Corriere della Sera, 4 febbraio 2024
In morte di VE. Intervista ad Aldo Tortorella
Aldo Tortorella, classe 1926, giovanissimo partigiano col nome di Alessio, esponente del Pci di cui è stato anche presidente. La morte di Vittorio Emanuele di Savoia ci riporta al referendum istituzionale repubblica-monarchia del 1946. Lei è un testimone diretto di quei giorni. Dov’era?
«Lavoravo nella redazione genovese dell’Unità. Eravamo pochi, turni molto duri, il tempo di dormire e poi sempre al lavoro»
Che clima ricorda, in quei giorni, del referendum del 1946?
«A Genova e in tutto il Nord, nel teatro della lotta della Resistenza, la vittoria della Repubblica era stata subito chiara. Era, direi, una cosa scontata. C’era la condanna diffusa della monarchia come istituzione. E la stessa casa reale aveva dovuto accettare il compromesso di Salerno voluto da Togliatti nell’aprile 1944 con la luogotenenza affidata a Umberto, il figlio di Vittorio Emanuele III».
E che giudizio diffuso c’era su Umberto II, il re di maggio, dunque il padre di Vittorio Emanuele scomparso ieri mattina?
«Ricordo che il giudizio su di lui, soprattutto al Nord, non era certamente positivo. Non era popolarissimo: non si era distinto come una vera alternativa al padre, era apparso come un po’ come un’ombra durante il dominio fascista. Nulla che facesse pensare a una nuova pagina da girare, da scoprire»
Però al Sud la monarchia vinse con ampio margine. Fu il Nord a portare la vittoria alla Repubblica…
«Al Sud il clima era diverso. La Liberazione era stata rapida rispetto al Nord dove si combatteva. E la stessa fuga di Vittorio Emanuele III a Brindisi aveva dato l’idea che, magari tardivamente, c’era stata una presa di distanza dal fascismo. In realtà l’estremo gesto dell’arresto di Mussolini a villa Savoia il 25 aprile 1943 non aveva salvato vent’anni di convivenza tra fascismo e monarchia».
Il re di maggio non fu mai popolare,
non era visto come una valida alternativa
al padre
E suo figlio aveva una personalità
da irrespon- sabile
Lei è nato nel 1926. Infanzia e adolescenza nel pieno del fascismo…
«Ricordo bene che la narrazione fascista ufficiale comprendeva la monarchia, il re-imperatore: un apparato mai messo in discussione, anche se gli scontri ci furono. Ho vissuto l’inizio della mia vita con questa diarchia monarchia-regime. Per tornare al Sud e alla differenza di situazione politica, basti ricordare che negli stessi giorni in cui a Genova veniva fucilato lo stampatore clandestino de l’Unità, nel Meridione quel giornale era liberamente diffuso perché il Pci era al governo. L’episodio dello stampatore è molto vivo nella mia memoria perché ero a Genova nella seconda parte della Resistenza dopo essere fuggito dalla detenzione a Milano. Nella notte della Liberazione fui subito mandato alla redazione genovese de l’Unità»
La Repubblica vinse con 12.718.641 voti contro i 10.718.502 della monarchia. Lei crede ai famosi due milioni di voti repubblicani pronti nel cassetto del ministro dell’Interno, il socialista Giuseppe Romita?
«La ritengo sinceramente una leggenda. I monarchici non erano né sprovveduti né isolati, anzi. Erano influenti in quella Democrazia Cristiana che, nel referendum, aveva tenuto un atteggiamento cautissimo proprio per non allontanare parte dell’elettorato. Dunque molti monarchici operavano anche al ministero dell’Interno, accanto a Romita. Impossibile inventare voti. Ma, si sa, chi perde parla sempre di brogli: pensiamo a Trump che non ha mai riconosciuto la vittoria di Biden. In questo caso furono i monarchici a parlarne. Comunque, mai nessuno ha messo in campo argomenti o documenti che potessero far pensare a manovre poco corrette o addirittura a brogli».
Umberto poi lasciò l’Italia il 13 giugno, con un proclama di protesta. Pietro Nenni, vicepresidente del Consiglio, era stato chiaro: «O la Repubblica o il caos»
«Lasciare l’Italia fu un gesto responsabile. Umberto capì che non avrebbe potuto contrapporsi ai risultati del Nord, la parte più sviluppata del Paese. Sarebbe stata una colpa indelebile il creare un clima di contrapposizione. E avrebbe reso impossibile anche la minima e più remota, anche se inesistente, possibilità di rientrare. Alcuni monarchici lo accusarono di arrendevolezza. Ma fu la scelta migliore e più dignitosa».
Ora il figlio di Umberto, Vittorio Emanuele, è morto. Nel virtuale mondo dei «se», nell’universo parallelo di una vittoria monarchica, sarebbe stato Vittorio Emanuele IV re d’Italia…
«Non mi sembrerebbe nemmeno il caso di parlare di lui. Un protagonista di tante vicende giudiziarie a partire dalla sua giovinezza, direi una personalità da irresponsabile, credo che anche il giudizio degli ultimi monarchici non potesse essere favorevole. Il referendum del 1946 ci ha evitato anche questa iattura…».