il Fatto Quotidiano, 29 gennaio 2024
“Napolitano ci disse che lo Stato sapeva del ricatto dei boss”
Pubblichiamo alcuni estratti del libro “Il colpo di spugna. Trattativa Stato-mafia: il processo che non si doveva fare” firmato dal pm Antonino Di Matteo e dal giornalista Saverio Lodato, pubblicato da Fuoriscena, in libreria da oggi, 30 gennaio.
Questa sentenza segna uno spartiacque tra due epoche, tra concezioni diverse di approccio investigativo e processuale alle complesse dinamiche dei rapporti tra Cosa Nostra e il potere. Poche pagine pretendono di smontare la valenza probatoria di fatti emersi in anni e anni di lavoro. Lavoro di pubblici ministeri e giudici. (…)
Con un vero colpo di spugna la Cassazione spazza via tutto, anche fatti che in realtà neppure considera, preferendo semplicemente ignorarli. Forse doveva andare così. Non solo gli imputati “istituzionali” (Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno e Marcello Dell’Utri) ma le istituzioni tutte dovevano sgombrare il campo da nubi così nere. Non potevano consentire che in una sentenza definitiva (per quanto assolutoria) venissero consacrati, nero su bianco, rapporti di dialogo e scambio con il nemico dichiarato. Molto meglio, molto più rassicurante per il Paese, ricondurre a mere congetture fatti e rapporti così scabrosi. (…)
Rivendico, adesso che la vicenda processuale è conclusa, il mio diritto a parlare. Anzi, a fronte delle continue mistificazioni e omissioni del sistema dell’informazione, avverto il dovere di farlo. Le sentenze, anche quelle della Suprema Corte, si devono rispettare ma si possono criticare. Tutte. (…)
La sua critica alla Cassazione per essersi presa la libertà di entrare nel merito non ha il peso di una piuma.
Se non fosse così, non staremmo qui a parlarne. È una sentenza tranciante che ha voluto spazzare via, in un colpo solo, il frutto di anni e anni di dibattimento. Una sentenza che inopinatamente ricostruisce ex novo i fatti storici. Con una prospettazione che appare per molti versi lacunosa e sommaria e, per altri aspetti, in contraddizione anche con altre sentenze definitive. Per affermare che non è provata la consumazione della minaccia (reato che – ricordiamolo – si perfeziona quando la stessa è anche semplicemente percepita dal soggetto minacciato), la sentenza arriva a sostenere che non c’è prova che il governo, anche solo uno degli esponenti della compagine governativa, abbia avuto consapevolezza del ricatto mafioso a suon di bombe e attentati.
Il che è difficile da sostenere, se non altro perché le bombe quando esplodono fanno molto rumore… Una Cassazione “minimalista” rispetto al tema gigantesco che era chiamata a trattare. Condivide?
Vorrei risponderle facendole notare che, nella loro scarna motivazione, i giudici sembrano concentrarsi solo sulla posizione del ministro Conso e sostengono che non c’è la prova che egli abbia percepito la minaccia sottesa alle richieste dei mafiosi per l’affievolimento del regime del carcere duro. Le conclusioni alle quali è arrivata la Cassazione non tengono in alcun conto degli elementi di prova di segno contrario e di particolare pregio. Se non altro perché consacrati in dichiarazioni testimoniali di alti esponenti delle istituzioni.
Qui farebbe bene a spiegare a quali testimonianze si riferisce.
Lo stesso ministro Conso aveva dichiarato che la mancata proroga dei decreti dei 41 bis voleva rappresentare “un segnale di distensione verso l’ala moderata della Mafia”. Ma c’è di più. Sono state completamente ignorate le dichiarazioni rese dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Quelle rese dinanzi alla Corte di assise di Palermo all’udienza del 28 ottobre 2014 al Quirinale.
L’udienza di Napolitano: forse il momento più al “calor bianco” di tutto il processo di Palermo, nelle sue varie fasi. Insieme allo scontro istituzionale fra Quirinale e Procura di Palermo affinché non venissero rese pubbliche – anzi venissero addirittura distrutte – le telefonate di Napolitano. (…)
Ma, alla fine, Napolitano accettò di essere interrogato dai giudici di Palermo. E qui voglio riportare testualmente la mia domanda e la risposta di Napolitano che, all’epoca delle stragi del 1993, era presidente della Camera dei deputati. Gli chiesi: “Presidente, quali furono ai più alti livelli istituzionali e politici le reazioni più immediate a quelle stragi? Quali furono in quelle sedi, cioè ai più alti livelli istituzionali, le valutazioni più accreditate sulla matrice e la causale di quelle stragi che tanto profondamente avevano scosso il Paese?”. Il presidente rispose: “La valutazione comune alle autorità istituzionali in generale e di governo in particolare, fu che si trattava di nuovi sussulti di una strategia stragista dell’ala più aggressiva della Mafia, si parlava allora in modo particolare dei corleonesi, e in realtà quegli attentati, che poi colpirono edifici di particolare valore religioso, artistico e così via, si susseguirono secondo una logica che apparve unica e incalzante, per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut-aut, perché questi aut-aut potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure soprattutto di custodia in carcere dei mafiosi o potessero avere per sbocco la destabilizzazione politico-istituzionale del Paese”.
Quindi chi doveva sapere sapeva. Chi doveva capire aveva capito. È questo che vuole dire?
Sì. Le parole di Napolitano rimangono agli atti. La sua fu una risposta estremamente chiara e precisa, che evidenziava come, non solo il governo, ma tutte le più alte istituzioni dello Stato avessero ben compreso la minaccia e le finalità del ricatto. Altro che minaccia solo tentata e non consumata! Altro che conseguente assoluzione anche per i mafiosi! Per sostenere la propria tesi la Cassazione ha dovuto ignorare perfino le dichiarazioni testimoniali di un presidente della Repubblica! Ancora un altro motivo di grande perplessità: la Cassazione, letteralmente ribaltando le conclusioni alle quali erano pervenuti i giudici di Palermo, ritiene che non sia provato alcun nesso causale tra l’iniziativa degli ufficiali del Ros, di intavolare tramite Ciancimino un dialogo con i vertici di Cosa Nostra, e la prosecuzione della strategia stragista con gli “anomali” attentati di Roma, Firenze e Milano. Eppure, le prove deponevano in senso contrario.