La Stampa, 26 gennaio 2024
Intervista a Enzo Ghigo
Lo racconta con l’emozione di allora anche se sono trascorsi trent’anni da quei fatti e lui da dieci è guarito dalla malattia della politica. Sull’orlo dei 71, Enzo Ghigo continua a definire quei mesi «i più entusiasmanti della mia vita». Le settimane di quello che Alberoni avrebbe definito all’epoca «uno stato nascente».
Ghigo, ricorda quando tutto è cominciato?
«Perfettamente, come fosse adesso. Era un lunedì, il 13 settembre 1993».
Ma la discesa in campo di Berlusconi è del 26 gennaio 1994…
«Quello fu il giorno dell’annuncio. Ma arrivò dopo una lunga preparazione».
Torniamo al 13 settembre allora. Che cosa accadde?
«Come tutti i lunedì noi dirigenti di Publitalia partecipavamo al Jolly Hotel di Milano2 alla riunione organizzativa della settimana».
Partecipava anche lui?
«No. Il Dottore, come lo chiamavamo allora, in quel periodo veniva raramente. Ci incontravamo tra noi dirigenti. Io ero al vertice del Veneto, altri governavano Publitalia nei diversi territori e settori. Alla fine della riunione accadde una cosa molto strana. La signora Lattuada, la segretaria di Marcello Dell’Utri, si avvicinò a un gruppo di noi e ci disse di seguirla perché Berlusconi ci aspettava nella sua villa di Arcore».
Quanti eravate? Come eravate stati scelti?
«Eravamo 20-25, il vertice dell’azienda».
Un gruppo molto ristretto. La Guardia Repubblicana?
«Dovendo scegliere preferirei “il Giglio magico"».
E vada. Che cosa faceste quel giorno voi del Giglio?
«Ci accolse nel giardino e ci fece visitare la villa. Poi ci portò nel mausoleo che aveva fatto costruire per la famiglia: “Io – disse – verrò seppellito qui”. Alla fine ci fece sedere su una panca».
Scusi, eravate su una panca?
«Sì certo. Ci tenevamo tutti per mano. Disse che era un momento molto importante per lui. Che dovevamo decidere se l’Italia sarebbe stata governata dalla gioiosa macchina da guerra del Pds di Occhetto o se al contrario quella deriva si potesse fermare».
Che cosa temeva? I comunisti al governo o la fine delle sue tv e della sua azienda?
«Direi tutt’è due le cose».
Davvero pensavate che con il Pds di Occhetto sarebbero arrivati i cosacchi a Roma?
«Il comunismo non ci piaceva, volevamo dare all’Italia una sponda conservatrice. Con la nuova legge elettorale varata in quei mesi, con il bipolarismo dei collegi uninominali, Occhetto, disse Berlusconi, avrebbe vinto alla grande».
E i cavalli dei cosacchi sarebbero arrivati in piazza San Pietro.
«Beh, quella era la parte un po’ di propaganda come succede sempre in politica».
Torniamo sulla panca ad Arcore. Che cosa vi propose?
«Ci disse che aveva contattato tutti i leader dei partiti moderati per spingerli a formare un’alleanza contro Occhetto ma che nessuno aveva risposto all’appello. Poi aggiunse: “A questo punto, se nessuno ci sta, dovrò scendere in campo io"».
Disse proprio così, scendere in campo?
«Era logico. Eravamo un’azienda che si occupava di televisioni e di calcio».
Era convinto di vincere?
«Disse che erano stati fatti dei sondaggi e che non sarebbe stato semplice ma ci si poteva riuscire».
Lei come reagì?
«Come i miei colleghi: con grande stupore. Eravamo dirigenti d’azienda, uomini d’affari, non pensavamo certo alla politica».
Allora perché eravate stati scelti dalla segretaria di Dell’Utri?
«Perché eravamo i vertici dell’azienda».
Eravate tutti conservatori?
«Eravamo dirigenti di un’azienda che in quegli anni era stata bersaglio della sinistra. Era abbastanza logico».
Ma non c’era qualcuno che la pensava diversamente?
«Ah sì. Ricordo i due direttori del marketing, Momigliano e Carlotti, che erano di sinistra e che non parteciparono alla campagna politica, com’era loro diritto».
Lei invece?
«Beh io non avevo mai parteggiato per la sinistra. All’epoca votavo socialista».
Bel lapsus. Il Psi non era di sinistra?
«Era il Psi di Craxi che aveva interpretato la nuova effervescenza del mondo economico e della società italiana».
Quindi Forza Italia era la continuazione del craxismo con altri mezzi?
«Più che del craxismo, di quello che allora si chiamava pentapartito, il blocco conservatore della politica italiana».
Trasformare un’azienda in partito non è semplice. Lei non si era accorto della mutazione?
«Prima di quel 13 settembre nessuno di noi se n’era accorto. Ma capimmo che il progetto marciava da tempo. Già ad Arcore Berlusconi ci presentò il kit del candidato e si mise al pianoforte per farci ascoltare per la prima volta l’inno di Forza Italia. Poi ci mandò per l’Italia a reclutare le persone da mettere in lista».
Ci andò anche lei?
«Certo. Ricevevamo adesioni e qualche rifiuto. Fu una fase entusiasmante. Con qualche risvolto quasi comico».
Quale le viene in mente?
«Dopo il reclutamento portammo i candidati ad Arcore a incontrare Berlusconi. Lui li galvanizzò con un discorso. Mentre eravamo nella villa uno di noi, della delegazione piemontese (non faccio il nome perché è morto), cominciò ad aggirarsi per il parco e, pensando che la copertura fosse rigida, mise i piedi sul telone della piscina. Che cedette».
La piscina era vuota?
«No, per fortuna c’era l’acqua e lui cadde dentro. Berlusconi gli diede una tuta per sostituire i vestiti bagnati. Finì con una grande risata».
Per vincere quelle elezioni Berlusconi appoggiò Fini alle elezioni di Roma e si alleò con gli eredi di Salò, unico caso in Europa di coalizione tra moderati e destra estrema. Era proprio il caso?
«C’era un’emergenza e bisognava reagire. Berlusconi si alleò con la Lega al Nord e con gli eredi dell’Msi al Sud mettendo insieme sovranisti e secessionisti. Un capolavoro politico. Dopo poco tempo Fini iniziò il processo di revisione della linea del suo partito che avrebbe portato al congresso di Fiuggi».
Qual è stato il suo rapporto personale con Berlusconi?
«Ho sempre avuto ammirazione per lui. Negli anni in cui ho fatto politica, dal 1994 al 2013, abbiamo avuto un rapporto continuo e leale. Poi qualcosa si è rotto. Lo avvisai della mia decisione di lasciare la politica con una lettera. Avrei dovuto invece andargli a parlare. Lui si arrabbiò».
Perché non ne parlò con lui?
«Perché lo conoscevo e temevo che mi avrebbe convinto a candidarmi di nuovo»