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 2024  gennaio 29 Lunedì calendario

La strategia dei petrostati


Siamo tutti d’accordo: il riscaldamento globale ci sta minacciando, le emissioni di CO2 di origine antropica sono la causa principale e per evitare la catastrofe bisogna ridurle. Ma bisogna essere anche d’accordo sul «come». Per questo sono nate le Conferenze annuali delle Parti sul clima. Dopo quasi 30 anni dal primo summit e decenni di discussioni, sono ancora uno strumento politico efficace?
Da Berlino a Parigi
Alle COP partecipano 197 Paesi, più la Ue, che hanno sottoscritto la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) firmata a Rio De Janeiro nel 1992, al Summit della Terra.
La prima COP si è tenuta nel 1995 a Berlino. A organizzarla la Germania con una giovane Angela Merkel, allora ministro dell’Ambiente del governo Kohl, che faceva gli onori di casa. Dopo un estenuante negoziato durato una settimana, Merkel riesce a strappare un accordo in cui i firmatari accettano di incontrarsi ogni anno per tenere sotto controllo il riscaldamento globale. Nel 1997 in Giappone, viene siglato il protocollo di Kyoto in cui i Paesi decidono per la prima volta di ridurre del 5,2% le emissioni globali rispetto ai livelli del 1990. Gli Stati Uniti, al tempo maggiore inquinatore mondiale, non aderiscono. Seguono anni di conferenze fallimentari.
Nel 2015, alla COP21 di Parigi, finalmente l’accordo più incisivo: contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale attraverso piani nazionali volontari, e neutralità carbonica per il 2050. Per Cina e Russia l’obiettivo si sposta al 2060 per l’India al 2070. Con la COP26 nel 2021 a Glasgow si è deciso lo stop alla deforestazione entro il 2030, e infine a Dubai (COP28) «l’allontanamento» dai combustibili fossili entro il 2050. Una formula ambigua, partorita dopo un lungo tira e molla per ottenere il consenso di tutti.
Perché Dubai?
L’ultima COP negli Emirati Arabi Uniti è stata la più criticata della storia. Molti si sono chiesti: perché si è scelto un «petrostato» per organizzare la più importante conferenza sul clima? L’assegnazione della COP ogni anno ruota tra i 5 gruppi regionali in cui sono divisi i Paesi dell’Onu: Africa, America Latina e Caraibi, Asia-Pacifico, Europa Orientale, Europa Occidentale e «Altri». In quest’ultimo blocco ci sono anche Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Il gruppo di turno si consulta per stabilire se c’è un Paese che intende candidarsi, e se nessuno in quel blocco si oppone viene inviata una manifestazione di interesse all’UNFCCC. Il segretariato verifica solo che ci siano gli elementi logistici e finanziari per ospitare la conferenza e poi dà il via libera.
Nel 2023 era il turno del gruppo Asia-Pacifico. Gli Emirati Arabi si sono candidati, nessun Paese del blocco ha avuto da ridire e così la COP28 è stata assegnata al sesto esportatore mondiale di petrolio.
Esplode il numero di lobbisti
È il Paese ospitante che di solito indica chi dovrà presiedere e indirizzare i lavori della conferenza. Gli Emirati Arabi Uniti hanno scelto come presidente Sultan Ahmed Al Jaber, ministro dell’Industria e amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, la compagnia petrolifera nazionale. La Bbc ha pubblicato una serie di documenti che accusano Al Jaber di aver approfittato dell’evento per negoziare accordi privati sulla vendita di petrolio durante le riunioni preparatorie della rassegna. A Dubai i lobbisti delle aziende di combustibili fossili accreditati erano un esercito: 2.456. Solo due anni prima a Glasgow erano 503. Alla COP28 c’era anche l’europarlamentare Mohammed Chahim, vicepresidente del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici con delega alla transizione verde: «Ho visto momenti complicati e imbarazzanti – dice a Dataroom – ma anche l’impegno a contribuire al fondo destinato ai Paesi più poveri per superare le conseguenze dell’emergenza climatica. Però nella Ue finora solo Germania e Francia adempiono da sole al 75% degli impegni, si attende la gran parte degli altri Paesi».
