Corriere della Sera, 28 gennaio 2024
Fascina l’«assente»
Buona domenica, onorevole Marta Fascina: guardi che la stanno cercando.
Chiedono: dov’è? Qualcuno lo sa dov’è? Soffiano da Forza Italia. Malvagi. Gonfi di veleno.
Era appena finita la festa dell’anniversario, venerdì pomeriggio, qui a Roma, all’Eur: ma la perfidia pretende rancore e talento. Nessuno resta appiccicato nel miele, grattano via la retorica dei trent’anni esatti trascorsi da quel giorno (il 26 gennaio del 1994), con Silvio Berlusconi già perfettamente impomatato che entra in politica dentro la celebre videocassetta – «Questo è il Paese che amo…» – con la leggenda della calza o non calza davanti alla telecamera, per finire nel falò dell’enorme mitologia che si sarebbe poi tramutata anche in penosa cronaca giudiziaria. Solo brandelli di nostalgia. Subito – invece – eccoli meschini e spietati, ossessionati dalla quasi vedova del Cavaliere, che gli fu quasi moglie. «Hai capito che Marta Fascina non s’è vista nemmeno stavolta?».
Capito, certo, vero: è sparita di nuovo. Un fantasma con i capelli biondo platino chiusi a chignon, il viso magro e pallido, biancastro, e un luttuoso tailleur nero: resta quest’immagine sfocata della sua ultima apparizione molto mediatica, il 7 novembre scorso, nell’aula di Montecitorio, dove mancava da nove mesi. Con i fotografi che, dall’alto della tribunetta, cercano di avvicinarla a colpi di zoom e i cronisti tutt’intorno quando poi esce in Transatlantico, nella vana speranza di riuscire a farle qualche domanda, intuendo che l’avrebbero rivista poche altre volte (racconta una fonte: «In commissione Difesa, dove ricopre pure il ruolo di segretaria, da quel giorno Marta sarà venuta, forse, una volta. E si tenga presente che, considerate tutte le guerre in corso tra Ucraina e Gaza, ci riuniamo almeno due volte alla settimana»).
Nel partito
Chiacchiere e qualche veleno nel partito dopo la convention: neanche stavolta s’è vista
La storia dell’assenza di quei lunghi nove mesi dai lavori parlamentari – tutti però regolarmente retribuiti con il sontuoso stipendio che conosciamo – è sempre stata raccontata in un miscuglio di bizzarro rispetto e pelosa comprensione. La verità è che a chiunque osasse sollevare il problema veniva ufficiosamente spiegato che Marta era impegnata «a seguire il tramonto politico e umano di Silvio». Doveva bastarci. Ti guardavano storto: non va bene? Gli si faceva segno di sì, certo, ma s’ascoltava e non si prendevano appunti, nemmeno a rispondergli che a tutti noi, gente comune, è capitato di dover seguire il declino di un parente, e talvolta l’agonia, e tutti – spaccati dal dolore, dall’ansia – abbiamo comunque continuato a lavorare. E poi c’è da aggiungere che però proprio lui, il Cavaliere, anche nei giorni peggiori, è sempre stato il plastico e meraviglioso esempio (non per la quasi moglie, chiaramente) di come si debba lavorare sempre, non si debba mai mollare, e infatti lo vedevamo arrivare esausto, barcollante, il braccio sorretto dalla senatrice Licia Ronzulli, il sorriso deformato in un ghigno di fatica, ma era lì che veniva avanti orgoglioso e pieno di rabbiosa dignità tra i velluti rossi di Palazzo Madama.
Non è che la sappiamo lunga: è che al Corriere abbiamo un formidabile archivio. Ricostruire con precisione fatti e circostanze non è complicato. Dopo la morte del Cavaliere, l’onorevole Fascina rimane a Villa San Martino, tra putti dorati e lampadari sempre accesi come a Versailles. I racconti fatti filtrare: vive immersa nel lutto, non riesce a immaginare la sua vita senza Silvio (che, intanto, le ha lasciato in eredità 100 milioni d’euro). Compare, di colpo, l’8 agosto allo stadio di Monza, Trofeo Berlusconi: rigida, un bacio sulla guancia di Pier Silvio, e poi via, di corsa. Un mese dopo spedisce una lettera ai giovani di FI riuniti a Gaeta: «Troppo forte il dolore per l’uomo che ho amato, non posso essere con voi». Non va nemmeno a Paestum, dove è stato organizzato un evento per ricordare il Cavaliere. Fa sapere: piango sempre. A questo punto, Paolo Berlusconi sbotta: «Basta con le lacrime. Ho detto a Marta di trovare la forza per tornare in Parlamento… è un suo dovere!». Mariarosaria Rossi, ex fedelissima del Cavaliere (detta, nei tremendi giorni dei Bunga Bunga, la «badante») usa uno spillo: «Può sempre dimettersi da deputata».
Marta è piegata dal dolore, ma coglie una certa elettricità. Il primo novembre annuncia a Tommaso Labate: «Ho deciso: torno a Montecitorio». Arriverà a Roma a bordo di un jet privato, con due segretari, due giganti di scorta e un dogsitter che tiene al guinzaglio due barboncini.
Il Cavaliere adorava i barboncini (a questo punto, bisognerebbe parlare di Dudù e di Francesca Pascale, ma sarebbe un altro racconto).