La Lettura, 2 febbraio 2024
La fiction su Mameli
e immagini
Qui a destra: due fotografie delle riprese della fiction su Mameli. In alto a sinistra: i due registi Luca Lucini (a sinistra) e Ago Panini. Sopra di loro: il consulente storico Giordano Bruno Guerri. Nella foto grande in alto a destra: in primo piano Riccardo De Rinaldis Santorelli (Goffredo Mameli); dietro di lui, con la bimba sulle spalle: Amedeo Gullà (Nino Bixio); in secondo piano, da sinistra: Piera Russo (Armida); Giovanni Crozza Signoris (Carlin Repetto); con il cilindro blu Niccolò Ferrero (Michele Novaro); con il cappotto marrone Marco Gualco (Giacomo Parodi); con il cilindro rosso Gianluca Zaccaria (Francesco Castiglione). In alto, di fianco alla testata «Maschere», da sinistra: Goffredo Mameli; Amedeo Gullà e Riccardo De Rinaldis Santorelli; Chiara Celotto (Adele Baroffio); la scena in cui i difensori di Roma tendono un agguato agli assedianti francesi
Non fanno una bella impressione, a un lettore del giorno d’oggi, i versi del nostro inno nazionale composti da Goffredo Mameli: l’«elmo di Scipio»; la vittoria «schiava di Roma»; lo stringersi «a coorte» che fa rima con «siam pronti alla morte». Quella retorica ottocentesca suona desueta. Ma tutt’altro è l’effetto se ci si confronta con la personalità umana dell’autore, come fa la fiction in due serate Mameli. Il ragazzo che sognò l’Italia, diretta da Luca Lucini e Ago Panini , in onda su Rai Uno il 12 e il 13 febbraio. Il protagonista, Riccardo De Rinaldis Santorelli, non ha i baffi e il pizzo del poeta nei ritratti tradizionali, ma poco importa: Mameli non è un’icona.
La parola «ragazzo» è la chiave di volta della narrazione, sottolinea lo storico Giordano Bruno Guerri, che ha rivisto il lavoro dei due registi: «Goffredo ha appena 19 anni nel 1847, quando scrive le parole dell’inno; muore ucciso dalle conseguenze di una ferita prima ancora di averne compiuti 22, il 6 luglio 1849. Ha un rapporto di forte affetto con la mamma Adelaide Zoagli (ruolo ricoperto nella miniserie da Isabella Briganti, ndr). La sua è una storia di sentimenti, debolezze, paure, slanci».
Sull’importanza dell’origine di Mameli insiste anche Lucini: «Viene da una famiglia genovese aristocratica, ma per molti versi moderna. La madre, amica di Giuseppe Mazzini, apre la mente di Goffredo alle nuove idee di patriottismo e democrazia. Invece con il padre Giorgio, interpretato da Neri Marcorè, c’è profondo rispetto, ma anche qualche tensione: è un ammiraglio della Marina sabauda, preso tra la fedeltà al suo re e l’amore per un figlio che si espone al pericolo in nome di un progetto rivoluzionario».
Centrale è poi nella fiction l’incontro con Nino Bixio, futuro protagonista della spedizione dei Mille, interpretato da Amedeo Gullà: «Goffredo all’inizio – nota Panini – è un damerino della Genova bene con la passione della poesia e un’amara delusione amorosa alle spalle: la sua Geronima, interpretata da Barbara Venturato, è stata costretta a sposare un altro. Mameli non ha un talento letterario eccelso, ma coglie lo spirito dei tempi: come un rapper di oggi, intercetta quello che la gente vuole sentirsi dire. Bixio, patriota avventuriero, lo spinge verso l’azione e i due si contaminano a vicenda».
Insieme, continua Panini, scuotono Genova: «Nino e Goffredo trasformano in una manifestazione politica la processione religiosa al santuario della Madonna a Oregina. E per la prima volta in quell’occasione, il 10 dicembre 1847, viene eseguito l’inno di Mameli sulle note di Michele Novaro. È una specie di flash mob in anticipo sui tempi».
Ecco, forse Novaro nella fiction è un po’ trascurato, compare brevemente. «È vero – ammette Guerri —, ma d’altronde non è un uomo d’azione e non muore da eroe come Mameli. Però la sua musica, per quanto bandistica, risulta trascinante». Per esempio l’hanno intonata martedì 23 gennaio i senatori del Pd, per contestare la legge sull’autonomia differenziata. Panini azzarda un paragone audace: «L’inno di Mameli assomiglia a un coro da stadio. Non è un capolavoro, ma ha ritmo, entra nell’orecchio della gente e si canta con facilità. Nella fiction non abbiamo inserito questo episodio, ma nel 1848 Mazzini chiese a Giuseppe Verdi di comporre una canzone patriottica. E Mameli scrisse le parole. Musicalmente era un’opera assai superiore a quella di Novaro, ma non ebbe successo, non entrò nell’immaginario patriottico».
