Corriere della Sera, 2 febbraio 2024
Negli Inni la musica della vita
La Parola viene dall’alto, in soccorso al mondo, «nello scorrere rovinoso del tempo». Non è una buona parola edificante, anche se si trova in uno degli Inni cristiani d’Occidente pubblicato nei Millenni einaudiani a cura di Federico Giuntoli. Una splendida versione e un’introduzione che, a parte le fondamentali notizie per capire questo libro saldo e vertiginoso, è un grande saggio che va al cuore di uno dei massimi momenti poetici della nostra tradizione, una drammatica traversata della vita e della Storia. Secoli affiorano nel mare del tempo e dell’eterno con un’intensità poetica e religiosa aliena da ogni rassicurante edificazione, sempre a confronto con il rischio del naufragio e dell’ancor più insidiosa bonaccia. Avviso ai naviganti – cioè ad ogni uomo, non solo al credente – di una partita in cui ci si gioca la propria vita e la sua verità, il rischio di fallire il proprio destino.
Lo scorrere rovinoso del tempo è scandito dalla «liturgia delle Ore», che fa di esso una navigazione di bolina, stringendo al massimo il vento, faccia a faccia con l’assoluto. La liturgia delle Ore articola la preghiera nei vari momenti della giornata, nella scansione dell’eterno nel quotidiano ma anche nella Storia, nelle epifanie della sera come nella nascita e nella fine degli imperi. Gli inni composti da Ambrogio da Milano – il vero fondatore dell’innologia cristiana in Occidente, scrive Federico Giuntoli – nascono quando è in atto la polemica fra la dottrina ortodossa e quella ariana – polemica in cui il canto diventa un modo forte di contrastare o affermare l’una o l’altra in cui dunque la quotidianità, la preghiera nell’una o nell’altra delle ore, diventa un momento essenziale nella battaglia fra ortodossia ed eresia e dunque, nel senso più ampio, un elemento essenziale nei rapporti tra le varie posizioni religiose, culturali e politiche. Un terreno fondamentale è il conflitto fra le due versioni del cristianesimo, quella cattolica e quella ariana in cui Cristo, rispettivamente, ha o non ha la stessa natura del Padre e dello Spirito Santo.
Gli Inni hanno una pacata e tumultuosa poesia, scoperta e cantata nell’incessante fluire della vita – di ogni sua luce, di ogni sua forma che muta e ritorna, con il rosso del tramonto che si spegne e si rinnova. Aldilà del significato storico, fondamentale per la comprensione degli eventi, delle dispute dottrinali e degli scontri politici, gli Inni sono un grande libro di poesia, che fa vedere come fosse la prima volta gli uomini, la loro presenza nel mistero del mondo. La fede fa parte dell’Essere come la nascita e la morte, come la gravidanza verginale di Maria, come il canto che fluisce e s’immedesima nel sentimento. La lettura è contemporaneamente un rigoroso pensiero e un abbandono musicale, un canto nell’ombra e un’esperienza serenamente logica di ciò che nei momenti più improvvisi trascende il quotidiano, immutato come sempre, come la capanna di Betlemme, ma anche sempre altro. Più che di scrittura, si tratta di musica della vita, del nascere e del trascorrere, in armonia con le stelle che cambiano colore.
Il conflitto
Fu sant’Ambrogio
il fondatore dell’innologia cristiana in contrasto
con l’arianesimo
Non c’è contraddizione tra la felicità e il tremendo; il Dies Irae in cui si chiede pietà al Rex tremèndae majestatis può distruggere, ma non togliere senso a ciò che avviene. In una delle più possenti scene dell’Urfaust e del Faust di Goethe, Margherita ascolta angosciata il Dies Irae nell’ufficio funebre della madre morta anche per colpa sua, in un crescendo di disperazione per l’innocenza perduta, trionfo di Mefistofele.
Il tempo è l’apertura sul non-tempo, quello del cielo e della quotidianità misteriosa e ovvia come il bambino che gioca. Sempre è tempo di avvento, Leggendo questi Inni, mi venivano subito in mente alcune splendide liriche di Marin, anch’esse immerse nel mar dell’eterno – come dice il titolo di una sua raccolta – che è la stessa lingua della poesia, che è poesia, come lo è la preghiera. «Oh quel nuòlo, Maestral/che tu tu porti via/quel’ala de corcal/i xe la gno angunia».