Corriere della Sera, 4 febbraio 2024
Venezi, una storia strepitosa
un «direttore», così si fa chiamare, contestato dai suoi orchestrali. Vicina a Fratelli d’Italia, consulente del ministro della Cultura. Beatrice Venezi, 33 anni, si spiega e difende: «Contro di me la sinistra fa solo squadrismo»
È domenica. Prendetevi cinque minuti. Abbiamo una storia strepitosa.
Vediamo di inquadrarla subito: siamo dalle parti di Fratelli d’Italia e lì c’è un direttore d’orchestra – che poi in realtà è una donna di 33 anni, si chiama Beatrice Venezi, abiti spesso lunghi, fiabeschi, e magnifici capelli biondi, l’avrete vista negli spot pubblicitari di Bioscalin, tutti dicono sia francamente bellissima, però questo non basta, perché lei fin dal Festival di Sanremo del 2021 capricciosamente pretende d’essere invece chiamata al maschile, appunto «direttore»: ma vabbé, fatti suoi – e insomma dicevamo che c’è questo maestro prima sospettato e adesso accusato di muovere la bacchetta un po’ a caso, sebbene con gesti ostentati, fastosi e marziali, in pratica gli stessi che Virginia Raffaele ha utilizzato per imitarlo, facendone una divertente caricatura nel suo show su Rai1 appena concluso, Colpo di Luna.
Se restiamo alle cronache recenti, sarebbe una faccenda per critici musicali. Un paio di settimane fa, l’edizione locale di Rep riferisce infatti che alcuni musicisti dell’Orchestra Sinfonica Siciliana sono insorti. «La Venezi ha solo complicato il nostro lavoro, molto più facile suonare senza la sua direzione – ha spiegato il flautista Claudio Sardisco —. I suoi movimenti non erano coerenti con l’esecuzione musicale». Tradotto: muove la bacchetta come capita. Il sovrintendente della fondazione (Foss), Andrea Peria, prende subito le distanze dagli orchestrali, ribadisce grande stima nel maestro, e venerdì, in una nuova esibizione al Politeama Garibaldi di Palermo, i musicisti hanno suonato zitti e buoni, anche perché tengono famiglia e sanno che la Venezi ha un’amica che si chiama Giorgia (proprio quella Giorgia lì).
Il racconto inizia così a trasudare politica. Tra retroscena (si sa che non è stata ammessa al biennio di specializzazione in direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano), perfidie (appena può esegue un brano che apriva i comizi di Giorgio Almirante, l’ Inno a Roma, musicato da Giacomo Puccini, lucchese come lei) e amare verità (a Nizza, al concerto dello scorso Capodanno, è stata contestata al grido: «Fuori i fascisti dall’Operà!». Lei ha replicato sui social avviando un cameratesco sondaggio tra i suoi follower: «Giusto così» o «Che teste di c...»?).
Il sito Dagospia la battezza «bacchetta nera» e del direttore Venezi si occupa anche Norman Lebrecht, graffiante esperto di musica internazionale. Che, sul suo blog Slipped disc, la descrive come in un malinconico blues: «È figlia di un politico neofascista... è consigliere del ministro della Cultura Sangiuliano... è amica personale della Meloni». Definitivo. Forse.
Lei, di solito, non replica. Solo larghi sorrisi. Ma, frugando nel web, si scovano alcune sue dichiarazioni, in cui la butta un po’ sulla discriminazione di genere: i comunisti ce l’hanno con me – è il succo – perché sono di destra e in più femmina, dentro un ambiente di lavoro maschilista (dimentica però che ad altre donne viene riconosciuta una bravura assoluta; tra le tante, me ne suggerisce un paio Valerio Cappelli del Corriere, principe dei critici: l’ucraina Oksana Lyniv, direttore musicale del Comunale di Bologna e frequentatrice di podi leggendari come il festival wagneriano di Bayreuth, e Speranza Scappucci, che si esibisce abitualmente nei principali teatri del mondo).
Bisogna assolutamente parlarci, con questa Venezi. Qualcuno ha il suo cellulare?
Un’ora dopo.
Al maestro ci si annuncia con un WhatsApp, e lui, cioè – scusate – lei, non risponde ma chiama, direttamente (attacca con tono gentile).
«Desidera?».
Solo qualche piccolo chiarimento: lei è accusata di essere di destra, nei teatri l’accolgono con fischi antifascisti e...
«Sì sì, lo so... Un governo di destra, eletto democraticamente, diventa in automatico fascista. È la vecchia filastrocca della sinistra...».
Volevo parlare di lei, non del governo.
«Beh, io mi riconosco nei valori di una certa identità nazionale, questo sì».
Dio, Patria, Famiglia.
«Certo! Dio, perché sono credente. Patria, perché ho l’orgoglio di appartenere a...».
Senta, anche questa però è diventata una filastrocca. Le chiedevo di spiegare le sue posizioni politiche.
«Mi ascolti: siccome non sono di sinistra, io sono vittima di shitstorm. In nome di una presunta superiorità morale, subisco ripicche di stampo mafioso, un vero e proprio squadrismo...» (agitata).
La prego, si calmi. E parliamo del suo rapporto con Fratelli d’Italia. È sempre sui loro palchi.
«Si riferisce ad Atreju? O al concerto che ho diretto il Primo maggio del 2022 alla loro conferenza programmatica? Era un’occasione alternativa alla piazza di San Giovanni, dove c’è sempre un certo tipo di cultura. Io invece mi batto affinché si possa lavorare indipendentemente dalla tessera politica e...».
Solo che poi lei è scesa da quel palco e il ministro Sangiuliano l’ha nominata sua consulente.
«Quindi? Io non ho mica la tessera! Uff... Senta: è dall’inizio del nostro colloquio che insinua. Perciò ora le do subito il mio indirizzo email e, prima di pubblicare il suo articolo, me lo manda e me lo fa rileggere!».
Escluso. Non le faccio rileggere proprio un bel niente, maestro.
«Ma come si permette? Allora io la diffido dallo scrivere una sola riga su di me!».
Guardi: in questo Paese, per adesso, i giornalisti sono ancora liberi di scrivere quello che ritengono opportuno.
«Va bene. Almeno scriva fedelmente ciò che le ho detto!» (qui è proprio alterata).
Posso farle un altro paio di domande?
«No!».
Peccato. Le avrei chiesto del padre, Gabriele Venezi, che nel 2007 si candidò a sindaco di Lucca per Forza Nuova, pericolosa organizzazione neofascista. Ma soprattutto della sua sfrenata corsa ai palchi (conquistata la corona di Taormina Arte, briga per sistemarsi alla guida della Biennale Musica di Venezia e del San Carlo di Napoli, pure se il suo sogno rimane, come spifferano al ministero, la Scala di Milano).
Però lo dice anche lei nella pubblicità di Bioscalin: «Nel nostro percorso, qualche imprevisto può capitare...».