La Stampa, 29 gennaio 2024
La lezione di Benigni sulla Madonna
Fulvia CapraraRoberto Benigni ha incontrato la Madonna. È successo tre volte, un faccia a faccia che gli ha regalato riflessioni sul femminile molto più nitide di tanti discorsi teorici e di tante prese di posizione: «Si parla del femminismo, ma la Madonna quanto ha fatto...». Nella sede romana dell’Università di Notre Dame, l’autore premio Oscar ha appena ricevuto il dottorato honoris causa perché, come ha spiegato il presidente dell’Università Reverendo John I. Jenkins «attraverso la sua narrazione innovativa e schietta, ha invitato tutti coloro che sperimentano la sua arte a un rapporto più profondo con l’umanità e il divino». Una relazione che Benigni non smette mai di nutrire e infatti, anche ieri, ha saputo trasformare l’entusiasmo genuino per il riconoscimento in un racconto vivido, personale e insieme universale: «Sono nato in provincia di Arezzo, la mia famiglia viene da San Sepolcro, mia madre era poverissima, la sua era una povertà aristocratica, non ho mai visto una principessa come lei. Quando era incinta di me mangiava solo cocomero e anguria, non aveva altro, e aveva paura che il parto andasse male. Le sue amiche le hanno detto di andare a pregare a Monterchi, in una chiesa dove c’era una Madonna che faceva miracoli».Il dipinto di Piero della Francesca intitolato La Madonna del parto riuscì a rincuorare la mamma in attesa: «Sono andato a vederlo per tutta la vita, sono svenuto davanti a tanta bellezza. Il parto andò bene, almeno fisicamente, poi non so se quello che è nato sia stato proprio un miracolo riuscito al cento per cento». Di quel quadro, continua Benigni, colpisce l’assenza di regalità: «È il volto di una dolcissima bellezza giovanile, proprio com’era la mia mamma. È una Madonna talmente umana da sembrare quasi atea, in lei non c’era posto per il divino, era una donna di quei luoghi, come mia madre». Il desiderio di tornare dietro la macchina da presa è sempre vivo («vorrei fare un film anche piccolo, in cui ci si possa lasciare andare a un momento di gioia e di spensieratezza, ma, per dare gioia, bisogna avere sulle spalle tutto il dolore del mondo»), eppure le Madonne, o meglio le donne, ieri, erano più importanti. Hanno rubato la scena, e sono diventate protagoniste del discorso di ringraziamento: «La seconda Madonna l’ho vista a Roma, alle Scuderie del Quirinale, era nell’Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto, mamma mia quanto mi è piaciuta. Per la prima volta ho visto una Madonna turbata, che ha quasi paura. Che rivoluzione che ha fatto la Madonna! Su questo il pensiero filosofico non è andato in profondità, ci sono riuscite, invece, le arti figurative». Il sì che la Madonna ha pronunciato in quell’attimo è, secondo Benigni «un sì sofferto, quando la Madonna dice “eccomi” si capisce che ci ha pensato, come se avesse parlato con se stessa, come se avesse esclamato “proprio a me deve capitare questa cosa!”. Il suo sì ha rivoluzionato la storia del mondo, di tutti noi, ma lei ha deciso di dirlo, non è andata a casa dai genitori, Gioacchino e Anna, per discuterne, ha preso la sua decisione con sofferenza». La terza Madonna è apparsa a Dresda, è la Madonna Sistina di Raffaello, scoperta durante una Berlinale, mentre Benigni era membro della giuria della giuria del festival: «Quando sei davanti a quel quadro capisci subito che siamo immortali, che la vita non finirà mai, che anche se l’umanità dovesse sparire, a vedere quel quadro andrebbero gli animali, i topi, i cavalli. È un quadro immenso, incredibile, mentre lo guardavo ho avuto l’impressione che la Madonna mi si avvicinasse, con il bambino in braccio. Hanno tutti e due facce serene, invincibili, immortali. Da loro si sprigiona una forza prodigiosa e quieta, la gioia di essere creature vive in questo mondo, sanno che nemmeno la morte li vincerà». D’altra parte, riflette ancora Benigni, «tutta la religione cristiana si basa sul concetto della resurrezione, una cosa che mi è sempre piaciuta molto. Se la nascita è stata una sorpresa, perché mai non dovrebbe esserlo anche la morte?».Poesia e arte figurativa, sostiene ancora l’autore, hanno battuto il pensiero. Per questo, il volo dagli incontri ravvicinati con la Vergine ai versi di Dante diventa un’acrobazia facile facile, che incanta gli invitati alla cerimonia così come gli altri neo-laureati (la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta, Monsignor Brian Augustine Farrell): «Dante Alighieri ha descritto la Madonna con la stessa grandezza di quei quadri, in un una poesia che è, insieme, una preghiera». Il cinema, in questa fase, è un pensiero stupendo che vive anche dei successi degli altri: «Il fatto che escano tante cose belle – dice Benigni – fa crescere in me la voglia di farne anche io». I riferimenti sono al film di Paola Cortellesi C’è ancora domani e a Io Capitano di Matteo Garrone, l’opera in corsa agli Oscar per cui Benigni si è speso in prima persona, in un video di osservazioni appassionate, realizzato in coppia con il regista: «Matteo è in una buonissima posizione per gli Oscar, ho cercato di sostenerlo con tutte le mie forze, dentro quel film c’è un sentimento immenso». L’ispirazione viene anche dal dolore e il trionfatore della Vita è bella, mai più regista dal 2005, l’anno in cui aveva diretto La tigre e la neve, ne è profondamente consapevole: «Siamo circondati da avvenimenti possenti di cui non è possibile non avvertire il riflesso nel nostro corpo e nella nostra anima, in tutto ciò che ci appartiene. La cosa più grande che deve fare un artista è regalare la gioia, non c’è niente di più bello, ma, per dare gioia, bisogna avere il dolore, e viceversa, perché sono due cose che si tengono insieme. Vorrei fare un piccolo film in cui ci si possa lasciare andare a un momento di spensieratezza, vorrei fare anche io un film pieno di sentimento»