureando, con una tesi sugli ebrei romani, babbo mi mandò da lui, dicendo che mi avrebbe indicato fonti e testimoni. Andreotti fu gentilissimo. Ogni tanto andavo a prendere il caffè con lui al Senato. Quando poi finì sotto processo, babbo lo difese a viso aperto. Era certo che le accuse fossero del tutto infondate».
A casa si parlava di politica?
«Molto. Anche di teologia. Di storia. E del conflitto israelo-palestinese».
Suo padre come la pensava?
«Babbo era sionista. Con Israele sino alla morte. Anch’io ero abbastanza filoisraeliana. Mio fratello invece era filopalestinese».
E del fascismo cosa diceva?
«Lo considerava il male assoluto. Veniva da una famiglia fortemente antifascista».
È vero che era massone?
«Suo nonno Francesco era massone: trentatré di rito scozzese. Lui no: troppo cattolico. Però andava orgoglioso del nonno».
Chi era Moro per Cossiga?
«Il maestro di politica. Aveva per lui grande ammirazione e grande affetto».
Con suo padre ho fatto molte interviste. L’unica che volle rileggere fu quella sul rapimento Moro. Mi disse che a un certo punto il governo l’aveva dato per perduto.
«È così. Proprio per questo babbo era umanamente disperato. Si decise di anteporre lo Stato. Lui era d’accordo, ma fu un colpo terribile. Subito gli venne questo ciuffo di capelli bianchi...».
Lei come apprese la notizia del sequestro?
«Avevo 17 anni, ero a scuola dalle suore irlandesi. La professoressa di latino e greco mi vide e disse: ma come, non sono ancora venuti a prenderti? Avevo la scorta, cambiavamo sempre strada per andare a scuola».
Come ricorda quei giorni?
«Babbo non c’era quasi mai. Ne parlammo poco. Quando giunse la notizia dell’assassinio ne soffrì enormemente. Ogni tanto ripeteva: “L’ho ucciso io”. E non nel sonno, com’è stato scritto. Da sveglio».
Si dimise da ministro dell’Interno, ma un anno dopo era presidente del Consiglio. Non aveva mai pensato a lasciare davvero la politica?
«No. La passione politica lo possedeva».
Aveva anche una grande passione per lo spionaggio.
«Sì, perché gli piaceva spiare. Lui stesso era un gran ficcanaso. Amava scoprire cose che altri non potevano sapere. Quando scoppiò la prima guerra del Golfo, babbo era già al Quirinale, io in America. Pensai di rientrare. All’aeroporto di New York notai quattro tizi che mi tenevano d’occhio, avevano le borse di un negozio dove gli italiani andavano a comprare gadget elettronici: erano palesemente uomini dei servizi segreti. Anni dopo ho scoperto che papà l’aveva battezzata “operazione Biancaneve”. La fanciulla tornava a casa».
Aveva continuato a seguire i suoi studi?
«Sono antropologa, ma iniziai l’università studiando storia delle religioni. Con un compagno stavamo ripetendo la parte sui popoli primitivi, in particolare gli zulu, che credono in un essere superiore chiamato Nkulu Nkulu. Babbo entrò in stanza: “Figlia mia, cosa sono queste porcherie?”. Era convinto della supremazia dell’Occidente. Io no».
Cosa accadde tra i suoi genitori?
«Si separarono. Mia madre non voleva diventare una persona pubblica. Quindi preferisco non parlare di questo».
Suo padre non ha più avuto altre donne?
«No».
Si parlò di un’infatuazione platonica per Federica Sciarelli, allora giornalista di punta del Tg3.
«Gliel’abbiamo chiesto pure noi figli! (Anna Maria ride). Ha negato nel modo più assoluto!».
Ci sarà stata qualche donna che lo affascinava.
«Margaret Thatcher. Con lei era galante, le mandava fiori, si scrivevano. Rimasero in contatto anche quando lei lasciò il governo. Certo, era una fascinazione politica: la lady di ferro. Stimava molto anche Kohl. Meno Mitterrand. Babbo non era filofrancese, preferiva gli anglosassoni. Era un amerikano con la kappa».
