La Stampa, 29 gennaio 2024
Irama vuole darsi una ripulita
ROMA
«La moda mi ha sempre appassionato fi da piccolo, ricordo che entravo nei negozi di Etro e mi lasciavo ipnotizzare dai disegni Paisley sui tessuti. Ma quest’anno basta con le canotte traforate e i look un po’ estremi. Sarò più pulito e anche ai capelli darò una bella tagliata. Quello che conta è la canzone». Irama, Filippo Maria Fanti all’anagrafe, gareggerà a Sanremo con Tu no, un brano che scava dentro le emozioni.
Irama, quinta volta al Festival, ormai è un veterano.
«E ogni volta è pazzesco, bellissimo. Sanremo è un posto dove per uno come me è straordinario poter raccontare una storia. Tante partecipazioni, ma mai fra i primi e mi manca quell’emozione. In questo momento del mio percorso mi sento molto vicino alle orchestrazioni, alla musica suonata sul serio e con tutti quei musicisti dietro le spalle mentre mi esibirò so già che mi sentirò in paradiso».
Tu no parla di una donna che fa un passo indietro e soffre per non far soffrire: è una storia autobiografica?
«Quando perdo qualcuno per amore o perché lascia questa vita sono naturalmente portato a scriverne. Ovunque sarai era per mia nonna ma questa volta si parla di relazioni e di chi cercando di non ferire spesso non dice la verità. Un modo di proteggere il proprio compagno o la compagna. Sì, è autobiografico, nel senso che io sono quello lasciato».
La sera dei duetti avrà al fianco un monumento nazionale come Riccardo Cocciante.
«Una fonte di ispirazione per me e per molti della mia generazione. L’essermi avvicinato a lui è per me un onore, penso ci sia un filone emotivo che ci lega. Ci sono canzoni di Cocciante prodotte da Morricone che ho sempre adorato e tengo nel cuore. Averlo a Sanremo sarà un regalo. FaremoQuando finisce un amore, un pezzo che proprio quest’anno compie cinquant’anni. E penso non serva aggiungere altro».
Lei arriva da un talent come Amici: pensa che questo genere di selezioni televisive siano ancora la strada più giusta per arrivare in alto?
«Mi sono trovato a fare il giudice anche io e mi sono sempre detto che per giudicare ragazzi che in qualche caso hanno solo cinque anni meno di me dovessi fare un gran lavoro sulla mia psiche. Mi chiedevo spesso: ma chi sei tu per giudicare? Poi però un po’ di cose le ho fatte e giustificavo il mio operato. Il giudizio però deve essere sempre costruttivo, lo dico a tutti coloro che si trovano a fare i giudici e siedono sulle poltrone ad alzare palette. Mai distruttivi ma costruttivi, deve essere un mantra. Se sbagli una parola puoi distruggere un ragazzo e questa è la più grande responsabilità».
Si parla molto della tossicità nei testi di molti rapper o trapper. Cosa ne pensa? Lei pensa che ci sia da preoccuparsi?
«Parto da una frase di Guccini: “con le canzoni non si fanno le rivoluzioni. Questo è anche il mio pensiero sulla musica e sul suo impatto reale. Quello che dici e canti a migliaia di teenager che ti ascoltano come se fossi l’oracolo è importantissimo. A volte però gli artisti usano le canzoni come tele per raccontare quello che vedono o anche solo quello che immaginano. Quando scriviamo una canzone o una barra dobbiamo mettere in campo molta responsabilità, ma il compito di educare i giovani ce l’hanno i genitori. Il mondo è pieno di input positivi e negativi. Chi ascolta deve potersi fare una sua opinione. Mia madre, se sbagliavo, me le dava di santa ragione e mi faceva capire cosa era giusto o sbagliato. Punto. Il politicamente corretto mi dà la nausea perché è il buonsenso che deve uscirne vincitore».
Nel suo passato prossimo c’è un album registrato con il suo collega Rkomi: dal punto di vista discografico non è andata come ci si aspettava. Cosa le ha lasciato? Pentito?
«Io e Mirko non siamo nati come gruppo ma è stata un’operazione bellissima, un episodio andato come è andato e a noi è andata bene così». —