La Stampa, 29 gennaio 2024
Sangiuiano spiega perché è anticomunista
Albert Camus meglio di altri nel suo saggio L’homme révolté (L’uomo in rivolta) mette sotto accusa il comunismo e il suo tradimento morale. Lo scrittore francese, nato in Algeria, che pure era stato iscritto al Partito comunista, articolerà una serrata critica, filosofica e storica, al comunismo. Il suo distacco è netto quanto senza compromessi. Lo sconvolgono soprattutto il silenzio e la complicità di tanti intellettuali. Camus afferma un bisogno di verità. Nell’articolo 17 giugno 1953, a proposito della dura repressione comunista contro gli operai di Berlino Est, scrive: «Questa rivolta e la grande lezione che ne deriva, e la repressione che l’ha seguita, ecco, questa rivolta non meriterebbe alcune riflessioni? Non meriterebbe, dopo tante posizioni annunciate a vanvera, una dichiarazione di solidarietà ferma e chiara?». Camus, che vincerà il Nobel nel 1957, criticherà aspramente l’invasione dell’Ungheria del 1956 e difenderà lo scrittore dissidente Boris Pasternak, l’autore de Il dottor Zivago, attirandosi le antipatie del ministro degli esteri sovietico, Dimitry Šepilov. Per queste sue posizioni sarà anche isolato da una certa intellighenzia europea filocomunista, per convinzione, convenienza o moda. Gli restano accanto due intellettuali, Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone, che in Italia avevano subito una sorte analoga.La delusione del comunismo e il passaggio all’anticomunismo è il tratto comune di altri eccellenti intellettuali francesi: André Gide, di cui il Partito comunista francese tentò di impedire la pubblicazione del libro Ritorno dall’Urss, e André Malraux, che diventerà ministro della Cultura di De Gaulle.Il 19 settembre del 2019 il Parlamento europeo ha approvato con 535 voti a favore una risoluzione nella quale si enuncia, a chiare lettere, una netta condanna tanto del nazismo quanto del comunismo. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno votato il documento, esprimendosi dunque contro il nazifascismo; il Pd si è spaccato: la maggioranza ha votato a favore, una parte si è dissociata. Renew, il gruppo che si richiama al presidente Macron, ha votato a favore. Questo voto, per certi versi storico, ha avuto scarso rilievo nei media italiani, mentre ha goduto di uno spazio accettabile nel resto d’Europa. È importante leggere la risoluzione: «L’integrazione europea è stata una risposta alle sofferenze inflitte da due guerre mondiali e dalla tirannia nazista, che ha portato all’Olocausto, e all’espansione dei regimi comunisti totalitari e antidemocratici nell’Europa centrale e orientale». Dunque, l’Europa nasce come risposta alle due barbarie, del nazifascismo e del comunismo. Nella parte conclusiva si annota: «Esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni Paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti sia comunisti».La risoluzione raccoglie un sentimento largamente diffuso in Europa. Lo storico Stéphane Courtois quantifica in 85 milioni le vittime del comunismo, nelle sue varie declinazioni geografiche, in Europa e in Asia. Un orrore cristallizzato nelle pagine del Nobel Aleksandr Solženicyn e dello storico Robert Conquest.Su questa risoluzione occorre subito notare un certo europeismo à la carte: si è europeisti convinti quando conviene, si accantona malamente l’Europa quando non conviene.La questione centrale è semplice: perché non dichiararsi anticomunisti? Dopo essersi dichiarati antifascisti, convergendo dunque sulla posizione maggioritaria in Europa. Benedetto Croce, promotore ed estensore del Manifesto degli intellettuali antifascisti, si dichiarò con grande limpidezza tanto antifascista quanto anticomunista. E per questo il filosofo fu apertamente minacciato da Togliatti, quando scrisse su Rinascita «non lasceremo andare in giro merci avariate».L’obiezione che spesso si muove all’idea di mettere sullo stesso piano fascismo e comunismo è quella che l’Italia ha conosciuto la dittatura fascista ma non quella comunista e che il Pci si sarebbe adoperato per la costruzione della democrazia. È vero: per fortuna l’Italia non è stata sottoposta come l’Est europeo ad una dittatura comunista, mentre ha conosciuto una nefanda dittatura fascista.Tuttavia, questa obiezione ha due punti estremamente deboli. La condanna del comunismo non va relegata a un piano dell’esperienza soggettiva e storica, ma deve contenere una visione filosofica e culturale: non si condanna un assassino solo se ti hanno ucciso un parente, lo si condanna a prescindere. L’altro elemento dirimente è che l’Italia non ha conosciuto la dittatura comunista, ma ha avuto il suo stalinismo e lo ha rinnegato solo tardivamente e con mille