la Repubblica, 30 gennaio 2024
Sinner ricorda Ashe
Caro Gianni, quanto avrei voluto chiamarti domenica mattina, come ci capitava durante le partite emotivamente più ardue, per capire che cosa stava succedendo a Sinner, sotto di due set a zero con quel satanasso di Medvedev e lo sguardo un po’ smarrito di chi non sapeva bene che cosa fare. Così, non potendo chiamare te là dove sei ora, ho chiamato un nostro comune amico francese, che tu apprezzavi molto come giocatore (è stato uno deglihandsome eight,i cosidetti “otto belli” del team professionistico di Lamar Hunt), e gli ho chiesto lumi, e speranza, sul tre pari del terzo set, quando Sinner sembrava aggrappato al risultato più per disperazione che per convinzione. “Ce n’est pas fini”, non è finita, mi ha risposto. E ho pensato che probabilmente mi avresti risposto così anche tu, che, da ex giocatore vero, ironizzavi spesso sul mio braccino mentale da tennista della domenica, ricordandomi che un incontro è davvero finito solo quando l’arbitro dice: “Game, set and match”.E avresti avuto ragione e chissà che cosa avresti scritto nelle tue famose «palle roventi», la rubrica che ti eri inventato quando ti davano poche righe per le tue cronache dei tornei (ma stavolta te ne avrebbero date quante ne volevi!). Anche perché tu questo Slam lo hai sempre considerato uno dei più belli, non hai mai voluto perderne uno finché hai potuto viaggiare. Amavi tantissimo l’Australia, ti ha sempre ispirato racconti bellissimi e non solo tennistici. E ammiravi molto i tennisti australiani, i figli del «mago Hopman», quel grandissimo scopritoredi talenti che in Italia abbiamo conosciuto grazie ai tuoi ritratti: la forza devastante di Lew Hoad, la tecnica raffinatissima del «maestrino» Ken Rosewall, i «gemelli stregoni», come li chiamavi tu. Poi, sopra tutti gli altri, Rod Laver, the Rocket, il razzo, quello che nel tuo 500 anni di tennis («Il libro italiano più conosciuto dopo la Divina Commedia e Pinocchio», diceva Enzo Biagi) definisci semplicemente «il Genio», vincitore di ben due Grandi Slam, il primo nel 1962 da dilettante e il secondo nel 1969 nell’era Open. Uno che girava con una molla in tasca per rafforzare il braccio e il polso mancini e giocare «tutti quei suoi lift straordinari». Era alto appena un metro e 73 centimetri, ma, come scrivi tu, «venne in mente a qualcuno di misurare l’avambraccio di quell’omino di sessantotto chili, e si scoprì che era 12 pollici, esattamente quello di Rocky Marciano. Il polso, poi, era 7 pollici, uno in più di Floyd Patterson» (per i più giovani, due macisti della boxe).Quell’«omino», che ora ha 85 anni e in gioventù era rosso e capelluto come Sinner (ma non c’erano ancora i Carota Boys), era in tribuna domenica. E sai che cosa ha scritto dopo il match su X, ex Twitter, dove ora, a ragione e più spesso a torto, si usa diffondere il proprio pensiero? Ha scritto che «Italian tennis is in good hands», il tennis italiano è in buone mani.Mi chiedo che cosa avresti scritto tu, così acuto e sorprendente a scovare aggettivi o appellativi per i tennisti e perfino per te stesso (lo Scriba), di Jannik Sinner, che hai potuto soltanto sbirciare da lontano quando ha vinto il Next Gen, divinandone però già le potenzialità. E non potendo leggere quell’articolo, che oggi tutti gli «aficionados» della racchetta, o tutti i «guardoni» del tennis (sono entrambe citazioni), vorrebbero tanto leggere, ho provato a fare un esercizio. Ho sfogliato per l’ennesima volta quella che per me, ma certamente non solo per me, è la bibbia del tennis, i tuoi 500 anni,tradotto in sei lingue, giapponese compreso, per provare a indovinare a chi avresti paragonato Sinner tra i grandi del passato.Ho pensato, per fisico e stile, a Tilden, uno dei tuoi preferiti (ovviamente dopo la «Divina» Suzanne Lenglen), l’«immortale Big Bill», l’americano che dominò a cavallo dei due primi decenni del secolo scorso, colui che, cito, «con un lavoro impietoso costruì un gioco a tutto campo, nuovissimo, una sintesi deiground strokes (i colpi di rimbalzo da fondo, ndr ) di Larned e Whitman, e degli assalti a rete di McLoughlin». In fondo Sinner ora è così e con queste armi ha battuto Djokovic e Medvedev: terrificanti ground strokes e acuminati assalti a rete al momento giusto. Ma poi, sempre rileggendoti, ho scoperto che Tilden aveva un pessimo carattere, era «egocentrico» e finì per essere in contrasto con tutti i dirigenti. Allora mi sono detto che no, non avresti paragonato l’amabile Jannik all’irsuto Big Bill. Mi venuto in mente un altro rimando possibile e non credo che tu lo troveresti tanto bizzarro: Arthur Ashe, fluido nei gesti tecnici e elegante nel fisico, che nel tuo libro definisci «un simbolo di civiltà, non solo per la sua gente». I colori non potrebbero essere più diversi, ma lo stile, in campo e fuori, è lo stesso. E non dipende certo dai colori.