Corriere della Sera, 1 febbraio 2024
Manon Lescaut nel deserto non emoziona
A Trieste avevano inaugurato la stagione con una Manon Lescaut che non finiva nel deserto americano. A Bologna invece la stagione la inaugurano con una Manon in cui il deserto americano lo si vede fin dalla prima scena. In questo modo il regista Leo Muscato racconta al pubblico che la terra sotto i piedi degli amanti Manon e Des Grieux scotta. Com’è, come non è, i due devono sempre scappare da qualcuno o qualcosa. È proprio così. Ma a parte l’efficace dettaglio, lo spettacolo non supera gli ostacoli logistici – basti dire che non c’è graticcia – del Comunale Nouveau, dove il Comunale di Bologna è in esilio fino al ’26. Non si respira il senso del tragico che alberga nell’opera pucciniana, per non dire del romanzo di Prévost da cui tutto ha origine.
Contribuiscono a rafforzare l’impressione le prove corrette ma espressivamente impalpabili degli interpreti principali: lei è Erika Grimaldi, ineccepibile ma fredda; lui è Luciano Ganci, tenore solido a parte un brutto passaggio nel primo atto (sufficienza per il Geronte di Giacomo Prestia; in seria difficoltà il Lescaut urlante di Claudio Sgura).
Sul podio Oksana Lyniv. È direttrice di spiccata personalità. Ha le sue idee e sa come farsi seguire da orchestra, coro (non al meglio) e palcoscenico. Ma l’idea di un Puccini sinfonico, se altrove è vincente (vedi soprattutto Butterfly), qui va diluita, data la scrittura più tradizionale. La buca molto scoperta non aiuta. Ma la morale è che c’è poco equilibrio tra voci e orchestra. Applausi ma senza esagerare.