la Repubblica, 31 gennaio 2024
L’arte del ritratto
Nel 1678 compare a Roma un interessante Avviso (così si chiamavano i comunicati che fungevano da social network dell’epoca). Vi si legge: «Monsù Ferdinando celebrato pittore di questa Corte per la sua sublime maniera di far ritratti e in particolare di femmine, adulandole non solo in bellezza ma in bizzarri portamenti d’abiti, è stato dal governo mandato via da Roma per essere il suo pennello strumento alla libidine e la sua casa un continuo ricetto di dame e cavalieri che compravano ritratti».Monsù Ferdinando è Jacob Ferdinand Voet, un eccellente pittore fiammingo, nato ad Anversa nel 1639 e morto a Parigi nel 1689, che si era specializzato proprio a Roma in quel che l’Avviso ci dice con chiarezza, ottenendo notevole successo. Ne deduciamo che, per ritrarre una bella donna, all’epoca, si poteva facilmente essere indotti in tentazioni, un po’ come racconta, con qualche forzata analogia, Peter Greenaway nel bel film del 1982 The Draughtsman’s Contract, che in italiano si chiama I misteri del giardino di Compton House, ambientato più o meno alla stessa epoca.In filigrana, dietro una figura come il Voet, si possono intravedere innumerevoli personalità maschili del mondo dell’arte che hanno usato il loro potere (nel caso di Voet essere, come fu, un bravissimo pittore ritrattista) per abusare di modelle, attrici, collaboratrici a vari livelli, e riemerge davanti ai nostri occhi quello che potremmo definire l’eterno Weinstein, ancorché è possibile che il #MeeToo ne abbia ratificato il definitivo accantonamento.Francesca Cappelletti, nel suo libro Le Belle. Ritratti femminili nelle stanze del potere (Mondadori), rievoca la vicenda del Voet all’interno di un ben più ampio e dottissimo discorso inerente alla storia del ritratto femminile, concentrandosi sull’età del Rinascimento e del Barocco.Voet aveva dunque perfezionato un sistema ritrattistico consistente nell’allineare una serie di quadri, tutti uguali nelformato e nell’impostazione a mezzo busto, delle più belle donne dell’alta società romana nella seconda metà del Seicento. E nel Palazzo Chigi di Ariccia presso Roma se ne conserva un esempio preclaro, ricordato propriocon la dicitura di galleriadelle Belle.Le belle! Ma il caso di Voet è solo un aspetto tra mille altri nella storia di questo particolare genere pittorico e Cappelletti, dedicandocon squisita amabilitàil suo libro “alle belle amiche”, ci racconta la vicenda meravigliosa del ritratto femminile come spazio estetico specifico di esaltazione della pressoché esclusiva attitudine dell’arte figurativa a farci vedere la bellezza, in sé e in particolare, contenuta ed emanata dalle singole persone.Il libro è gremito di storie, aneddoti, donne famose (Clelia Farnese, Vittoria Accoramboni, Olimpia Maidalchini, Olimpia Aldobrandini, Maria Mancini, Cristina di Svezia) e pittrici eccelse (Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi, soprattutto). Cappelletti di ciascuna delinea dei ritratti (è proprio il caso di dirlo) che hanno la vivezza e la forza delle rappresentazioni pittoriche cui fa di volta in volta riferimento.Il ritratto, ci ricorda l’eminente storica dell’arte (oggi direttrice della Galleria Borghese), sottrae la persona raffigurata alla corrosione del tempo consegnandola al futuro che verrà, sempre della stessa età e dello stesso fulgore. Spiega con dovizia di esempi e di citazioni, come una lunga tradizione abbia legato il ritratto maschile all’idea della Virtus e dell’Exemplum civile e militare, e quello femminile alla rappresentazione appunto della Bellezza pur sempre accompagnata da un tipo peculiare di Virtus legata alla famiglia e ai figli. Modelli sempre latenti della ritrattistica femminile in età rinascimentale e barocca sono due Dee: Venere e Minerva. Possedere il ritratto della donna amata supera la gioia incomparabile della concreta relazione e Cappelletti ricorda Alessandro Magno e la bellissima Campaspe. Alessandro chiede ad Apelle, eccelso pittore, di ritrarla e Apelle dipinge un quadro sublime. Presago del collega Voet, Apelle provvede però a sedurre la splendida donna e se la prende per sé. Alessandro lo perdona perché adesso ha il ritratto e gli è più che sufficiente, e di certo più rassicurante rispetto alle fluttuazioni della realtà. Da qui Cappelletti sviluppa approfonditamente le figure del mito che consacrano la predilezione e lo sviscerato amore verso il ritratto femminile. E più di tutti Pigmalione innamorato del magnifico nudo di donna da lui stesso scolpito, auspicando che prenda vita, cosa che subito accade grazie all’autorizzazione della Dea Venere, e ribaltando così la storia di Alessandro Magno. Contento lui!Sottrae la persona alla corrosione del tempo consegnandola al futuro