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 2024  gennaio 27 Sabato calendario

Intervista a Mal

Certo che con il nome Mal le battute sceme si saranno sprecate.
«C’è sempre qualcuno che fa lo spiritoso. Così ho realizzato delle magliette con la mia faccia e la scritta “Mal di denti”, “Mal di testa”, “Mal di pancia”. Più una in cui sono appoggiato a un furgone Fiat: e diventa“Mal-e-Ducato” (“malediùcato”). Sono rimaste pezzi unici, non ho trovato lo sponsor, peccato».
Perché Mal?
«Una dedica per mio cugino Malcolm, gli ero molto affezionato. Gallese come me, musicista, stava nel gruppo che nei primi anni Sessanta apriva i concerti dei Beatles».
Dal 1989 è cittadino italiano, ormai uno di noi.
«Arrivai nel ’66. Mi sono dovuto abituare a guidare dalla parte opposta e ho capito che fare la fila ordinata non era previsto. La prima cosa che ho imparato sono state le parolacce. Ormai però a casa non torno quasi più, penso in italiano, in inglese non mi vengono le parole. E gesticolo quando parlo, come voi».
Il tè alle cinque?
«Mai bevuto».
C’è una cosa però che non è cambiata.
«L’accento alla Stanlio e Ollio è rimasto. Colpa di Tenco».
Che c’entra Tenco?
«Il mio primo manager, Alberigo Crocetta, proprietario del Piper, mi invitò a casa sua per provare due brani. C’erano Sergio Bardotti e un ragazzo che non conoscevo, silenzioso. Una era Yeeeeeeh! Cominciava così: “I tuoi occhi sono fari abbaglianti e io ci sono davanti”. Uno scioglilingua, non ci riuscivo. “Se volete, vado a scuola di dizione”. Intervenne lo sconosciuto: “No, continua a parlare così, avrai successo”. Era Luigi Tenco».
Si consolerà sentendo noi parlare inglese. Come se la cavano i nostri cantanti?
«Meglio di come io canto in italiano. Però oggi negli studi di registrazione si fanno miracoli, si corregge ogni sillaba».
La pronuncia dei Måneskin com’è?
«Quando al Cantante Mascherato ho fatto Beggin’, sono andato a prendermi il brano originale di Frankie Valli, perché dalla loro versione non si capiva niente».
Non la fanno impazzire.
«Bravi, però non hanno inventato niente, adesso i ragazzi sono tutti pieni di tatuaggi, piercing, mezzi nudi».
Gino Paoli dice che «oggi emergono le cantanti che mostrano il fondoschiena». Elodie si è risentita.
«Bella ragazza, che poi non è nemmeno lei che decide di cantare con le chiappe di fuori, ma chi la consiglia. Negli spot tv però ho notato che è vestitissima. Così è molto più sexy, anche se io preferisco le donne un po’ più femminili».
Cominciò come apprendista elettricista.
«Per 2 sterline e 12 scellini a settimana. Già suonavo la sera nei pub, a letto alle 4, mi alzavo alle sei, per arrivare in fabbrica facevo 10 km in bici. Piantavo pali della luce. Con le scarpe chiodate li scalavo per attaccare i cavi. Un giorno ho messo male il piede, per frenare la caduta mi sono riempito le braccia di schegge. Mi sono licenziato».
Il viaggio da Londra a Roma con i Primitives.
«Partimmo su un pulmino blu scassato. Con tanica e tubo di gomma per succhiare la benzina dalle auto in sosta».
La ragazza del Piper era Patty Pravo.
«Bella, però non era il mio tipo. Con Nicoletta avrei dovuto cantare La spada nel cuore a Sanremo 1970, invece presero Little Tony».
Il flirt con Dori Ghezzi.
«Siamo stati molto vicini, pure al Cantagiro. Davvero carina, aveva tanti ammiratori».
I capelli come i Beatles.
«Non imitavo nessuno, mi piacevano così».
Il successo fu travolgente.
«Ricevevo centinaia di lettere d’amore. Una professoressa di Genova mi scriveva ogni giorno, su carta azzurra, ai concerti era in prima fila con un mazzo di rose».
Non solo lei.
«Una dodicenne scappò di casa e si presentò al residence con un cagnolino per me, il portiere era disperato».
Anche in gruppo vacanze.
«Mamma se li trovava sulla porta di casa, a Oxford. Li invitava a pranzo, li ospitava, dormivano nel mio letto. Dalla mia cameretta è sparito tutto, pure il diploma di nuoto».
Lei mica si tirava indietro.
«Ho avuto molte avventure, ma fidanzate vere, poche».
Spendeva tutto.
«Mica guadagnavo tanto però. Agli inizi il mio discografico mi pagava strumenti, vestiti, hotel, in più mi dava un piccolo stipendio».
E la Porsche aragosta?
«Me la regalò lui, dopo il primo successo. Bellissima, costava 5 milioni di lire».
Un colorino discreto.
«Andava di moda».
Vestito da damerino.
«Avevo un sarto personale a Roma, con braccia e gambe lunghe gli abiti pronti mi stavano sempre corti o larghi. Mi chiamavano “Sua Eccellenza” perché sembravo un lord inglese ma non lo ero».
Le sfide in auto con Giacomo Agostini.
«Noou! Giravamo insieme Amore Formula 2. Decidemmo di andare a cena a via Veneto. Giacomo partì per primo. Io guidavo una De Tomaso Mangusta arancione. Aveva le due gomme posteriori più alte. Ne trovai una a terra. Mi aiutò un tizio, l’aveva bucata lui per prendere la mancia».
Ci si arrangiava.
«La ruota di scorta era piccola. L’auto era sbilanciata. Pioveva. Per colpa di un binario del tram e delle foglie morte, slittai e finii sopra il marciapiede e contro un palo della luce. I Parioli rimasero al buio per ore. Giacomo tornò a vedere che fine avevo fatto. Arrivarono i paparazzi. E i giornali scrissero che facevamo le corse spericolate».
Di colpo passò di moda.
«Nei primi anni Settanta andavano molto i cantautori, io, Morandi e Ranieri eravamo rimasti senza canzoni».
«Furia cavallo del West/che beve solo caffè/per mantenere il suo pelo/ il più nero che c’è»: non si vergognava un po’ a cantarla?
«No, tanti colleghi incidevano canzoni per bambini. Un successo strepitoso, vendette 1 milione e mezzo di copie in un mese. Purtroppo firmai il contratto per l’uno per cento dei guadagni, incassarono tutto i fratelli De Angelis».
Disse che le rovinò la vita.
«Scherzavo».
Grazie a «Furia» ha conosciuto la sua Renata.
«Era il 1989. In un locale vicino Treviso, mi chiese di cantarla, vidi che era una bella ragazza e la invitai sul palco con me per il ritornello. Da lì partì un lungo corteggiamento».
Perché non l’ha sposata?
«Glielo racconto la prossima volta».