Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  febbraio 04 Domenica calendario

Un libro sulle perle

Oggi è meta prediletta dei surfisti, che sulle onde forse non immaginano come un tempo la ricchezza di quell’arcipelago derivasse soprattutto da cosa c’era sott’acqua. La Isla de Santa Margarita, nel Golfo di Panama, era infatti un cruciale hub di produzione delle perle per l’impero spagnolo, e fu proprio lì che nel 1513 uno degli schiavi costretti a immergersi fra mante e squali trovò l’ostrica che conteneva una delle perle più spettacolari della storia: lo schiavo meritò la libertà e La Peregrina, con i suoi 50 carati, fu spedita alla corte degli Asburgo. La sua storia continuerà fino a Hollywood, come vedremo.
Portate sulla terra come Venere nella conchiglia, il fascino delle perle, uniche gemme di origine animale, ha attraversato indenne i millenni. Indossate da imperatori, nobili, pirati, artisti, bambini, il loro filo lucente avvolge il pianeta, dal Giappone, dove nel Novecento Kokichi Mikimoto fonderà il primo sistema di produzione industriale, al Venezuela, dove i resti della febbre delle perle d’inizio Cinquecento anticipano quelli delle miniere d’oro del Klondike. Non a caso, dunque, il libro di Maria Giuseppina Muzzarelli, Luca Molà e Giorgio Riello si chiama Tutte le perle del mondo, un percorso che, come il suo soggetto di analisi, attraversa il tempo (concentrandosi soprattutto fra il XIII e il XVIII secolo) e i continenti, con il suo carico di notizie e curiosità. Il nome stesso delle perle ha origini bizzarre: se fino al Duecento le si definiva in greco, «margarites», sinonimo di purezza, diventano poi «pernula» («prosciuttini»), forse in virtù della forma allungata delle ostriche perlifere. Tuttavia, un’eco delle più leggiadre origini resiste nei versi di Dante, che riprende il Vangelo di Matteo «non si deono le margarite gittare innanzi a li porci», come nelle vetrerie muranesi dove il «margaritaio» trasforma in perline i tubetti di vetro o di smalto.
Come emblema di purezza sono state protagoniste del corredo delle spose, simbolo di castità e poi di maternità, di cui si fanno anche auspicio. Poco felice, però, fu la perla scaramazza (cioè malfatta) fatta trasformare in neonato e donata ad Anna de’ Medici dal marito, in attesa di un erede che però non sarebbe mai arrivato. Oggi quella miniatura giace in una teca di Palazzo Pitti e la sua storia avvalora la superstizione per cui le perle regalate porterebbero lacrime. L’abitudine di donarle però resiste, anzi, oggi si può estendere senza timori anche agli uomini, ricordando sir Walter Raleigh, beniamino di Elisabetta I (altra grande fan delle perle) che diede il via al filone dell’orecchino dei navigatori. Star contemporanee come Timothée Chalamet e Harry Styles sfoggiano collier a petto nudo o sotto la camicia bon ton. Decisamente più estremo George Villiers, I duca di Buckingham, ritratto con tanti giri di perle che avrebbero fatto impallidire Franca Florio e il suo collier da 395 perle immortalato da Giovanni Boldini. Le perle qui lasciano i canali della misurata borghesia per abbracciare gli eccessi delle star: ricordate La Peregrina? Richard Burton la comprò per l’amata Elizabeth Taylor, che la fece montare su una collana di Cartier. Un giorno la diva andò nel panico, temendo di averla persa, per ritrovarla intatta in bocca a uno dei suoi pechinesi. Coco Chanel non si stancava mai dei suoi infiniti fili di perle, non importava se autentiche o bijoux.
Un contributo al mercato dei falsi, che a Milano ebbe la sua antica capitale, lo diede anche da Leonardo da Vinci, autore di una ricetta per fare grosse perle a partire da una pasta di microperline sminuzzate e albume d’uovo. Solo le sfere più grandi potevano ambire a diventare gioielli da re: nei mosaici di Ravenna, Teodora e Giustiniano ne indossano di enormi, come amava fare la regina Margherita di Savoia, consapevole dell’etimologia del suo nome. Le perle non sono però eterne come i diamanti: si opacizzano, si logorano. Nel caso, si possono usare come medicamento, magari sciolte nell’aceto, pestate nello zucchero o unite a corna di cervo secondo misteriose ricette medievali. D’altronde anche a Lorenzo il Magnifico in punto di morte fu somministrata una pozione a base di perle. In vita o in morte – visto che le perle sono l’unico gioiello ammesso nel lutto – non ci sazieremo mai della loro lunare ambiguità, certificata da Oscar Wilde come capace di rendere ognuno allo stesso tempo «così ovvio, così buono e così intellettuale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Maria Giuseppina Muzzarelli, Luca Molà, Giorgio Riello
Tutte le perle del mondo.
Storie di viaggi, scambi