La Stampa, 31 gennaio 2024
Anticomunista? No, anticolonialista
Caro ministro Sangiuliano, ho letto con interesse il suo bell’articolo pubblicato martedì su queste pagine, Ecco perché sono un anticomunista, apprezzando anzitutto lo stile argomentativo e le interessanti citazioni. Lo dico senza ironia, e lo preciso a scanso di equivoci, visti i tempi.
Premetto che non posso che essere d’accordo, quando lei ci stimola ad essere non antifascisti O anticomunisti, a seconda della propria storia e del proprio schieramento politico, ma antifascisti e anticomunisti. E accetto senza problemi la dichiarazione europea da lei citata, che vale la pena di ripetere: «L’integrazione europea è stata una risposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista, che ha portato all’Olocausto, e all’espansione dei regimi comunisti totalitari e antidemocratici nell’Europa centrale e orientale».
Ma qui finisce il nostro accordo, perché il suo discorso si basa su una sorta di “principio del terzo escluso”, come nella logica di Aristotele, che contempla due sole alternative: nazi-fascismo e comunismo. E invece esiste una terza alternativa, che ha fatto parte della Storia europea ben più a lungo delle due da lei citate: il colonialismo, che si può simbolicamente far iniziare con la scoperta dell’America nel 1492, e che dura tuttora.
È grazie al colonialismo, che nell’epoca della sua massima espansione, nel 1914, arrivò a coprire l’85 per cento delle terre emerse, che l’Occidente oggi possiede il 90 per cento delle risorse e delle ricchezze mondiali, pur avendo soltanto il 10 per cento della popolazione. Il nostro benessere, che noi siamo disposti a difendere con i denti delle armi, è in realtà il frutto di un furto globalizzato, durato cinque secoli e ancora in atto.
L’Europa è nata sulle ceneri del nazi-fascismo e in antitesi al comunismo, ma è nata rimanendo saldamente colonialista. La Francia dei suoi amati Camus e Malraux, per esempio, era in Algeria dal 1830, e la controllava con metodi che non avevano nulla da invidiare a quelli dei nazi-fascisti e dei comunisti. Metodi che il generale Changarnier difendeva dalle critiche degli inglesi, ricordando loro che anch’essi usavano gli stessi metodi in India, all’insegna del due pesi e due misure.
L’Algeria si liberò dei francesi nel 1962, dopo una lunga e sanguinosa lotta contro i pieds-noirs, uno dei quali era proprio Camus, che ormai era morto, ma che finché era vivo rimase contrario all’indipendenza. Mentre Sartre era favorevole, come tanti altri comunisti.
Anzi, bisognerebbe ricordare che se oggi il mondo non è più formalmente colonialista, benché rimanga informalmente colonizzato, è proprio grazie all’appoggio dell’Unione Sovietica alle lotte di indipendenza. Lotte che invece le democrazie europee non solo non appoggiavano, ma combattevano militarmente, ciascuno a “casa” sua. Il comunismo faceva tanti errori a casa propria, ma a casa altrui stava sempre dalla parte giusta, dall’Algeria al Vietnam. Le democrazie facevano e fanno il contrario: per i loro cittadini è la scelta migliore, ma per il resto del mondo no!
Tra l’altro, quando si parla di colonie, noi spesso ci tiriamo fuori. Ma dimentichiamo che le nostre le abbiamo conquistate ben prima del fascismo: l’Eritrea nel 1890, la Somalia nel 1908, la Libia nel 1911. Il duce si limitò a finire il lavoro in Libia, e ad aggiungere l’Eritrea nel 1936. Ma la Somalia rimase sotto il controllo italiano fino al 1960, ben dopo la fine della guerra e il Trattato di Roma da cui nacque l’Europa. E le nostre truppe sono tuttora in Somalia e in Libia, sia pure per missioni chiamate “umanitarie”.
Lei dice giustamente che non si devono usare due pesi e due misure, a seconda dei momenti e delle convenienze. Ma quando cita con sdegno l’opposizione all’entrata nella Nato del Partito Comunista Italiano nel 1949, non dimentica forse che nella Nato ci siamo rimasti anche quando il supposto pericolo comunista era svanito, e il Patto di Varsavia non c’era più? E non dimentica anche che è proprio la Nato che oggi costituisce la maggior minaccia oggettiva alla stabilità e alla pace sul pianeta, visto che i suoi membri spendono ogni anno il 60 per cento delle spese militari mondiali, mentre la Russia ne spende dieci volte di meno, e la Cina un terzo?
D’altronde, non è stata forse la Nato, e non certo la Russia, a invadere per vent’anni l’Afghanistan e l’Iraq, spendendo 8000 miliardi di dollari, facendo tra l’uno e i due milioni di vittime nei due paesi, oltre che in Siria, Libia, Yemen e Somalia, e scappando con un’ingloriosa ritirata da Kabul il 30 agosto 2021, solo sei mesi prima dello scoppio della guerra in Ucraina?
Seguendo la sua giusta posizione di equidistanza tra due barbarie, che si può sintetizzare nel motto “né con il fascismo, né con il comunismo”, non dovremmo forse tenere la stessa equidistanza anche tra le altre due barbarie, sintetizzandola nel motto “né con la Russia, né con la Nato”? E perché invece partecipiamo alle sanzioni europee contro la Russia, e spalleggiamo la richiesta di arresto di Putin, quando non abbiamo mai imposto sanzioni agli Stati Uniti e al Regno Unito, e né abbiamo richiesto mandati di arresto per Bush e Blair?
Chi non è equidistante fra le barbarie, si schiera a favore dell’una o dell’altra. E ricade nella dicotomia aristotelica del “terzo escluso”, proprio quando sarebbe “degno, giusto, equo e salutare” per il nostro paese tenere una posizione autonoma e indipendente, soprattutto quando ci si richiama a un “piano Mattei” che rimanda a una posizione anti-atlantica e filo-mediterranea. Lei, che non è soltanto un uomo di cultura, ma è anche ministro della Cultura, è nella posizione migliore per proporre al suo governo argomenti basati sulle idee, più che sugli interessi coloniali. Argomenti che, proprio per questo, potrebbero essere condivisi da entrambe le parti politiche, invece che da una sola, qualunque essa sia. —