Corriere della Sera, 5 febbraio 2024
E Ben-Gvir, il ministro armato, invoca Trump
GERUSALEMME L’«agente» sotto copertura porta la barba e la parrucca finte, il cappellino di lana a mascherare ancora di più l’identità. Soprattutto ha lasciato a casa gli occhiali con la montatura di metallo, la giacca scura e la cravatta che indossa di solito. Ai poliziotti del commissariato di Jaffa si presenta come un cittadino che deve sporgere denuncia, straparla per 20 minuti, solo alla fine scolla il travestimento e rivela di essere il ministro per la Sicurezza nazionale. Non proprio il loro capo, di sicuro il capo del loro capo.
La mascherata di Itamar Ben-Gvir è piaciuta poco agli ufficiali: il suo è un ruolo di coordinamento, non sta a lui testare le capacità e la prontezza della polizia, come ha giustificato il portavoce del politico. I deputati all’opposizione bollano l’istrionismo ricordando lo show satirico Eretz Nehedereth (Un Paese meraviglioso) in cui il Ben-Gvir caricaturale salta esagitato di qua e di là, fa ballare il tip tap al Benjamin Netanyahu a colpi di pistola finta, quella vera la porta sempre con sé e gli piace tirarla fuori.
Ben-Gvir spara anche proclami, sa quando farlo, di solito al momento meno opportuno, se il tentativo è mettere in difficoltà il premier. Così nel giorno in cui Antony Blinken, il segretario di Stato americano, arriva in Medio Oriente, sul Wall Street Journal esce un’intervista che il ministro usa per lanciare messaggi al capo del governo: «È a un incrocio, deve decidere in quale direzione andare». Per i coloni radicali messianici, che Ben-Gvir rappresenta, tirare dritto nella guerra a Gaza fino alla ricostruzione degli insediamenti. L’opposto della strada indicata dal presidente Joe Biden al quale il ministro non riconosce il sostegno quasi incondizionato garantito a Israele dopo i massacri del 7 ottobre nel sud del Paese: «È occupato a fornire aiuti umanitari che finiscono ad Hamas. Se Trump fosse al comando, la condotta degli Stati Uniti sarebbe completamente diversa».
Netanyahu non lo critica faccia a faccia perché ne ha bisogno per restare al potere e si limita a commentare: «Ci sono quelli che per un applauso mettono a rischio gli interessi vitali della nazione». I palestinesi accusano il ministro di razzismo, in passato è stato condannato proprio per incitamento e sostegno a un’organizzazione terroristica ebraica.