Al Quirinale all’inizio appariva silente. Poi cominciò a picconare.
«All’epoca abitavo a Londra. Lo chiamai: ba’, che succede? E lui: “Ho deciso di dire tutto quello che penso. E finalmente mi diverto”. A volte nella sua scrittura cuneiforme buttava giù note durissime; il prefetto Mosino e io tentavamo di ammorbidirle, ma lui le pubblicava tali e quali. Ogni tanto penso a cosa avrebbe combinato se avesse avuto i social...».
Quel che combina Trump.
«Trump non gli sarebbe piaciuto. Ma neppure Biden».
Cos’era scattato dentro di lui?
«Era caduto il Muro di Berlino. Una questione che babbo sentiva moltissimo, anche dal punto di vista simbolico: da giovane era stato in visita a Berlino Ovest, e aveva girato un lungo filmino del Muro. Intuì che con l’89 non sarebbe finita la storia, anzi, sarebbe crollato anche il sistema italiano. E propose una grande riforma, che aprisse la via dell’alternanza. Però i comunisti non capirono. Chiesero l’impeachment».
E lui si dimise.
«Ero a casa di amici, tutti attaccati alla tv, e io ero terribilmente a disagio. Ho sempre vissuto come un problema essere “la figlia di”. Poi babbo partì per il suo rifugio: l’Irlanda».
Scalfari, che era stato suo amico, schierò Repubblica contro di lui.
«Ci rimase malissimo perché Scalfari scriveva che prendeva il litio, lo faceva passare per matto».
Cosa prendeva, per davvero?
«Curava la depressione. Era bipolare. Lui stesso parlava dell’omino bianco – gioioso, allegro – e dell’omino nero, che vedeva tutto negativo. È una delle tante cose che ha passato anche a me, anche se in forma più leggera. Ma mi ha insegnato anche a non vergognarmi di avere un disagio psicologico».
Dopo il Quirinale tornò protagonista creando un partito e portando D’Alema al governo.
«Babbo si era innamorato di D’Alema. Considerava il suo capolavoro politico aver portato il primo ex comunista a Palazzo Chigi e avergli fatto combattere una guerra della Nato».
Com’era il rapporto tra loro?
«Affettuoso. Una volta lo incontrammo per strada e babbo mi presentò così: “Mia figlia vota Rifondazione”. E D’Alema: “Sia più moderata, voti per noi...”. A casa spesso venivano Minniti e Latorre. Quando Berlusconi disse che i comunisti mangiavano i bambini, babbo mandò a D’Alema un bambino di marzapane».
E Berlusconi?
«Babbo lo trovava irresistibilmente simpatico, ma non era il suo tipo di politico. Non l’ha mai votato. Mio fratello invece andò in Parlamento con Forza Italia».
Craxi?
«Quand’era potente non avevano un gran rapporto. Ma quando finì ad Hammamet babbo andò a trovarlo, e lo difese sempre».
Incontrava le persone più disparate.
«Aveva sempre la casa piena di gente. Una volta trovai in salotto Francesca Mambro e Giusva Fioravanti che prendevano il tè. Rimasi basita. Ma lui mi disse: “Figlia mia, per la strage di Bologna sono innocenti”. Un’altra volta trovai Adriana Faranda, la brigatista. Quella volta spiegò: “Figlia mia, lo Stato deve fare pace con i terroristi sconfitti”».
Poi si ammalò.
«Nell’ultimo anno vedeva solo nero. Era come se non avesse più voglia di vivere. Veniva un sacerdote, un grande amico ancora adesso, don Claudio Papa, a portargli la comunione. Cadde in coma, poi si svegliò, sembrava potesse riprendersi; invece ebbe una perforazione all’intestino, e se ne andò».
Quali furono le sue ultime parole?
«Non poté pronunciarle. Ma lasciò un testamento, con indicazioni dettagliate per il funerale: sulla bara dovevano esserci la bandiera sarda dei quattro mori e il tricolore italiano. Andammo a Sassari con un aereo militare. Dall’aeroporto alla città sfilammo tra due ali ininterrotte di folla».
I padri non se ne vanno mai del tutto.
«Certo che no. Babbo è sempre con me».