la Repubblica, 2 febbraio 2024
Intervista a Fabrizio Maiello, l’uomo che tentò di rapire Zola
CAGLIARI – «Di vite ne ho vissute almeno tre, la mia esistenza è passata per un pallone e se ora sono un uomo diverso, è perché un giorno, in un autogrill, ho incrociato gli occhi buoni di Gianfranco Zola, che stavo seguendo perché volevo rapirlo». Per conoscere Fabrizio Maiello bisogna partire dalla fine, dall’incontro qualche settimana fa a Cagliari con il campione di Oliena, fortemente voluto da entrambi quasi a voler mettere al giusto posto i pezzi di un puzzle. «Per molto tempo ho vissuto per il pallone e anche ora, a 61 anni, quando vado nelle scuole per raccontare ai ragazzi la mia storia, arrivo palleggiando». Cresciuto in Brianza, a Cesano Maderno, da genitori napoletani, nella sua vita da subito c’è solo il calcio. «Ho iniziato piccolissimo, e dall’oratorio sono arrivato alle giovanili del Monza».
Fabrizio è un talento del calcio, del resto non gli importa: «A scuola ero scarso, ma non ci pensavo. Intorno a me succedeva di tutto, la provincia di Milano alla fine degli anni ’70, non era tranquilla, è il periododella banda dei Vallanzasca, di Turatello, dei catanesi. L’eroina scorreva in grandi quantità anche nel mio quartiere. Amici del mio palazzo, compagni di scuola, erano già finiti più volte in carcere per piccoli scippi e rapine. Ecco, io mi sono tenuto lontano da tutto questo finché c’è stato il pallone».
«A 16 anni la mia vita cambia di botto, mi spacco i legamenti del ginocchio, anche se mi fossi sottoposto a intervento non avrei più potuto giocare a pallone. In quel momento si è rotto qualcosa anche nella mia testa. Rifiutai l’operazione, ruppi con i miei genitori e passavo le giornate fuori casa con amici più vissuti di me, a cui ho chiesi aiuto per il primo buco». Con la droga arrivano i reati, la discesa all’inferno è un attimo e a 18 anni si aprono per Maiello le porte del carcere. A quel primo arresto ne seguono altri. «Entravo e uscivo, non mi importava di nulla. Pensavo fosse l’inferno, finché non sono finito in un manicomio criminale. In quel periodo in tanti si fingevano matti, dieci anni al massimo e sei fuori così mi dicevano, devi dichiarare che senti le voci ed è fatta. Ho voluto provare: nel ’91, dopo un breve periodo fuori, finisco di nuovo a San Vittore. Sono agitato, appena arriva il giudice per la convalida dell’arresto, afferro una sedia e gli spacco la testa. Vengo bloccato, massacrato di botte e legato. E finisco all’Opg di Reggio Emilia». Due anni emezzo infernali, fino alla prima licenza, che doveva servire per procurarsi soldi.
«In quel periodo, con altri detenuti, pensammo di sequestrare Gianfranco Zola, allora al Parma. Un sequestro lampo e un bel bottino da spartire». Perché Zola? «Me lo ha chiesto anche lui, perché me e non,per esempio, Asprilla? Zola era il più forte di tutti, era anche quello che io avrei tanto voluto essere». Il piano è presto fatto: in quattro, su due auto, intercettano Zola in autostrada e lo seguono. «Avremmo dovuto bloccarlo e prelevarlo dall’auto e invece ci spiazza e si ferma a fare rifornimento. Facciamo lo stesso anche noi, mentre Zola parla col benzinaio, scendo dalla macchina e fingo di guardarmi intorno». È a quel punto che il fantasista sardo li vede e si dirige verso di loro. «I suoi occhi hanno riacceso una lampadina nella mia testa. Frugai in una tasca, presi la carta di identità appena rinnovata e gli chiesi un autografo».
Archiviato il mancato sequestro, la vita di Fabrizio riprende come prima, ma qualcosa dentro di lui è cambiato. «Nel ’95 sono di nuovo nell’Opg, trascorro lunghi periodi nudo e legato». A questo punto della storia, ritorna il primo amore, il pallone. «Nel ’97 anche nell’Opg si organizza Vivicittà e la Uisp ci propone di partecipare. Fu la direttrice di allora a dirmi di gareggiare. Io ero sotto terapia farmacologica, non sarei stato in grado di correre, ma chiesi un pallone e iniziai a percorrere il perimetro del penitenziario palleggiando. Sono partito con 24 passi, nel ’98 ho fatto un chilometro». Anno dopo anno, Maiello batte ogni record.
«La mia vita cambia davvero, però, quando nell’opg arriva Giovanni, un bambinone di 56 anni che piangeva e si lamentava. Non ce la facevo più a sentirlo, così un giorno dissi al medico dell’opg che volevo Giovanni con me. Per le sue condizioni generali, mi dissero che poteva campare forse qualche mese, invece ha lasciato il manicomio dopo cinque anni e ha vissuto per altri otto». «Nella partita della mia vita, sono arrivati i tempi supplementari, portandomi l’amore. Mia moglie Daniela l’ho incontrata in manicomio, è infermiera. Ha conosciuto i miei lati peggiori, ma mi ha anche visto con Giovanni e si è innamorata di me». Per quattro anni la storia resta nascosta, finché per Maiello arriva la semilibertà e un lavoro, «il primo della mia vita».
«Ho vissuto tante vite in una, ho fatto del male e ho pagato, ho salvato un amico, ho trovato l’amore all’inferno. Mi restava una cosa in sospeso, chiedere scusa a Gianfranco Zola e ringraziarlo perché i suoi occhi buoni mi hanno salvato. Ora nella mia vita c’è il volontariato, le beneficenza, gli incontri nelle scuole. Il presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, ha voluto che incontrassi le giovanili ed è stato un momento molto emozionante per tutti. C’è poi il pallone e il record da battere: a settembre, con la nazionale sacerdoti di Moreno Buccianti e don Walter Onano sono arrivato a palleggiare per quasi due chilometri in un’ora».