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 2024  gennaio 29 Lunedì calendario

La rivincita dell’Africa

Federico Rampini
I l nome Transsion non dice nulla a molti italiani. Questa marca cinese di telefonini è balzata tra le Top five , nel quintetto leader sul pianeta, grazie a un boom di vendite dei suoi cellulari in Africa. In un recente viaggio in Tanzania ho visto con i miei occhi l’avanzata poderosa delle aziende indiane in quel Paese. Non mancano i talenti locali dietro alcune storie di successo: per esempio le nuove catene di supermercati e minimarket che invadono il Continente, nomi come Quickmart, Kazyon, Marketsquare. Il boom del commercio digitale africano transita su Jumia (l’Amazon locale) e una miriade di altre app digitali che non richiedono un computer, sono attivabili sul cellulare.
Dietro questi aneddoti c’è una realtà che ci sfugge. La «classe media con potere di consumo dagli standard internazionali» è fatta di 330 milioni di persone in Africa. Sono solo un quarto della popolazione. Però sono l’equivalente di tutti gli abitanti degli Stati Uniti. Chi lo ha capito ha una lunghezza di vantaggio su di noi.
Un nuovo sguardo sull’Africa è la condizione perché il summit internazionale iniziato a Roma sia un successo. In Italia troppo spesso si parla del Continente «dirimpettaio» come di un buco nero di sciagure, calamità e disperazione. Fa notizia solo a proposito di migranti, miseria, siccità, guerre civili. Questa ossessione è funzionale a batterci il petto pronunciando mea culpa: siamo sempre noi la causa di tanta sofferenza. È un’ossessione autoreferenziale: ci fa sentire l’ombelico del mondo, sia pure nella versione più nefasta. Se continuiamo così ci tagliamo fuori da ciò che sta accadendo di nuovo.
Un grande intellettuale africano prematuramente scomparso, il kenyano Binyavanga Wainaina, rivolse una satira pungente contro il nostro catastrofismo, intitolata Come scrivere sull’Africa. Ironizzava così: «In copertina non mettete mai un africano contento. Usate immagini di kalashnikov, individui con le costole sporgenti per la denutrizione, seni nudi. Soggetti tabù, da evitare, la vita normale...».
Ha la popolazione più giovane del pianeta e quella che si urbanizza
più rapida-mente
Il grosso dell’«esodo biblico»
è dalle campagne alle città
Per sfuggire alla caricatura di noi stessi, la prima cosa da riconoscere è la diversità dell’Africa. Ha una superficie che supera Stati Uniti, Cina e India messi assieme. Ha la popolazione più giovane del pianeta e quella che si sta urbanizzando più rapidamente. Quest’ultimo dato è essenziale per rovesciare la narrazione corrente sull’Apocalisse demografica. Il grosso dell’«esodo biblico», tema ricorrente in Italia, è in realtà uno spostamento di massa all’interno dell’Africa stessa, dalle campagne alle città. Fenomeno positivo: il passaggio dall’agricoltura all’economia urbana (anche quando quest’ultima è fatta di attività informali) si accompagna a un aumento dei redditi e a un calo della natalità. Partendo da livelli molto bassi i consumatori africani oggi sono fra quelli il cui potere d’acquisto cresce più rapidamente.
L’Africa non è una nazione, è l’altra premessa fondamentale per salvarsi da generalizzazioni e banalità. I suoi 54 Stati sovrani contengono di tutto: dalle tragedie ai casi virtuosi. Alla percezione negativa degli italiani può contribuire il fatto che le economie più grosse del Continente non sono le più efficienti. La Nigeria ha gravi problemi di sicurezza, il Sudafrica affonda nella corruzione per colpa di una classe dirigente che tradisce la memoria di Nelson Mandela, l’Egitto evita la bancarotta solo grazie agli aiuti del Fondo monetario e ai capitali sauditi, l’Etiopia ha intaccato il suo boom con una ricaduta nei conflitti etnici. Altrove non mancano le situazioni positive. Tra le economie più vitali di recente si sono distinte Senegal, Benin, Ruanda, Kenya, Uganda, Tanzania. A Nord del Sahara spicca il caso del Marocco, Paese che alla tradizionale vocazione turistica è riuscito ad aggiungere un valido tessuto industriale e infrastrutture logistiche importanti.
Capire la diversità non significa sottovalutare i problemi. Una parte dei Paesi africani è attraversata dalle «guerre di religione», con movimenti islamici jihadisti tra i più violenti del mondo, e dall’altra parte una forte crescita del protestantesimo pentecostale. Quest’ultimo, detto anche «la religione del successo», è un fenomeno interessante perché a modo suo può favorire una cultura imprenditoriale.
Possiede
il 30%
di tutte
le materie prime necessarie alla transizione post carbo-nica, perciò si parla di una nuova corsa all’Africa
Il fatto che l’Africa possieda il 30% di tutte le materie prime necessarie alla transizione post carbonica, dà luogo a un’altra variante dell’Afrocalisse. Si sente parlare di una nuova scramble for Africa (corsa all’Africa) da parte delle grandi potenze, termine che fu coniato a proposito della Conferenza di Berlino del 1884-85 che spartì il Continente fra gli imperi europei.
Quello che sta accadendo oggi è ben diverso, avviene sotto il segno di un protagonismo degli africani stessi. Il problema vero è che le classi dirigenti del Continente sono a maggioranza intrise di una visione anti occidentale e questo favorisce l’avanzata di altri soggetti: non solo Cina ma India, Arabia Saudita, Turchia. Il vertice di Roma può contribuire a un’inversione di tendenza.