la Repubblica, 28 gennaio 2024
Sulla dignità
Una giovane infermiera di una Rsa di Taranto è stata “messa in punizione” dal datore di lavoro (drastica riduzione dell’orario e dello stipendio) perché si è iscritta al sindacato. “Qui non eramai successo”, le ha spiegato, molto seccato, il padrone.Mi sono chiesto, leggendo la notizia sull’edizione on line di questo giornale (non tra le più evidenti, il gatto di Nino Frassica è comunque più cliccabile), quale impatto possa avere una notizia come questa sui media: quelli tradizionali e i social. Azzardo una risposta, ovviamente suscettibile di verifiche e (sarebbe bello) di smentite: avrà un impatto molto basso.Nessun furibondo dibattito a base di “vergogna!”, “no, vergognati tu!”. Nessuna appassionata inchiesta televisiva o giornalistica sulla sparizione progressiva del concetto stesso di “diritti del lavoratore”.Vicende come quella di Taranto rimandano a un assetto ottocentesco dei rapporti di classe; o, nella migliore delle ipotesi, agli anni mediani del secolo scorso, quando nelle fabbriche si appendeva il cartello “qui si lavora e non si parla di politica”. Altri soprusi (ugualmente gravi) avrebbero una eco dieci volte maggiore: per esempio il datore di lavoro che palpeggia una dipendente. Fanno notizia solo i soprusi contro l’integrità e la libertà del corpo, solo vero tempio dei tempi moderni.Proviamo, allora, a dirla così: dimezzare (quasi) uno stipendio, e boicottare una dipendente perché ha osato iscriversi a un sindacato, è un attacco alla persona. Al suo corpo fisico. Alla sua vita materiale.Chissà se, mettendola così, ci si rende conto, finalmente, che la libertà è una sola, e comprende, eccome, i diritti economici, politici, sindacali.