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 2024  gennaio 28 Domenica calendario

NEMMENO I MILIARDARI POSSONO SALVARE IL GIORNALISMO – LE TESTATE DI TUTTO IL MONDO COLLASSANO TRA RICAVI A PICCO, LICENZIAMENTI, SCIOPERI E LA MINACCIA DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE CHE INCOMBE – UNA CRISI CHE SOLO APPARENTEMENTE SOMIGLIA A QUELLA DEL 2008: QUESTA VOLTA NESSUNO SI LASCIA ANDARE ALL'OTTIMISMO, PERCHÉ NEANCHE I SALVATAGGI MILIARDARI (BEZOS & CO) SEMBRANO POTER FERMARE IL DECLINO - I SOCIAL CHE NON TIRANO PIÙ I CLIC, I FALLIMENTI DI BUZZFEED E HUFFINGTON POST E LE AGGREGAZIONI -

Traduzione di Marco Zonetti Non è passato poi così tanto tempo da quando l'acquisto di un quotidiano storico da parte di un miliardario era un segno di speranza e ottimismo. Dopo tutto, i miliardari avevano denaro da buttare via e si erano guadagnati i loro patrimoni creando qualcosa di nuovo. Magari potevano anche capire come far funzionare i media?

E che dire dell'attività di private equity, ovvero la sfera d'investimenti finanziari fondata sui piani di risanamento? Si acquisiscono aziende dai bassi rendimenti, le si reinventa e le si porta al successo.

O prendiamo le storiche testate giornalistiche di proprietà familiare: si mantiene l'attività nell'ambito della famiglia senza l'obiettivo di profitti eccessivi, giusto quel livello di stabilità sufficiente a mantenere vivi nome e retaggio.

Purtroppo, a quanto pare, nessuna delle suddette categorie risulta in grado di salvare il declinante settore dei media, nel quale i modelli di business sono ancora inchiodati al passato (programmaticità, questa sconosciuta!) e i modelli editoriali sono pensati per un mondo antecedente a Facebook, Tik Tok e all'intelligenza artificiale.

Il settore del media sta affrontando una crisi che non si vedeva dal caos finanziario del 2008, caratterizzata da licenziamenti e tagli dei costi a ogni piè sospinto. I tagli hanno tutti avuto luogo nel contesto del calo di lettori sul web che ha colpito molti principali editori. Mentre giganti tecnologici come Meta (Instagram, Facebook) e Google si sforzano di trattenere i consumatori sulle loro piattaforme, i vecchi punti di riferimento quali Twitter/X non attirano più tanti lettori e il panorama dei social media si frantuma.

Solo questo mese Washington Post, Los Angeles Times, Time, Condé Nast, Sports Illustrated, Business Insider, New York Daily News, National Geographic e Baltimore Sun hanno fatto notizia per licenziamenti, tagli dei costi, scioperi e fosche previsioni.

Benché la vendita a un fondo di Private Equity non sia mai stata accolta di buon grado da qualsivoglia redazione, un decennio fa l'emergenza di acquirenti facoltosi lo era ampiamente, partendo dal presupposto che - grazie a uno sconfinato conto in banca - il settore delle news avrebbe avuto tempo - e sovvenzioni - per capire che futuro avesse.

L'accordo più degno di nota, ovviamente, vide protagonista l'uomo più ricco del mondo: Jeff Bezos, che nel 2013 acquisì il Washington Post per 250 milioni di dollari. Ma cotale operazione finanziaria all'epoca era ben lungi da essere un caso isolato.

Ricordate quando il co-fondatore di Facebook Chris Hughes acquisì il New Republic? O quando il fondatore di eBay Pierre Omidyar pompò milioni e milioni in una nuova impresa chiamata First Look Media? O quando BuzzFeed rifiutò l'offerta di un miliardo di dollari della Disney? O quando il New York Times si preoccupava dell'HuffPost?

Le operazioni finanziarie di cui sopra sono decisamente un lontano ricordo, visto che Hughes ha scaricato il New Republic nel 2016, che First Look Media licenzia i dipendenti di aziende di sua proprietà quali Intercept e Topic Studios, e che BuzzFeed quota 22 centesimi per azione dopo aver chiuso la sua divisione news e aver acquisito l'HuffPost. E ovviamente il Washington Post di Bezos il mese scorso ha tagliato centinaia di posti di lavoro ricorrendo al cosiddetto "buyout" dei dipendenti, facendoli quindi subentrare nella proprietà così da evitare i licenziamenti.

Naturalmente, nel settore dei media un decennio fa può benissimo equivalere a una vita fa. Ma anche operazioni finanziarie più recenti hanno mostrato segni di tensione, o in alcuni casi di collasso.

Basti guardare il Los Angeles Times di proprietà del dottor Patrick Soon-Shiong, il miliardario del biotech che ha acquisito il Times da Tronc (ricordate?) per 500 milioni di dollari nel 2018. Ora il patrimonio di Soon-Shiong è in ambasce, con il valore del suo azionariato crollato di miliardi di dollari negli ultimi anni, secondo alcuni rapporti.

Questo mese il veterano dell'emittente televisiva ESPN e del Washington Post Kevin Merida, la cui assunzione fu motivo d'orgoglio per Soon-Shiong, si è dimesso prima di sostanziali e dolorosi tagli ai posti di lavoro (e nel bel mezzo di scontri con la figlia del miliardario). "La decisione di oggi è dolorosa per tutti, ma è imperativo agire d'urgenza e prendere provvedimenti per costruire un giornale vitale e fiorente per le generazioni future. E ci impegniamo a farlo", ha dichiarato Soon-Shiong a The Times mentre partivano i licenziamenti.

