Domenicale, 4 febbraio 2024
Il vero padre di Alessandro Manzoni
A celebrazioni manzoniane 2023 concluse, merita ripescare una sorprendente scoperta fatta venticinque anni fa da un fortunato bibliofilo, Piero Campolunghi: la lettera del 16 gennaio 1808 di Giuseppe Gorani – brillante figura di avventuriero, scrittore e diplomatico – all’amico Giovanni Verri nella quale gli attribuisce apertamente come un dato di fatto ben noto la paternità di Alessandro. La lettera è rimasta sepolta da allora 117 anni tra le innumerevoli carte dell’Archivio Sormani Andreani Verri fino al 1925, quando la trova lo storico Alessandro Giulini che ne pubblica con esagerata cautela due stralci sul settimanale fiorentino «Il Marzocco». Poi dal 1929 si inabissa tra le carte di Alessandro Casati donate dagli eredi nel 1965 alla Biblioteca Ambrosiana e solo nel 1998 riaffiora.
Campolunghi, medico e cultore dilettante di ricerche storiche, era da tempo sulle tracce della lettera. La sua tenacia a frugare tra i documenti degli archivi e delle biblioteche milanesi alla fine è stata premiata: era in una cartella di quattro lettere intestata a Giuseppe Gorini (scrittore teatrale lombardo del primo Settecento) conservata all’Ambrosiana. Giuseppe Gorani, Giuseppe Gorini, stesso nome una sola lettera diversa bastano a giustificare l’errato inserimento? O vi è una più malevola spiegazione all’insegna del voluto occultamento? Fatto sta che la lettera ampiamente commentata viene pubblicata negli «Annali manzoniani» 1998 del Centro nazionale di studi manzoniani. Nello stesso anno diviene il pezzo forte di un più corposo saggio di Campolunghi: Romanzo e realtà nelle vere paternità di Giulia Beccaria e di suo figlio Alessandro Manzoni (Verri), stampato con l’indicazione di Autore Editore. Il volume, non scevro da ingenuità editoriali e oggi di difficile reperimento, ha il merito di riprodurre visivamente e testualmente il manoscritto originale arricchito di una accurata documentazione. Poi da allora cala il silenzio.
Viene immediato l’accostamento con il destino del volume Manzoni, che racconta la quasi coeva scoperta fatta due anni prima da Pier Carlo Masini – storico autorevole e raffinato ricercatore di rarità bibliografiche – anch’essa finita nell’oblio dopo il momentaneo interesse mediatico. La Domenica ne ha già scritto recentemente in occasione della ripubblicazione (Edizioni NovaCharta), ma non guasta ritornare sul manoscritto apocrifo attribuito ai fratelli Giulio e Innocenzo Ratti e contenente la notizia che Giulia Beccaria, madre di Alessandro, era nata da una relazione tra Pietro Verri – il celebre illuminista e il maggiore dei quattro fratelli – e la giovane Teresa Blasco, fresca sposa di Cesare Beccaria. Masini, da studioso navigato, aveva smascherato l’autore del falso (Nino Bazzetta de Vemenia, un erede della famiglia Ratti), ma soprattutto nel suo volume si era dedicato alla ricerca puntigliosa di tutti gli indizi a conferma della clamorosa ipotesi che «Alessandro Manzoni Beccaria non sarebbe né un Manzoni né un Beccaria, ma un Verri per parte di padre e di madre, frutto di un rischioso rapporto tra consanguinei».
Ebbene, è come se una lunga silenziosa congiura avesse operato per non squarciare il velo di ipocrisia che avvolge la genealogia del grande scrittore cattolico, nato da una relazione adulterina. Vale per la paternità di Alessandro, immaginarsi per quella di Giulia Beccaria in un contesto ancora più scivoloso. Ben vengano allora, a conclusione del centocinquantenario della morte e a undici anni dal duecentocinquantenario della nascita, biografie capaci di indagare senza reticenze il lato oscuro della famiglia Manzoni e a illuminare aspetti non secondari della psicologia e dell’opera del suo principale esponente.
Ancora una precisazione. Le voci o la certezza della paternità attribuita a Giovanni Verri erano note in ambienti milanesi molto ristretti fin dalla fine del Settecento. Le avevano raccolte nel secolo successivo in ordine Giuseppe Gorani, Pietro Custodi e Niccolò Tommaseo, ma solo nel primo Novecento i tre autori ormai defunti le trovano stampate in edizioni curatoriali sempre molto prudenti. La lettera autografa riscoperta costituisce invece un’autentica novità, sia per la fonte di prima mano, sia per l’occasione in cui viene scritta, poche settimane prima del matrimonio tra Alessandro ed Enrichetta Blondel, allora di religione protestante. Qui sono riprodotte le poche righe decisive, vale però la pena riportare per esteso il passaggio centrale: «Dona Giulia Manzoni colloca il di lei figlio e vostro e gli dà in moglie una figlia di quel Blondel di Vevay il quale si è arricchito nel nostro paese tenendo delle possessioni in affitto e negoziando in sete e grani. Questa figlia si dice assai bella e non ha che sedici anni. È stata educata in Ginevra. Immaginatevi ora cosa diranno le nostre dame milanesi quando sapranno che un cavagliere ricco sposa la figlia d’un mercante e fittabile e quel che è peggio ancora per esse, una eretica?».
Una nota romantica a latere serve a capire l’intensità del rapporto amoroso tra Giulia Beccaria e Giovanni Verri, personaggio rimasto sempre in ombra e rivalutato da Masini. Andrea Appiani, l’emergente pittore per eccellenza del neoclassicismo italiano, esegue nei primi anni Novanta del Settecento due ritratti di Giulia Beccaria. In uno è “a figura intera sedente”, mentre nell’altro in posa severa è “con il figlio Alessandro a sei anni” (il ricordo dello scrittore è che per farlo stare tranquillo nelle sedute di posa gli mettevano davanti come premio un’arancia). Giulia, che a breve inizierà la relazione della vita con Carlo Imbonati, lo invierà al vecchio amante, convinto libertino, che lo conserverà fino alla fine dei suoi giorni, per poi restituirglielo come disposizione testamentaria tramite un amico insieme al loro carteggio amoroso, prontamente distrutto. Ora il quadro si trova a Villa Manzoni di Brusuglio.
Ma le scoperte biografiche e bibliografiche non devono restare appannaggio di accademici e eruditi. Devono invece entrare nel circolo virtuoso dell’informazione e della cultura, anche e soprattutto scolastica. Una giovane ricercatrice, Alice Maggiolini, sta facendo un censimento su come la paternità di Manzoni è affrontata oggi nei libri di testo delle scuole superiori e dell’università. In attesa di leggere i risultati definitivi in un prossimo articolo della rivista «Charta», ecco lo stato delle cose su un primo campione. Di tredici testi esaminati solo tre accettano la paternità di Giovanni Verri, «come hanno confermato recenti documenti d’archivio». Ben quattro nemmeno prendono in esame l’ipotesi e glissano tranquillamente. Infine, sei hanno posizioni possibiliste: «si ritiene che…», «si sospettò non senza fondamento…», «in molti indicano…», «presto si diffuse la voce che…», «con ogni probabilità…», «sembra che…». Cari autori, cari editori, è decisamente tempo che i manuali di letteratura italiana si aggiornino.