Robinson, 2 febbraio 2024
Che musica si suonava al tempo di Shalespeare
Corinna da Fonseca-WollheimMNEW YORK anhattan, un pomeriggio di qualche tempo fa. I musicisti dell’ensemble di musica antica Collectio Musicorum si stavano esercitando a cantare in canone un brano del Seicento: una melodia allegra, ritmi galoppanti, echi di corni evocativi della caccia, ma a tratti le note cozzavano in audaci dissonanze. I coristi si sono bloccati guardando perplessi il direttore, Jeff Dailey, che li ha incoraggiati a proseguire. Le dissonanze che notavano, ha detto, non erano errori. E ha aggiunto: «Se volete dare più colore, come se aveste appena ucciso un cervo, potreste anche urlare, più che cantare. Ricordatevi che a questo punto siete ubriachi». Gli interpreti stavano preparando un concerto di canzoni, ballate e canti in canone per far rivivere le melodie che, a giudizio degli esperti, dovevano far parte delle prime rappresentazioni delle opere di Shakespeare. Alcuni dei brani sono pregevoli composizioni per voce e liuto di autori come Robert Johnson e Thomas Morley. Altri invece sono più modesti, zeppi di doppi sensi, canzoni che sarebbero piaciute agli spettatori del loggione del Globe Theater, come quello che Dailey e il suo gruppo stavano provando, tratto da Come vi piace. Un nobile esorta il guardaboschi a cantare, anche stonato, basta che faccia rumore.Quest’anno cade il quattrocentesimo anniversario della stampa del cosiddetto First Folio, la raccolta di 36 opere di Shakespeare, metà delle quali inedite, pubblicata dai membri della sua compagnia pochi anni dopo la sua morte avvenuta nel 1616, in formato in-folio, normalmente riservato a importanti opere religiose o storiche. IlFirst Folio ha stabilito il criterio con cui il corpus sarebbe stato tramandato, ma non trasmette una parte fondamentale della visione shakesperiana: la musica. Le opere di Shakespeare sono punteggiate da rulli di tamburo, fanfare e danze, indicate nelle didascalie sceniche. E sono zeppe di versi destinati a essere cantati. Nel First Folio tali versi sono chiaramente contrassegnati come “canzone” nelle istruzioni di scena ed evidenziati tramite il corsivo. Il canto è essenziale nella rappresentazione della follia di Ofelia, della magia di Ariel e nelle ebbre buffonate che accentuano la confusione comica ne La dodicesima notte.Nella maggior parte delle opere di Shakespeare, spiega Dailey, «la musica è parte integrante dell’azione». Ma capire che suono avesse, è un’altra questione. La stampa musicale richiedeva competenze specialistiche e persino per un’edizione di lusso come ilFirst Folio includere musica notata sarebbe stato troppo costoso. Musiche sui testi di Shakespeare compaiono in molte raccolte di canzoni e libri per liuto inglesi del XVII secolo, che però spesso datano a decenni successivi, per cui è arduo stabilirne l’origine. Qualche canzone popolare può essere fatta risalire ai tempi del Bardo, ma anche in quel caso, dice Dailey, «si pone il dilemma dell’uovo e la gallina: Shakespeare le ha incluse perché erano famose, o sono diventate famose perché erano nelle sue opere?». Nel 2004, il musicologo Ross W. Duffin ha pubblicato Shakespeare’s Songbook, “Il Canzoniere di Shakespeare”, abbinando centinaia di testi a melodie identificate come possibili corrispondenze. Tra questi c’è il canto di caccia in canone What shall we have, pubblicato per la prima volta, con varianti testuali, in una raccolta del 1652. In un manoscritto conservato presso la Folger Library, Duffin ha trovato una versione all’apparenza risalente al 1625, con un testo che si avvicina di più alFirst Folio. È quasi contemporaneo alla pubblicazione della commedia, ma comunque si colloca a un quarto di secolo di distanza dal 1599, secondo gli esperti data