la Repubblica, 2 febbraio 2024
“Elena Ferrante? In Spagna siamo noi”
Una ragazza scomparsa la notte del suo addio al nubilato e uccisa con indicibile sadismo. Un caso complicato perché il modus operandi è identico a quello di un delitto avvenuto sette anni prima. Una ispettrice di polizia, che trascorre le notti bevendo, facendo sesso occasionale e cantando al karaoke, ossessionata da un trauma che ha sconvolto la sua vita. Ecco, in sintesi,La sposa gitana di Carmen Mola, primo libro di una serie thriller che in Spagna è stata un caso editoriale perché nessuno sapeva chi fosse l’autrice. La versione ufficiale era quella di una professoressa universitaria che desiderava mantenere l’anonimato. E che evidentemente si divertiva con il lato più nero dell’animo umano, maneggiando le regole del genere con tale abilità da riuscire a rispettarle e sovvertirle nello stesso momento. Si scatenò una caccia alla scrittrice simile per intensità e polemiche a quella per Elena Ferrante, fino a quando non fu lei a gettare la maschera. Nel 2021 vinse il Premio Planeta con il thriller storico La bestia e sul palco, a ritirare l’assegno da un milione di euro, non salì una donna bensì tre uomini: gli sceneggiatori Jorge Díaz, Antonio Mercero e Agustín Martínez. Ci fu un momento di sconcerto e subito dopo violentissime polemiche: oltre all’uso di uno pseudonimo femminile, i tre autori per anni avevano risposto alle interviste fingendosi una donna. Chi aveva consigliato di leggere i loro libri per comprendere le esperienze delle donne nell’ambito della lotta per l’emancipazione, li liquidò come truffatori. Sono passati neanche tre anni, ma Carmen Mola ha continuato a scrivere e con notevole successo, come dimostra la scelta di Salani di pubblicare anche il libro con cui tutto ebbe inizio. Díaz, Mercero e Martínez sono su Teams proprio per parlarne.
Come nasce “La sposa gitana”?
Jorge Díaz «È stato un esperimento letterario, volevamo scrivere un libro così come si lavora alla sceneggiatura di una serie televisiva, in squadra.
Sappiamo per esperienza che ildibattito contribuisce a migliorare in modo significativo un’idea originale.
Prima abbiamo scelto il genere, un thriller agile con un inizio un po’ scabroso. Poi abbiamo discusso i personaggi e abbiamo deciso di avere come protagonista un’ispettrice. Nel 2017 non c’erano molte detective donne: in Spagna avevamo Petra Delicado di Alicia Giménez Bartlett, Amaia Salazar di Dolores Redondo e poche altre, di solito nella novela negrai fili dell’indagine sono tirati da uomini di una cinquantina d’anni che bevono, guidano vecchie auto americane, hanno amanti più giovani, un passato doloroso e qualche strana fissazione. La nostra Elena Blanco è così, a parte il fatto che è donna, beve grappa al posto del whisky e preferisce le macchine russe».
E passa le notti a cantare Mina…
AntonioMercero «Giocavamo con i cliché, ma il genere non poteva essere l’unico elemento di originalità. Per darle una dimensione più completa abbiamo lavorato sulla ferita del suo passato, un trauma fortissimo, la perdita di un figlio che attraversa il romanzo e solo alla fine si delinea con modalità sorprendenti. E poi per darle un po’ di sapore abbiamo giocato con i dettagli».
Agustín Martínez «Ci siamo immaginati che Elena da ragazzinasognasse di fare la cantante e di partecipare al Festival di Sanremo.
Non lo abbiamo scritto perché non tutto quello che sappiamo entra nel romanzo, ma è importante nel processo di creazione per dare coerenza a un personaggio e alla sua evoluzione. Da questo vecchio sogno, ad esempio, dipendono la mania delkaraoke e la passione per un distillato tipicamente italiano».
Jorge Díaz «Mina poi… Lei è un’artista che ha scelto di sparire. Da quarant’anni è solo una voce, anche se straordinaria. Lei è un mito invisibile. Se guardiamo tutto questo a posteriori mi sembra che ci siano delle affinità con Carmen Mola».
Per anni è sembrato che ce ne fossero con Elena Ferrante. Il vostro editore italiano, in quarta di copertina, ricorda che Carmen Mola è stata chiamata “la Elena Ferrante di Spagna”. Perché usare uno pseudonimo e, per di più, femminile?
Agustín Martínez «Tre nomi in copertina sono strani, i lettori potevano spaventarsi pensando che fosse solo un esperimento, non un vero romanzo. Ci sono molti esempi di libri a quattro mani, ma pochi di scrittura collettiva. Così ci siamo inventati uno pseudonimo. Per qualche minuto ci siamo rimpallati dei nomi a caso, sia maschili che femminili. Doveva essere credibile, facile da ricordare. Carmen, c’è nome spagnolo più classico? E più facile da utilizzare anche in altre lingue? Poi uno di noi ha detto Mola, usando il verbomolar (che si può tradurre come piace, qualcosa di gergale tipo Carmenspacca!, ndr ).Ci siamonascosti dietro questa invenzione pensandoche fosse un buon modo per fare parlare solo il romanzo.
Viviamo in un’epoca in cui sembra quasi più importante chi ha scritto un libro rispetto a cosa c’è in quel libro e noi volevamo riaffermare il valore delle storie».
Il risultato è stato che si è parlato quasi di più di Carmen Mola che di quello che aveva scritto.
Jorge Díaz «Già, tutti a fare ipotesi, alcune demenziali. Si è arrivati a dire che fosse la sindaca di Madrid oppure Letizia Ortis, la regina consorte.
All’inizio era divertente perché ci capitava di partecipare a festival dove si parlava di Carmen Mola e ascoltavamo le ipotesi dei colleghi, a chi piaceva e a chi no, ma stava diventando complicato e poi forse anche la vanità stava bussando alla nostra porta».
AntonioMercero «Ci stavamo perdendo un sacco di cose: viaggi, presentazioni, interviste, firmacopie… Quando siamo andati alla premiazione del Planeta eravamo consapevoli che, in caso di vittoria, avremmo dovuto svelare la nostra vera identità. Ma anche se non fosse successo, avremmo trovato il modo per gettare la maschera».
Avete ritirato il premio più ricco del mondo, un milione di euro, ma avete attirato anche una valanga di critiche.
Agustín Martínez «Le polemiche sono durate una settimana. Era un momento di lotta femminista e capiamo bene che ci siano state persone che si sono sentite offese, ma poi è stato chiaro che il nostro non era un tentativo di approfittarne. Per un po’ è rimasto lo stupore, poi i lettori si sono abituati, noi abbiamo continuato a scrivere romanzi e adesso La sposa gitanatorna in Italia. Credo che ormai chi sia Carmen Mola non abbia più importanza».
Esperimento riuscito?
AntonioMercero «Abbiamo avuto ragione: vincono le storie. Un po’ come con i gruppi di rock and roll: sappiamo tutti che dietro un nome ci sono più musicisti, ma non ci interessa. Conta quello che mettono nei loro dischi».