La Stampa, 3 febbraio 2024
Intervista a David Petraeus
new york
«È necessario un piano non solo per amministrare Gaza dopo la fine di Hamas ma anche per impedirne la ricostituzione, al fine di evitare il replicarsi di fenomeni come l’Isis che ha fatto risorgere il terrorismo dopo l’era Al Qaeda». A parlare è il generale David H. Petraeus, veterano di guerra e già direttore della Cia, oggi presidente del Kkr Global Institute e coautore di Conflict: The Evolution of Warfare from 1945 to Ukraine, pubblicato da Harper.
La milizia filoiraniana Nujaba, che rientra nella sigla della Resistenza islamica in Iraq, autrice dell’azione in Giordania costata la vita a tre militari americani, intende proseguire gli attacchi contro gli Usa. La guerra regionale è ormai alle porte?
«C’è un allargamento progressivo della crisi ed esiste la possibilità che il conflitto si espanda in tutte le aree del Medio Oriente, dove sono attive le milizie sostenute dall’Iran, come Hezbollah nel Libano meridionale, sebbene la formazione sembri limitare le operazioni. Fermento particolare si registra invece in Iraq che l’Iran vuole “libanizzare”. C’è poi la Siria di Bashar al Assad, un’estensione territoriale iraniana in termini di attività militari e di intelligence portate avanti dalla Repubblica islamica, e lo Yemen da dove gli Houthi hanno creato una semiparalisi della navigazione commerciale nel Mar Rosso. Penso che la coalizione guidata dagli Stati Uniti abbia piani chiari per rispondere alle crescenti minacce in questi focolai».
Qual è la reale efficacia di neutralizzazione di Hamas attraverso l’offensiva militare e i possibili effetti di secondo e terzo ordine a seguito dell’operazione?
«Israele ha compiuto progressi significativi contro Hamas, eliminando i suoi miliziani dalla maggior parte del Nord di Gaza e anche in altre aree. Deve tuttavia stare molto attento a non adottare tattiche che agevolino l’emergere di una nuova generazione di reclute di Hamas. Saranno necessari lunghi mesi di duri combattimenti per bonificare prima, mantenere il controllo poi, e ricostruire infine la parte centrale e meridionale della Striscia. Aree verso le quali un numero significativo di civili si trova ora così come i leader di Hamas e molti dei suoi combattenti».
Lei è considerato il dominus del contrasto alle insurrezioni, col suo manuale FM 3-24 Counterinsurgency, grazie al quale l’Iraq nel 2008-2009 si è stabilizzato, dopo la giungla del biennio precedente. È possibile applicare tale dottrina a Gaza?
«La dottrina può avere un ruolo rilevante anche in questo caso, la distruzione del braccio militare di Hamas e lo smantellamento dell’ala politica richiedono che Israele sgomberi e mantenga (e ricostruisca) tutta Gaza – e che Israele inizi il ripristino dei servizi di base e inizi la ricostruzione nelle aree che ha sgomberato. Richiede inoltre che i civili possano far ritorno nei luoghi dove vivevano ma tenuti separati dagli estremisti. FM 3-24 ci ricorda anche che è necessario una visione per la fase post-bellica, che “cuori e menti” contano, e che saranno necessari piani non solo per amministrare Gaza dopo che Hamas sarà stata distrutta, ma anche per impedirne la ricostituzione, ed evitare che accadano fenomeni come l’Isis che ha fatto risorgere il terrorismo negli anni successivi alla partenza delle ultime forze Usa dall’Iraq alla fine del 2011 dove avevano combattuto contro Al Qaeda».
Cambiando teatro bellico, le spallate dei russi delle ultime settimane hanno finalità politiche in vista del voto di marzo oppure si tratta di un passo avanti sul campo verso un negoziato forte da parte di Mosca?
«Non vedo alcuna indicazione che Vladimir Putin sia interessato ai negoziati, se non quello di indurre in errore, ingannare, disinformare e destabilizzare i sostenitori di Kiev in Occidente. Putin continua a negare all’Ucraina il diritto di esistere, il suo obiettivo è sottometterla. E credo che non voglia fermarsi, raggiunto l’obiettivo a finire nel mirino potrebbero essere Moldavia e Lituania».
Che cosa devono fare Ucraina e alleati occidentali alla fine dell’inverno per evitare un passo falso come l’offensiva dell’estate scorsa?
«Gli alleati occidentali dovrebbero fornire tutta l’assistenza possibile già da ora, non solo alla fine dell’inverno, per consentire all’Ucraina di fermare i progressi incrementali che la Russia ha ottenuto a costi enormi, respingere le truppe di Mosca, rompere la catena di rifornimenti tra Crimea e terraferma, e liberare i territori occupati. L’Occidente deve anche inasprire le sanzioni finanziarie, economiche e personali a carichi di soggetti ed entità russe, serrare i controlli sulle esportazioni e perseguire in modo più efficace coloro che li eludono. C’è infine una misura fondamentale, trasferire all’Ucraina i 250-300 miliardi di dollari di riserve estere russe attualmente congelati nei Paesi occidentali per aiutare Kiev a portare avanti la ricostruzione»