Corriere della Sera, 4 febbraio 2024
In morte di VE. Su di lui il peso delle colpe dei padri (e delle proprie)
Si spegne in una sostanziale indifferenza il figlio dell’ultimo re d’Italia: triste testimonianza di un’assoluta incapacità personale d’interpretare non dico il ruolo di «pretendente» ma pure quello di erede di un passato familiare che aveva fatto la storia. In realtà fu proprio il peso di questo passato, unito alle vicissitudini di un’infanzia e di un’adolescenza vissute tra i dissapori familiari e il vuoto dell’esilio, a schiacciarne la troppo fragile personalità. Cavallo non fu certo un «incidente». Fu l’inconsulta esplosione di rabbia omicida di un giovane troppo debole e troppo viziato che solo un oscuro giro di amicizie riuscì a salvare dal meritato castigo. Ascoltarlo rievocare quelle vicende in un recente documentario televisivo suscita la penosa impressione di una mancanza di consapevolezza al limite della spudoratezza quale può avere un bambino.
Anche a Vittorio Emanuele, come del resto già a Umberto, mancò pure il modesto conforto di un legittimismo degno di questo nome, ornato di qualche nobiltà di cultura come quello di cui ad esempio godettero a lungo i Borbone di Francia. Sia a Cascais che a Ginevra, infatti, non credo che qualcuno si sia mai illuso su che cosa valessero e potessero rappresentare qui in Italia le gesta di Alfredo Covelli o del comandante Achille Lauro: una ben misera cosa destinata a non lasciare traccia. Sicché nel 2003 il ritorno in Italia lungi dall’essere la conclusione di qualche battaglia vinta, sia pure del tutto simbolica, fu solo la conferma di un’insignificanza.
Nella storia le colpe dei padri ricadono sui figli. Spesso anche sui figli dei figli: è ingiusto ma è così. E in un certo senso Vittorio Emanuele è stato l’ultimo a pagare la catena di tragici errori di suo nonno insieme alle insipienze di suo padre. Il tradimento dello Statuto e la supina accettazione del fascismo fino alla legislazione razzista e alla guerra a fianco della Germania da parte di Vittorio Emanuele III; all’indomani dell’8 settembre l’incapacità di Umberto di prendere un’iniziativa purchessia, di «fare qualcosa», ad esempio di raggiungere le bande partigiane monarchiche in Piemonte per combattere contro i tedeschi.
Di questo fardello, solo di questo pesantissimo fardello, delle sue conseguenze e di nient’altro l’uomo che ieri ha chiuso gli occhi fu in realtà l’erede: come meravigliarsi che ne sia rimasto schiacciato?