di stesura diCome vi piace.It was a Lover and his Lass, un’altra canzone tratta da Come vi piace,è presente in una versione di Morley stampata nel 1600, e per alcuni è la prova che si tratta del brano originale, forse addirittura commissionato da Shakespeare. Tuttavia restano i dubbi sull’esecuzione. La versione di Morley è per voce solista, mentre nella commedia è cantata da due paggi. «Come la si interpreta allora?». Dailey era dubbioso se farla cantare da due voci all’unisono, farne recitare i versi da due attori, o comporre una parte aggiuntiva per la seconda voce. Ha deciso che gli interpreti si alternino a recitare e cantino poi assieme il ritornello. Duffin però, in un recente articolo perora la causa del duetto, perché l’insolito accompagnamento al liuto nella versione stampata di Morley fa pensare all’adattamento di una versione precedente per due voci.È storicamente dimostrato che Shakespeare e Morley erano vicini di casa, portando alcuni a ipotizzare che fossero amici e collaborassero. Ma Duffin non vede motivo di credere che Shakespeare abbia mai commissionato musiche specifiche. Anche gli indizi che lo collegano aJohnson, compositore di musiche per liuto e autore di elaborati arrangiamenti nelle opere, non convincono a suo avviso. «Le prove che fosse il compositore dei King’s Men, la compagnia teatrale di Shakespeare, sono indirette», ha dichiarato Duffin. Tutti vogliono che sia stato Johnson a comporre le canzoni. Sono belle, ma sono quelle originali? Probabilmenteno».Gran parte della ricerca di Duffinsi è concentrata sulle semplici melodie popolari in voga all’epoca di Shakespeare, affermando che le ballate in particolare erano talmente note che un attore, di fronte a un determinato schema metrico e di rime, avrebbe saputo come cantare i versi. Studiando gli attori elencati nelFirst Folio,ha trovato prove che molti di loro erano «acrobati, giocolieri, cantanti- danzatori», e ipotizza che abbiano portato sul palcoscenico i loro talenti musicali. Duffin è convinto che nelle opere di Shakespeare la musica sia presente oltre i versi evidenziati in corsivo nel First Folio.Ha identificato decine di “frammenti” di canzoni inseriti nel dialogo, che si rivelano versi iniziali o frasi chiave di canzoni popolari, capaci di suscitare tutta una serie di associazioni da parte del pubblico dell’epoca. Ne Il racconto d’inverno, una breve allusione a una nota ballata che narrava di un marito geloso e omicida avrebbe avuto il ruolo di accrescere la tensione nel pubblico impegnato a seguire in palcoscenico le vicende di un re geloso. Ne La dodicesima notte un riferimento altrimenti fuori contesto al “dodici dicembre” sarebbe stato colto in quanto titolo di una famosa ballata su una battaglia, evocando il rumore della guerra in una scena di conflitto domestico. «Tutti conoscevano quelle ballate da pub», spiega, «quindi sentendone citato un verso avrebbero fatto il collegamento».Questi riferimenti a volte palesi per il pubblico di allora, a volte criptici, avrebbero contribuito a rendere interattiva l’esperienza teatrale. Nel 1623, i lettori del First Folioavrebbero ancora potuto «ascoltare tra le righe», ma col tempo, la genialità dell’immaginazione di Shakespeare sarebbe stata definita solo da quello che ilFirst Folio ha saputo catturare: il linguaggio, separato dalla musica reale e immaginaria delle opere.© 2023, The New York Times Traduzione di Emilia Benghi© RIPRODUZIONERISERVATA NEL “CANZONIERE” CENTINAIA DI TESTI VENGONO ABBINATI A MELODIE IDENTIFICATE COME POSSIBILI CORRISPONDENZEMAANSI SRIVASTAVA/ THE NEW YORK TIMESMAANSI SRIVASTAVA/ THE NEW YORK TIMESMAANSI SRIVASTAVA/ THE NEW YORK TIMESOLe immaginiI musicisti delColectio Musicorumdiretto da Jeff Dailey riproducono la musica del grande Bardo