Corriere della Sera, 31 gennaio 2024
Siamo gli analfabeti del Tutto
Primo colpo di scena: nel 1958 Angelo Brelich – storico delle religioni – pubblicò Gli eroi greci. Eroi anonimi come i titani e i giganti – al tempo della formazione della terra e del cielo – ed eroi personificati come Eracle – fondatori dell’umanità vissuti fino alla caduta di Troia – erano esseri tracotanti, selvaggi, mostruosi e ambivalenti: meravigliosi nel bene e terribili nel male, quindi prerazionali e premorali. Anche gli dèi erano al di qua del bene, come Zeus tracotante, Hermes ladro… Tutto il contrario del mito classicistico dei Greci esemplari… D’altra parte anche Yahweh dell’Antico Testamento aveva tratti da autocrate… Le potenze sacrali dei primordi sembrano riflettere i re micenei che per primi avevano esercitato in Grecia un potere arbitrario di tipo orientale. Si è dovuto attendere il VI secolo avanti Cristo per arrivare a questa prescrizione di Cleobulo: «Ciò che detesti, non farlo all’altro». Era nata la morale, la scelta del bene al posto del male. Ma Brelich non aveva prestato attenzione sufficiente al carattere degli dèi…
Secondo colpo di scena: nel 2023 Dino Baldi – filologo – ha pubblicato È pericoloso essere felici. L’invidia degli dèi in Grecia (Quodlibet), che chiude brillantemente il cerchio che Brelich aveva aperto. Il libro si concentra proprio sugli dèi, che all’origine sono anch’essi ambigui, come gli eroi. Al tempo delle città greche – in età storica – i tiranni del VII e VI secolo sono stati i primi a ispirarsi nuovamente agli eroi, come Policrate di Samo. Ricco e potente come un despota orientale, fu colpito infine dall’ostilità divina finendo crocifisso. Una felicità costante era da principio una prerogativa degli dèi che vietava agli uomini troppa grandezza e gioia. Nell’Iliade gli dèi sono ancora al servizio sia di un ordine razionale sia di una spaventosa crudeltà: non opponendo e non preferendo il bene al male appaiono come una volontà di potenza arbitraria.
Questi super-tiranni del cielo esprimono nei confronti dell’eccesso umano (hybris) una terrificante ostilità (phthonos). I tiranni umani cercavano d’indiarsi – come Eracle, l’eroe accolto in Olimpo – diventando potenti, ricchi e felici… Ma questo eccesso di esuberanza violava l’ordine cosmico che imponeva agli umani una condizione inferiore a quella divina, nella quale il male fatalmente si mescolava al bene. In origine la tracotanza umana non è avvertita ancora come una colpa meritevole di punizione, rappresentando essa esclusivamente un oltraggio a Zeus. Solo tra l’VIII e il VI secolo avanti Cristo gli dèi perderanno lo phthonos diventando morali – come accadrà ai mortali – inaugurando così la prima civiltà occidentale.
Già nell’Odissea il bene e il male appaiono maggiormente distinti tra loro e Zeus comincia a mostrare più tratti etici, che in Esiodo si estendono (nella seconda metà dell’VIII secolo avanti Cristo): per lui il sommo dio «raddrizza chi è storto e dissecca chi è florido». In Le opere e i giorni lo sparviero si appella alla legge del più forte, perché gli animali ignorano la giustizia che Zeus ha cominciato a dare agli uomini: «A sé stesso prepara mali l’uomo che mali per gli altri prepara», massima che anticipa quella di Cleobulo.
Ma perché Zeus diventi una figura ancora più giusta si deve arrivare a Solone, arconte in Atene all’inizio del VI secolo avanti Cristo. Con lui lo sfarzo e l’arroganza dei ricchi diventano disuguaglianze inaccettabili, mentre si rafforza un ideale virtuoso di temperanza, sobrietà e misura.
Creso re di Lidia – sovrano orientale senza il senso della misura – aveva ospitato Solone a Sardi alla metà del VI secolo. Un giorno il sovrano gli chiese chi fosse l’uomo più felice – pensando a sé – ma Solone rispose che era Tello di Atene, un padre con prole, caduto per la patria e seppellito a pubbliche spese: emblema di moderazione e virtù civica. Si trattava di una morale che più che «nuova» – come scrive Baldi – era «prima». Infatti il comportamento arrogante dell’aristocrazia omerica era ancora premorale, come quello degli eroi secondo Brelich.
Solone poi aggiunse all’attonito Creso: «Ora hai tutto, ma cosa ti capiterà in futuro?». La vita umana era fatta di beni e mali mescolati, per cui nessun umano doveva vantarsi se vinceva né abbattersi se perdeva (Archiloco). Per Solone la giustizia umana e quella divina già si equivalevano e così il cittadino diventava riguardo a sé e alla comunità responsabile.
Nel corso di due secoli i Greci erano passati da una giustizia (dike) intesa come difesa di prerogative fisse e ineguali a un ordine tra i ceti fondato non più solo sulla forza ma su regole. Così anche gli dèi sono divenuti razionali e morali. Da allora la hybris non fu più combattuta come un attacco a un privilegio divino e così Zeus divenne l’ipostasi di dike: l’equivalente di un re o un arconte giusti. Negli stessi secoli si è formato anche il primo nucleo dell’Antico Testamento secondo le più autorevoli ricostruzioni.
Brelich e Baldi hanno confermato, indipendentemente l’uno dall’altro, il «periodo assiale» di Karl Jaspers, a partire dal quale, nell’VIII secolo avanti Cristo, nacque la morale dei filosofi greci, dei profeti giudaici, di Zarathustra, Buddha, Confucio e Laozi: un evento globale!
A noi oggi tocca vivere – tra i trionfi dell’economia, della scienza e della tecnologia – nel tempo in cui la profezia di Friedrich Nietzsche sulla morte di Dio e della morale si è avverata. Il suo Al di là del bene e del male non era che un ritorno a una realtà precedente alle città greche… Il progresso sta nel tornare indietro?
Il secolarismo amorale pare a me il punto debole massimo dell’Occidente liberal-democratico, che se rimane ammirevole dal punto di vista del compromesso tra la libertà e la giustizia, più non lo è dal punto di vista del compromesso tra il dolore e la gioia. Sui nostri costumi, in vorticosa trasformazione, giudicati perlopiù come un avanzamento, pesa un grande interrogativo sul quale dovremmo cominciare a riflettere.
Ritengo che tra la più arcaistica tradizione e un movimento in avanti senza saggezza si possa scoprire un’arte del vivere migliore. Non possiamo eliminare l’infinito dei desideri ma il suo doppio taglio può ferirci, per cui l’infinità va ancora una volta moderata con quelle disposizioni dell’animo che rappresentano i limiti e che si chiamavano «virtù». Ucciso Dio per indiare noi stessi, esse servono ancora? Sì, perché dobbiamo preparare un secondo «periodo assiale». In una manciata di decenni abbiamo smantellato un cammino dell’umanità durato due millenni e mezzo. Oltre all’individuo esiste l’umanità e oltre alla casa l’universo. Questo Tutto possiamo chiamarlo Dio oppure no, possiamo viverlo religiosamente oppure no, ma questa cosa tanto più vasta di noi non può mancare all’animo e la morale è la mediazione indispensabile tra la Persona – in cui siamo specialisti – e il Tutto – in cui siamo analfabeti.