Chi invece ha largo spazio sono i personaggi femminili. Abbiamo accennato a Geronima, che nella prima puntata si suicida («Nella realtà storica non lo fece», precisa Guerri), ma poi ancora più importante è il secondo amore di Goffredo, Adele Baroffio (interpretata da Chiara Celotto), che non esita a impugnare le armi e a porre il problema del suffragio alle donne. «Raffigurandola abbiamo un po’ forzato la mano per imprimere al suo personaggio forza drammaturgica», riconosce Lucini. «Al passato – puntualizza Panini – si guarda sempre partendo dall’epoca in cui ci si trova. Abbiamo deciso, per rivolgerci ai giovani, di evidenziare che diritti oggi considerati naturali, come il voto femminile, un tempo non lo erano. Anzi si riteneva scontato il contrario: che le donne non votassero, anche perché erano ritenute troppo influenzabili da parte del clero reazionario».
A proposito di nemici del moto risorgimentale, può destare perplessità la presenza incombente, nel racconto, di una società segreta ultraconservatrice che trama nell’ombra contro i patrioti. Vi appartengono diversi personaggi negativi, contraddistinti da anelli che portano al dito mignolo. Un cedimento alle manie complottiste oggi tanto in voga? «Non direi – risponde Panini —. Nella realtà storica il grande antagonista di Goffredo è il destino avverso, che lo porta a sacrificarsi giovanissimo in una battaglia disperata. Ma in una fiction, per parlare al pubblico con più efficacia, c’era bisogno di fisicizzare, di dare corpi e volti ai nemici dell’eroe. Perciò abbiamo adottato questo espediente narrativo». Nel gruppo dei patrioti genovesi, tra l’altro, si annida un traditore: una figura tragica, la scoperta della cui identità sarà un colpo molto doloroso per Goffredo.
Dal racconto televisivo i Savoia e il re Carlo Alberto, che non compare mai, non escono affatto bene: la loro amministrazione e il loro esercito sono profondamente infiltrati dalla setta reazionaria. E un ampio rilievo è assegnato alla repressione della rivolta mazziniana di Genova dell’aprile 1849, con tanto di bombardamento della città. «Dopo la sconfitta del Piemonte nella Prima guerra d’Indipendenza – spiega Lucini —, la situazione era confusa. E noi abbiamo mostrato come a quel punto l’iniziativa patriottica sia passata nelle mani delle forze popolari».
Si giunge così all’epopea più tragica e gloriosa. Quella della Repubblica romana proclamata il 9 febbraio 1849, dopo la fuga del Papa Pio IX a Gaeta nel novembre 1848. Goffredo e gli altri patrioti, reduci dalla sfortunata campagna contro gli austriaci nel Lombardo-Veneto, accorrono nella città eterna: «In quei mesi – ricorda Panini – a Roma c’è una gran baraonda, in cui vale tutto. La città assomiglia per certi versi a un centro sociale dei nostri giorni. Basti pensare che le prostitute sono ingaggiate come infermiere. Però viene anche approvata, proprio mentre la Repubblica cade sotto i colpi dei francesi, una Costituzione democratica che prefigura per molti aspetti, cento anni prima, quella oggi vigente».
Non mancano le analogie con una vicenda studiata da Guerri: Fiume occupata dai legionari di Gabriele d’Annunzio tra il 1919 e il 1920. «In entrambi i casi – nota lo storico – assistiamo a un’esplosione utopistica, anche se a Roma manca la carica dirompente di un leader come d’Annunzio. Se devo cercare a Fiume un equivalente di Mameli, lo indicherei in Guido Keller: l’eroe romantico che muore giovane. Lui in un incidente d’auto, Goffredo combattendo contro i francesi».
A Roma durante la Repubblica ci sono anche Garibaldi e Mazzini: quest’ultimo arriva chiamato proprio da Mameli. Nessuno dei due illustri patrioti ricopre però un ruolo cruciale nella fiction. Conta forse di più il piccolo Giovanni, figlio di un’ostessa genovese, al quale Goffredo ha insegnato a leggere. Nel 1860, ci avvertono i titoli di coda, sarà uno dei Mille, gli artefici dell’Unità d’Italia.