la Repubblica, 28 gennaio 2024
La dolce latitanza di Matteo Messina Denaro
Si muoveva da uomo libero e senza paura il boss più ricercato in Italia, Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno stragista, un sicario dei corleonesi, un “affarista”, potendo permettersi il lusso, sfidando lo Stato, come lui stesso ha raccontato a verbale ai magistrati lo scorso luglio, di circolare a Palermo. E lo ha fatto per molti anni. Nel capoluogo aveva il suo dentista, il tatuatore nel centro della città, il mare e le amicizie. Non solo, il boss morto a settembre, parlando ai pm ammette per la prima volta che di professione faceva «il mafioso», ma teneva a dire che la sua vita «non è stata solo mafiosità, sarebbe riduttivo…».Per oltre dieci anni Messina Denaro frequenta lo stesso studio dentistico in via Belgio, zona residenziale alle porte di Palermo. «Ma il dentista non sa nulla di me, mi sono sempre presentato con il nome di Corseri o Curseri, di cui avevo anche il documento». Il procuratore aggiunto Paolo Guido gli chiede come ha fatto a conoscere il dentista: «Scusi, ma non è che essere latitanti significa che non avevo le mie amicizie», risponde. «A Palermo ho chiesto di un dentista bravo, me lo hanno indicato, e ci sono andato».All’epoca, insiste l’aggiunto Guido, quando parla delle sue amicizie, chi intende, a chi si riferisce? «Amici miei privati, personali…», e sottolinea «non professionali», intendendo non mafiosi. U siccu spiega che si recava a Palermo per le sue «condizioni lavorative». «La mia vita non era solo a Campobello (il paese in cui aveva il covo, ndr), dovevo anche gestire la mia latitanza, però dovevo continuare una vita, non potevo vegetare, pur respirando. Avevo un mio ideale mentale».A Palermo, chiede Guido, che vita faceva Messina Denaro? «Libero, come quella di Campobello (il boss girava in auto, incontrava persone a pranzo e a cena, faceva la spesa al supermercato, ndr), perché bene o male voi avete scandagliato Campobello, perché avete avuto terreno fertile, ma in genere sempre quella vita faccio, anche se in un altro contesto, in un’altra zona».E chi ha frequentato? «Palermo laconosco molto bene, fin da piccolo, con mio padre», e rispondendo alle domande, u Siccu aggiunge che ha avuto rapporti con mafiosi ma pure con altri palermitani lontani da Cosa nostra. E per la prima volta ammette di conoscere i fratelli Graviano, boss di Brancaccio, con i quali ha condiviso il periodo stragista, e pure Salvatore Riina. «Le mie amicizie non iniziano e finiscono solo nel mondo che considerate mafioso, no, non è così», spiega il capomafia e aggiunge: «Le mie amicizie erano trasversali».Ma queste persone che frequentava nel capoluogo erano ricche o povere? «Non ho mai fatto questa forma di distinzione», risponde il boss. «Quello che capitava, se dovevo frequentare una persona povera, per quello che intende lei, non è che ci andavo con il Rolex, per una formadi educazione; se invece ero per i fatti miei o con persone che come me hanno il Rolex, non avevo problemi, cioè non avevo quella forma di “annacamento”, come si suol dire, insomma non volevo dimostrare niente a nessuno», dichiara il padrino.Dichiarazioni che si legano a quanto il boss ha detto dodici giorni dopo essere arrivato nel carcere dell’Aquila al medico che lo visitava: «Ora tutta la Palermo bene ha le unghie “ammuccicate”». Un messaggio a una parte della società palermitana che lo ha ospitato? È la zona grigia su cui si indaga alla ricerca dei complici che l’hanno favorito o hanno fatto affari con lui.Il boss conferma di aver frequentato anche posti di mare. Le indagini hanno accertato che fino all’estate del 2022 si accompagnava a una donna che lo portava in uno stabilimento balneare all’Addaura, sulla costa palermitana.U Siccu svela ai pm che evitava di frequentare posti in cui potevano esserci altri mafiosi, «per una mia forma di protezione», per paura di essere riconosciuto.Durante la latitanza l’hanno cercata altri mafiosi per incontrarla? «Tutti mi hanno sempre cercato, perché io sono sempre stato, in quello che voi ritenete mafiosità, io ritengo nel mio mondo, una garanzia per tutti». E aggiunge: «Però negli ultimi tempi mi sono schifato, e la responsabilità è vostra». Sì, Messina Denaro accusava gli investigatori. «Non potete mettere dei menomati che passano per mafiosi, senza offendere i menomati. Perché quando cominciate a prendere basse canaglie, senza voler offendere nessuno, ma per me non sono persone, sono basse canaglie, gente a cui non rivolgo nemmeno il saluto e li arrestate per mafiosità, allora in quel momento il mio mondo è finito, raso al suolo totale», e cita alcuni nomi di pregiudicati.Infine, spiega che i suoi tre tatuaggi sarebbero stati fatti davanti al Teatro Massimo. Sul braccio sinistro a numeri romani aveva tatuata una data: 8 ottobre 1981. «Una data per me importante, a cui sono legato», forse la sua affiliazione a Cosa nostra quando aveva 19 anni e mezzo. «I tatuaggi li ho fatti in epoche diverse, perché ogni cosa deve avere un momento in cui credere in qualcosa». E poi si sofferma su una frase che ha sul fianco: «Questa sarà una mia forma di megalomania, “Alla gloria attraverso la sofferenza”, perchého sofferto».