La Lettura, 2 febbraio 2024
I suoni della natura
Prima di essere un grande autore, il biologo David George Haskell è soprattutto un attento osservatore del mondo naturale e delle sue connessioni. Con La foresta nascosta (2014) e Il canto degli alberi (2018) ha raccontato la vita che si muove attorno a foglie e radici e tronchi. Con Suoni fragili e selvaggi (2023), invece, ha esplorato le meraviglie acustiche di animali e piante. Risponde a «la Lettura» da Atlanta, a pochi giorni dalla lezione con cui inaugurerà Soundscapes. L’esperienza del silenzio e del suono nel paesaggio, giornate di approfondimento culturale organizzate dalla Fondazione Benetton a Treviso.
I suoi primi libri sono dedicati agli alberi. Qual è lo stato di salute delle foreste europee?
«Per le foreste sono tempi difficili. Ma dipende dai luoghi considerati. Le foreste tropicali sono minacciate da piantagioni di palma da olio e campi di soia. E sul lungo periodo incombe il cambiamento climatico. In alcuni Stati europei, in particolare a est, la superficie forestale sta crescendo perché sempre più persone abbandonano pascoli e aree coltivate in favore delle città. Malattie, incendi e prelievo intensivo di legname restano però un problema diffuso, che colpisce diversi Paesi, fra cui l’Italia. C’è di buono che oggi alberi e foreste riscuotono molto interesse rispetto a soli vent’anni fa. Un segno importante, perché ci consente di mantenere vivo il legame con loro».
Dopo gli alberi, i suoni naturali. Perché ha deciso di occuparsene?
«I suoni sembrano eterei, quasi superficiali. Un uccello canta e dopo un attimo il suono non c’è più. In realtà connettono fra loro esseri umani, uccelli, cetacei, pesci, insetti… I suoni sono “neurotrasmettitori ecologici e culturali”. Per me sono rilevanti perché raccontano storie. Sugli esseri umani, sugli ecosistemi. Ma anche sul passato. Prima che la Terra si formasse c’erano onde sonore che fluttuavano in un universo giovane. Suoni che le strutture delle galassie hanno preservato. Guardando le stelle di notte, guardiamo suoni antichi. Sono storie straordinarie. Per questo voglio condividerle con le persone».
I suoni possono aiutarci nella conservazione del mondo naturale?
«Certo, perché rivelano le connessioni esistenti e come cambiano nel tempo. Le prime foreste, 400 milioni di anni fa, erano piuttosto silenziose. Poi apparvero numerose forme di vita, che plasmarono il paesaggio sonoro della Terra con canti, versi e richiami. Se oggi entro in una foresta e la trovo silenziosa, capisco subito che qualcosa non va. Ascoltare può quindi rivelarci molto sullo stato di salute di un ecosistema e suggerirci quali metodi di gestione adottare».
E la situazione nelle città?
«Sono cresciuto a Parigi e ricordo ancora oggi il cantare dei merli. Se in una città però si sente soltanto il frastuono del traffico, non si tratta di una città sana in cui vivere. E non si tratta soltanto di un fastidio: il suono infiamma i nostri corpi. L’European Environment Agency dice che il rumore cittadino incide sulla salute cardiovascolare delle persone con 48 mila nuovi casi e 12 mila morti premature ogni anno».
Che cosa accade quando impariamo a prestare ascolto al paesaggio sonoro naturale?
«Prima di tutto riscopriamo le stagioni. O meglio: i singoli momenti di ogni stagione. Il pulsare della vita. E questo dà gioia, un’emozione di cui abbiamo bisogno in questi tempi ansiosi. E poi grazie ai suoni ci connettiamo profondamente con le identità di chi li produce. A vent’anni iniziai ad ascoltare il canto degli uccelli: capii ben presto che non erano soltanto una o due specie a cantare, ma centinaia! Un’orchestra. E mettersi in ascolto non è soltanto una posa intellettuale, ma un’azione che riguarda i nostri sensi, le nostre emozioni, i nostri corpi».
C’è un suono che l’ha particolarmente stupita durante le ricerche?
«Spesso il suono degli insetti viene percepito come un rumore di fondo. Si tratta però di suoni antichissimi, capaci di raccontare storie. Mi hanno davvero ispirato! Sono stati fondamentali anche per noi: l’evoluzione dell’udito nei mammiferi, e quindi del nostro, e in altri vertebrati è infatti profondamente intrecciata ai richiami degli insetti. Penso a questo quando li ascolto durante la tarda estate e l’autunno qui, in Georgia».
Quanto sono importanti i suoni nella sua scrittura?
«Quando scrivo di suoni, odori o colori, voglio che emergano nell’esperienza personale del lettore. Anche se leggiamo in silenzio, come per magia, i suoni emergono nelle nostre teste. Provo quindi a stimolare questo processo il più possibile e al meglio delle mie possibilità. Cerco di sfruttare non soltanto il suono delle parole ma anche analogie e metafore. Quando leggiamo o pensiamo ai suoni, la parte più antica del nostro cervello si attiva. A livello neurologico, quindi, anche se in modo atipico, siamo in ascolto».