il Giornale, 4 febbraio 2024
Cleopatra dal mito alla realtà (e ritorno)
«O h! Come darei volentieri tutte le donne della terra per la mummia di Cleopatra!», scriveva Flaubert. Le sue parole descrivono l’incanto e la fascinazione che il nome di Cleopatra ha continuato ad esercitare in ogni epoca della storia: il «serpente del Nilo»; la prostituta ubriaca e corrotta di Properzio; il fatale monstrum di Orazio, incarnazione del furore e della libido avvolta in un’esotica perversione che, però, ritrova una sua fierezza e una sua gloria nella morte; la «Cleopatràs lussuriosa» della Divina Commedia; la regina «esperta di tutte le arti del fascino», viziosa, depravata e «benedetta dai sacerdoti nella sua lussuria» che gode di ogni fasto e capriccio nell’Antonio e Cleopatra shakespeariano. Cleopatra è questo, e molto altro, perché, come scriveva Mario Praz, è uno dei personaggi «che più hanno usufruito della salvezza artistica». O forse, ancor più che della salvezza, della trasformazione o del passaggio della vita in arte, della storia in leggenda.
Nel suo Cleopatra: una donna (Einaudi, 23), però, Aldo Schiavone prova a ritornare alla Cleopatra storica o almeno a quello che Cleopatra potrebbe essere stata e fare a meno dei sinuosi languori sempre associati al suo nome: e racconta la giovane Cleopatra che, secondo Filostrato, studiava filosofia e letteratura con quella «voluttà» che la accompagnerà in tutta la sua vita; racconta, nelle pagine più affascinanti del libro, la storia tra Cleopatra e Cesare, che conduce la regina d’Egitto a Roma, «in qualità di amica e alleata del popolo romano», e la fa abitare nella sua sontuosa villa immersa nei lussureggianti giardini di Roma, gli Horti Caesaris. Racconta l’amore tra Cleopatra e Antonio, che appena la vede è colpito dalla
sua bellezza e della sua intelligenza, «ed è preso da lei come un ragazzino, sebbene avesse quarant’anni».
Antonio si immerge nell’amore per Cleopatra, e affonda. Dopo aver saputo del falso suicidio della regina, il triumviro, il comandante, l’immaginario trait d’union tra Roma e l’Oriente decide di morire: e la sua morte, almeno seguendo il racconto di Plutarco a cui si affida Schiavone, è, proprio come la sua vita, uno spettacolo che unisce tragedia e commedia. Si colpisce con la spada, ma non riesce ad uccidersi, e, coperto di sangue, viene legato a delle funi e a delle corde che la stessa Cleopatra, con l’aiuto di due ancelle, avrebbe issato.
Antonio beve una coppa di vino e muore tra le sue braccia, dopo averle raccomandato di avere cura di sé. La regina si dispera e si strappa le vesti, «insanguinandosi il viso con il suo sangue». Dopo pochi giorni, anche Cleopatra si sarebbe uccisa, offrendo il suo braccio denudato al morso dei serpenti. «Distesa, su un letto d’oro, ornata come una regina», muore come era vissuta.
La storia di Cleopatra non può non essere una leggenda. Perché Cleopatra era leggenda già da viva.