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 2024  gennaio 30 Martedì calendario

Tolstoj e la vecchiaia

Vecchiaia
Mercoledì 17 febbraio 1858. «(…) Mi fa male tutta la testa. Il pensiero della vecchiaia che si avvicina mi tormenta. Mi guardo allo specchio per giornate intere. Lavoro pigramente. Sia nel lavoro fisico sia in quello mentale bisogna stringere i denti»
 
Vecchiaia
Mercoledì 15 settembre 1858. «Sono terribilmente invecchiato, quest’estate mi sono stancato di vivere. Spesso mi capita di chiedermi con terrore: che cosa amo? Niente. Positivamente niente. Tale condizione è penosa. Non c’è possibilità di una felicità vitale; ma è più facile essere pienamente uomo-spirito, “un abitante della terra, ma senza esigenze fisiche”».
 
Vecchiaia
Domenica 9 febbraio 1908. «Quel che sembra un paradosso: che la vecchiaia, l’avvicinamento alla morte e la morte stessa sono una cosa bella, un bene, è una verità indubbia. Io provo questo in me. La salute non va male».
 
Vecchiaia
Martedì 10 marzo 1908. «Ecco come vivo: mi alzo, la testa è fresca e vengono buoni pensieri; li appunto. Mi vesto, e con fatica e piacere porto via l’immondizia, ripulisco la mia stanza. Vado a camminare. Camminando aspetto la posta, non perché ne senta il bisogno, ma per vecchia abitudine. Spesso mi pongo un quesito: quanti passi ci vorranno per arrivare laggiù? e conto, dividendo ogni unità in quattro, sei, otto respirazioni: uno, e a, e a, e a; due, e a, e a, e a… Talvolta, per vecchia abitudine, mi dico che se indovino il numero dei passi, allora… tutto sarà bello. Ma poi mi domando: che cosa, bello? e so che tutto è già bellissimo, e non c’è niente da indovinare. Poi, incontrandomi con la gente, ricordo, o più spesso dimentico, che voglio ricordare che io e lui siamo uno solo. Ricordare questo diventa particolarmente difficile quando si deve discorrere. Poi viene a farmi le feste la cagna Belka, la accarezzo e il filo dei pensieri s’interrompe e io mi irrito per questo e poi mi rimprovero perché mi sono irritato. Mi rimprovero anche perché mi irrito col bastone nel quale inciampo. Ah, ho dimenticato di dire che lavandomi, vestendomi, penso alla povertà del villaggio e avverto con dolore il lusso dei miei vestiti, l’abitudine alla pulizia. Tornando dalla passeggiata mi metto alla corrispondenza. Le lettere dei postulanti mi irritano. Sempre soltanto dopo mi ricordo che sono fratelli, sorelle. Le lodi m’infastidiscono. Mi danno gioia solo le espressioni di comunione. Leggo il giornale Rus. Inorridisco per le condanne a morte. Con mia vergona, i miei occhi cercano T. e L.N., e quando li trovano – più spesso sgradevole. Bevo il caffè. Seguito a non sapermi astenere dal superfluo – e mi metto alle lettere».
 
Vecchiaia
Martedì 12 maggio 1908. «Mi è accaduto oggi qualcosa di nuovo, d’insolito, non so se brutto o bello, ma dev’esser bello, perché tutto quel che è stato, è e sarà, è sempre solo bello: è accaduto che mi sono svegliato con un fortissimo mal di testa, ed era come se avessi dimenticato tutto: che ora è? Che cosa scrivo io? Dove devo andare? Ma, cosa straordinaria!, accanto a ciò c’era una speciale, sottile sensibilità per il bene: ho visto un bambino che dormiva in terra: ho penato con lui; ho visto delle donne che lavoravano: ho avvertito in modo particolare la vergogna. La gente che è venuta non mi ha stizzito, ma fatto compassione. Così questo assolutamente non è per il peggio, ma per il meglio. Ho riletto qua e là il mio lavoro La legge della violenza e la legge dell’amore e mi è piaciuto, e l’ho finito. Ieri con pena tormentosa ho appreso dei venti contadini impiccati. Ho cominciato a dettare al fonografo, ma non ho potuto andare avanti per la commozione e l’ira».
 
Notizie tratte da: Lev Nikolaevič Tolstoj I diari. 1847-1910 Longanesi, pag. 812, € 60
 
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