Giovedì scorso sempre The Times ha dichiarato che Terry Tang sarebbe diventato editor esecutivo ad interim. Secondo le fonti, la redazione ha appreso dell'assunzione non da Soon-Shiong, bensì da The Wrap.

E poi c'è il Time, la pubblicazione fiore all'occhiello della defunta Time Inc., che è stata venduta al fondatore di Salesforce Marc Benioff nel 2018 per 190 milioni di dollari. L'azienda ha fatto progressi, con i suoi Time Studios che adesso totalizzano ricavi per oltre 100 milioni di dollari, circa un quarto degli affari dell'azienda, secondo la CEO Jess Sibley.

Ma come la Sibley ha detto alla redazione in un memo martedì scorso annunciando licenziamenti in azienda: "Negli ultimi dodici mesi abbiamo ridotto con diligenza le nostre spese. C'è ancora del lavoro da fare." Time, ha notato la CEO, non è ancora remunerativo.

Martedì scorso la rivista Forbes, adesso di proprietà di un gruppo d'investimento con base a Hong Kong, ha annunciato il taglio del tre per cento della sua forza lavoro. E perfino la rivale Bloomberg Businessweek, i cui proprietari vantano grandi disponibilità finanziarie e fanno soldi vendendo decine di migliaia di terminali alle aziende di Wall Street, sta passando alla periodicità mensile.

E poi c'è Sports Illustrated, l'altra grande scommessa del fondatore di Time, Henry Luce. Al momento la rinomata testata è al centro di un tiramolla tra il fondatore della bevanda 5-Hour Energy Manoj Bhargava, che controlla l'azienda editoriale Arena Group, e il fondatore di Authentic Brands Group Jamie Selter, che adesso controlla il brand SI e che l'ha concesso in licenza ad Arena.

La redazione di SI si trova tra due fuochi, con Arena che li licenzia mentre parla di un accordo con ABG, che però  contemporaneamente cerca un nuovo concessore di licenze.

Il presupposto secondo cui i grandi patrimoni possano offrire una via d'uscita dal declino dei media sembra dunque andare in pezzi.

Ma nell'ambito del private equity non è andata molto meglio. Questa settimana la redazione del New York Daily News ha scioperato contro i tagli dei costi da parte della proprietaria Alden Global Capital. E Alden ha venduto il Baltimore Sun a David Smith, presidente del Sinclair Broadcast Group. "Cosa c'è ancora dire dei quotidiani americani?" ha dichiarato in risposta il già reporter del Sun e creatore di The Wire David Simon.

Recurrent Ventures, proprietaria di brand come Popular Science e Field & Stream (che è stato appena venduto, secondo AdWeek), ha raccolto 300 milioni di dollari da Blackstone e da allora ha licenziato un'ottantina di persone. E alla Business Insider, che è di proprietà della Axel Springer spalleggiata da KKR, giovedì scorso è stato licenziato l'8 per cento del personale.

I funzionari di Condé Nast, stimatissimo proprietario di Vogue e del New Yorker controllato dalla famiglia Newhouse, hanno tagliato circa il 5 per cento della forza lavoro incorporando Pitchfork dentro GQ, anche se il sindacato che rappresenta la redazione ha respinto alcuni tagli proposti.

Il settore dei media ha subito batoste sul lato del business, nel quale la pubblicità programmatica e le operazioni finanziarie con marchi storici vantano ancora ricavi esorbitanti, e sul lato del consumatore, una volta abituato a ricavare notizie dagli organi di stampa tradizionali e che ora sceglie invece di affidarsi a TikTok, Apple News o ad altre pubblicazioni digitali di nicchia.

Per poter avere un'attività pubblicitaria funzionante bisogna soddisfare gli operatori di marketing, e per avere un'attività di abbonamenti funzionante bisogna soddisfare i consumatori, e pare che al momento nessuna delle due categorie venga accontentata.

Senza contare il fatto che l'incombente minaccia dell'Intelligenza Artificiale Generativa non ha ancora avuto il suo impatto sul settore, benché gli addetti ai lavori vedano bene ciò che riserva il futuro, come dimostra il contenzioso legale del New York Times contro Microsoft e OpenAI.

La chiave potrebbe essere questa: nel 2008 il mercato pubblicitario fu bastonato dal crash dei mercati, e nuove piattaforme come Facebook, Twitter e YouTube rappresentarono una minaccia tutta nuova per il business dei media storici. Peccato però che all'epoca gli operatori storici non videro ciò che era in serbo nel futuro.

Nel 2024 ci troviamo di fronte a un'altra crisi pubblicitaria, ma sono tutti più informati su come stanno le cose, e, a differenza del passato quando si mantenne a galla grazie a remunerativi accordi fra operatori televisivi, il settore dei notiziari Tv non sarà immune alla moria di ricavi che ha flagellato giornali e siti web.

Come ha scritto il CEO della CNN Mark Thompson alla redazione lo scorso 17 gennaio: "L'universo della Tv tradizionale si sta riducendo in maniera costante. Il passaggio dalla trasmissione lineare a quella digitale ha portato soltanto negli ultimi due anni a un calo di pubblico pari quasi a un quinto, per quanto concerne i canali televisivi di news via cavo negli Stati Uniti."

Insomma, pare proprio che nessuno, né i miliardari, né gli esperti di risanamenti della private equity, né le grandi famiglie, abbiano una percezione sicura di come far funzionare la baracca.