ambiguità.Il leader comunista italiano Palmiro Togliatti, per il quale ancora c’è una certa venerazione, fu, a Mosca, vicesegretario del Comintern, ossia il più fedele e stretto collaboratore di Stalin, di cui sono ormai dimostrate le vaste complicità nell’eliminazione fisica degli anarchici in Spagna, nella fucilazione del gruppo dirigente comunista polacco, nella tragedia degli alpini italiani (anche se la questione è controversa) e finanche nell’invio nei gulag di esuli italiani comunisti non pienamente allineati allo stalinismo. Responsabilità a cui fa riferimento anche Giorgio Bocca nella biografia del cosiddetto “Migliore”.Due storici di prim’ordine, Elena Aga Rossi e Viktor Zaslavskij, nel saggio del 1997 Togliatti e Stalin. Il Pci e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, hanno dimostrato sulla base dei documenti resi pubblici dopo la caduta del comunismo il legame forte fra il Pci e Mosca, anche nel determinare la “svolta di Salerno”. Il Pci è per decenni antiatlantista, antiamericano, filosovietico e antieuropeista.Quando, il 17 marzo del 1949, il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi prende la parola davanti all’aula della Camera per illustrare le ragioni dell’adesione al Patto Atlantico, i deputati comunisti scatenano il putiferio e cantano a squarciagola l’Internazionale, a cui risponderanno i democristiani e i liberali cantando l’Inno di Mameli.Del resto, molti protagonisti di quella stagione hanno documentato in saggi di memorialistica la contiguità del comunismo italiano con il peggiore stalinismo. Massimo Caprara, che fu a lungo segretario di Togliatti e poi parlamentare Pci, rivela retroscena inediti in due libri: Quando le botteghe erano oscure e Togliatti, il Komintern e il gatto selvatico. Egli descrive inoltre nel saggio Lavoro riservato. I cassetti segreti del Pci la struttura paramilitare del partito, tenuta in piedi a lungo dal vice segretario Pietro Secchia, con il possesso di armi contro la legge e l’idea mai abbandonata dell’insurrezione armata. Mentre un altro ex dirigente del Pci, Gianni Cervetti, nel libro L’oro di Mosca ha documentato il fiume di denaro che da Mosca arrivava a Botteghe Oscure.Il 7 marzo 1953, in occasione della morte di Stalin, il Pci dirama un comunicato ufficiale nel quale esprime il cordoglio dei comunisti italiani: «Una grave, irreparabile sciagura ci ha colpiti tutti. È morto Giuseppe Stalin, l’uomo al quale milioni di operai, di contadini, di intellettuali italiani guardavano con fiducia e affetto, come al loro capo e alla loro speranza». La nota del comitato centrale del Pci si conclude così: «Gloria eterna a Giuseppe Stalin! Viva il Partito comunista dell’Unione Sovietica! Viva l’indistruttibile amicizia tra il popolo italiano e i popoli dell’Unione Sovietica».Il Pci vota contro i Trattati di Roma, da cui inizia il cammino dell’Europa comunitaria. Renato Mieli racconta in Deserto rosso, memoria autobiografica del percorso che lo portò al ripudio del comunismo, di quando viene incaricato dal vertice del partito, con altri due compagni, di esaminare accuratamente i trattati europei. Concluso l’esame, all’unanimità la commissione raccomandò l’astensione. Giancarlo Pajetta li gelò: «Ci siamo capiti male. L’incarico che vi avevamo affidato non era di suggerire come il Pci avrebbe dovuto regolarsi nella votazione in Parlamento. Questo l’avevamo già deciso, stabilendo fin da principio che avremmo votato contro».Dopo l’invasione dell’Ungheria del ’56, «l’indimenticabile 1956», come lo chiama Pietro Ingrao, la questione comunista esplode fra tanti intellettuali europei, soprattutto in Francia (Camus, Sartre, J. M. Domenach, Edgar Morin, Marguerite Duras) ma anche in Italia dove Italo Calvino, Renzo De Felice e Antonio Giolitti abbandonano il Pci. Elio Vittorini scrive che non ci sia «niente da mutare o sviluppare nel marxismo», per cui si può «solo accettarlo qual è – quale Mosca vuole che sia – o tenersene fuori». Mentre Togliatti definisce «scimmie urlatrici» i giornalisti occidentali che raccontano la repressione nell’Est e pochi anni prima aveva definito il romanzo di George Orwell 1984 «una buffonata informe e noiosa». L’anticomunismo diventa un tratto della cultura europea e lo diventerà ancor più dopo la Cecoslovacchia, con il movimento Charta 77 e poi il riconoscimento del valore morale della dissidenza sovietica, a cominciare da Andrej Sacharov.La storia d’Europa è certamente la lotta strenua al nazifascismo, sconfitto nel 1945, ma anche una dura lotta al comunismo, prima ancora culturale e poi politica. La risoluzione del Parlamento europeo è in linea con tutto ciò e chi non si dichiara anticomunista non è in linea con i principi europei. —