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 2024  gennaio 21 Domenica calendario

Ultime sulla questione meridionale

Le parole contano, specialmente se scritte nella Costituzione. La parola Mezzogiorno, che era presente nella Costituzione del 1948, fu cancellata nel 2001. Questa modificazione è passata quasi inosservata. Ma il passaggio ha significato che le sorti del Sud sono state messe largamente nelle stesse mani della popolazione meridionale, con l’autonomia regionale che, tuttavia, ha messo in luce un altro divario, più profondo di quello economico, quello di capacità istituzionale.
La questione meridionale, con l’inizio del nuovo millennio, ha assunto caratteristiche diverse. Da una parte, si è frammentata: da una questione meridionale si è passati a tante questioni meridionali. Dall’altra, sono stati chiamati a curarla l’Unione europea e le regioni, che hanno preso il posto dello Stato come attori dello sviluppo.
La situazione attuale registra la permanenza di un divario, ma diverso da quello del passato. Il Sud di oggi è in condizioni molto migliori di quello di ieri, ma non è riuscito a raggiungere il Nord perché ha camminato ad un passo diverso (e perché sta aumentando il divario tra Italia ed Europa). Questo è molto significativo se si considera che, al momento dell’Unità, il Sud non era l’unica zona insufficientemente sviluppata del Paese: vi erano anche alcune zone dell’Appennino ligure ed emiliano, il delta del Po, alcune zone dell’arco alpino. Queste, però, si sono integrate nello sviluppo, mentre il Sud è rimasto indietro. Si può quindi ripetere quello che ha scritto più di cinquant’anni fa Pasquale Saraceno circa la mancata unificazione economica dopo più di centocinquant’anni dall’unificazione politica. Cavour, Crispi, Giolitti, Mussolini, De Gasperi non sono riusciti a unire davvero il Paese.
Questi due libri sono dedicati agli ultimi anni della questione meridionale. Quello di Sbrana (di cui aveva parlato sulla Domenica anche Giuseppe Lupo) considera l’ultimo cinquantennio. Inizia dal 1955 con la nascita del Movimento per l’autonomia regionale piemontese. Ricorda che gli anni 70 registrarono un sostegno molto diffuso nel Paese verso il Mezzogiorno, menzionato anche negli statuti regionali del Nord. Quando lo sviluppo del Nord entrò in crisi, al centro della politica del Paese giunse la questione settentrionale, al posto di quella meridionale. Gli stessi sindacati erano divisi e le regioni non realizzarono le speranze e le aspettative, perché, anziché portare benefici al Mezzogiorno, finirono per produrre conseguenze negative, per il modo in cui furono trasferite le funzioni, per la cattiva politica, per la cattiva amministrazione, e perché l’efficienza delle regioni ricalcò il loro livello di sviluppo.
Si aggiunsero l’insofferenza del Nord per la questione meridionale, la fine ingloriosa della Cassa per il mezzogiorno, la costituzione della Agensud, la fine della solidarietà Nord-Sud, le tensioni innescate dalla Lega Nord, che visse una contrapposizione verso i meridionali fin dall’origine, anche se non fu la prima a provocare la chiusura del Nord verso il Sud. Seguirono la riforma del titolo V della Costituzione e i successi politici della Lega Nord.
Il libro di Petralia e Prezioso è invece concentrato sull’ultimo ventennio, che gli autori scandiscono in tre parti. I primi anni registrarono le trasformazioni dovute all’euro e la globalizzazione. Negli anni dal 2008 al 2014 la lunga crisi portò al sopravvento della questione settentrionale su quella meridionale. Dal 2014 al 2022 seguirono la crisi della pandemia e i tentativi di innescare un nuovo sviluppo attraverso il Piano nazionale di ripresa e di resilienza. I due autori analizzano i fattori determinanti, quali investimenti, spesa pubblica, occupazione, natalità, emigrazione, e considerano il divario Nord-Sud nel quadro del divario Italia-Unione Europea.
Questi due libri considerano come la questione meridionale si è sviluppata e come è stata valutata dalle politiche nazionali. Il primo dei due, fondato anche sullo studio degli archivi sindacali e dell’archivio Saraceno, analizza in prevalenza il dibattito politico e sindacale che ha caratterizzato questi anni, mentre il secondo volume è fondato maggiormente su dati di carattere statistico relativi ai maggiori indicatori del divario.
In ambedue i libri emergono fattori della questione meridionale che non sono al centro delle analisi classiche. Uno è costituito dal ruolo dell’emigrazione meridionale, prevalentemente verso il Nord, 4 milioni nel primo venticinquennio del secondo dopoguerra e 1 milione nel primo ventennio di questo nuovo secolo.
Un altro è relativo alle culture organizzative e alla capacità istituzionale, di cui fa parte anche il capitolo della meridionalizzazione dello Stato, che ha certamente contribuito, riempiendo di meridionali i ruoli pubblici, a ridurre le tensioni tra Nord e Sud, ma che ha anche contribuito a ridurre la capacità amministrativa della funzione pubblica a causa dell’assenza di una cultura organizzativa diffusa nel Mezzogiorno, a sua volta prodotta anche dalla mancata industrializzazione.
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Filippo Sbrana
Nord contro Sud.
La grande frattura
dell’Italia repubblicana
Carocci, pagg. 246, € 27
Carmelo Petraglia,
Stefano Prezioso
Nord e Sud.
Divari economici e politiche
pubbliche dall’euro
alla pandemia
Carocci, pagg. 144, € 16