Putin ha detto «no»
Nel 2024 l’organizzazione della COP spetta al gruppo regionale dell’Europa Orientale, costituito da 23 Paesi. Si è candidata per prima la Bulgaria, ma Putin ha imposto il veto contro tutti i Paesi della Ue (causa guerra in Ucraina) e la candidatura è stata ritirata. Alla fine, si è fatto avanti l’Azerbaigian. Nonostante nel gruppo sia presente anche l’Armenia, con la quale l’Azerbaigian è in guerra da 30 anni per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, l’ex repubblica sovietica è riuscita a spuntarla. L’Azerbaigian, il cui Pil dipende per il 50% dall’esportazione di petrolio e gas, ha annunciato che il presidente della COP29 sarà Mukhtar Babayev, attuale ministro dell’Ambiente ed ex dirigente della Socar, società produttrice di petrolio e gas di proprietà statale. Il Paese non prevede al momento alcun allontanamento dai fossili, ma un aumento di un terzo della produzione di gas entro il 2033.
La lobby cambia strategia
I costi organizzativi della conferenza, inclusi quelli relativi alla sicurezza, sono a carico del Paese ospitante. La spesa per lo sfarzo decisamente poco sostenibile di Dubai non è nota, mentre si conosce quello che ha sborsato la Francia nel 2015: 187 milioni di euro, ma è riuscita a recuperarne il 20% attraverso gli sponsor, e altri 100 milioni dall’arrivo di migliaia di partecipanti e dall’attività dei privati.
Strada facendo la COP è via via diventata sempre più simile all’Esposizione universale, e qualcuno l’ha anche ribattezzata «la Davos verde» per la presenza di miliardari e star dello spettacolo che sbarcano dai loro jet ultra-inquinanti. Un contesto dove la lobby petrolifera sa muoversi con grande abilità. Se fino a qualche anno fa finanziava a suon di miliardi enti no-profit e organizzazioni pseudo-scientifiche per diffondere fake news sul riscaldamento climatico, ora punta tutte le sue carte sulle nuove tecnologie per catturare le emissioni. Secondo Greenpeace finora questi strumenti hanno dato risultati deludenti e comunque possono solo affiancare, non sostituire il processo di riduzione delle emissioni di CO2. Infatti, nonostante gli impegni presi, i Paesi petroliferi più che investire su nuove tecnologie non mollano la presa. L’ultimo rapporto del «Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente» è molto chiaro: la maggior parte dei Paesi esportatori, tra cui Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Stati Uniti e Canada, pianificano di aumentare la produzione nel prossimo decennio.
Nessuna strada alternativa
Secondo lo studio «Quo Vadis COP?» pubblicato nel 2021 dall’European Capacity Building Initiative, occorre rielaborare il processo decisionale, spalmando i negoziati su diversi pre-meeting annuali, mentre nella sessione finale i Paesi dovrebbero solo firmare gli accordi, evitando così la corsa contro il tempo che spesso produce risultati diluiti e precari.
In parole povere la diplomazia climatica è troppo lenta. Se però pensiamo all’assemblea di condominio e la moltiplichiamo per 197 Paesi, possiamo dire che questa diplomazia si è almeno innescata. Anno dopo anno le conferenze sono riuscite a creare una consapevolezza mondiale. Permettono alle nazioni più vulnerabili di farsi sentire e di confrontarsi con giganti inquinanti come Cina e Stati Uniti. Ne è la prova la visibilità concessa all’alleanza AOSIS, i 39 piccoli Stati insulari che rischiano di essere inghiottiti a causa dell’innalzamento dei mari: nel 2017 l’organizzazione della COP23 è stata assegnata alle isole Figi (la conferenza si è poi tenuta a Bonn, sede dell’UNFCCC, per ragioni logistiche).
Che si faccia sul serio lo dimostra non solo il numero dei lobbisti che crescono ogni anno, ma anche quello dei delegati dei Paesi partecipanti, addetti ai lavori, settore privato, società civile: alla prima COP erano meno di 4 mila, a Dubai hanno sfiorato gli 84 mila. Ma soprattutto un dato indica la necessità di blindare e rafforzare le COP: dal 1995 a oggi la popolazione mondiale è aumentata di 2,4 miliardi di abitanti e le emissioni rilasciate sono state tante quante quelle prodotte nei precedenti 240 anni.
Già... mentre gli uomini discutono la natura agisce.