Corriere della Sera, 25 gennaio 2024
La task force per Fleximan
Padova Di certo c’è che negli ultimi mesi, con dei flex elettrici e azioni rapide notturne, sono stati abbattuti autovelox in 15 comuni nel Nord Italia. Uno in Piemonte, due in Lombardia e 13 in Veneto fra il Polesine e il Padovano dove, ultimo in ordine di tempo, ne è stato segato uno a Villa del Conte. Per la prima volta, da maggio, ha pure «firmato» il tonfo e ha avvertito: «Fleximan sta arrivando».
Un guanto di sfida lanciato agli inquirenti che indagano a pieno ritmo da Treviso a Padova passando per Rovigo. Ogni fascicolo ha una sua «attività» autonoma e una procura di competenza. Nessuno ancora si sbottona per svelare se ad agire sia un singolo, una coppia o un gruppo.
«Stiamo lavorando su tutti i fronti non tralasciando il minimo dettaglio – spiega al Corriere il colonnello Michele Cucuglielli, comandante provinciale dei carabinieri di Padova – e collaboriamo non solo con i colleghi delle altre province ma anche con le questure e le polizie locali dei territori dove sono stati commessi i danneggiamenti degli autovelox».
Le indagini sono complesse. L’unica volta che in Veneto è stata ripreso l’abbattimento è avvenuto a Rosolina ma erano incappucciati e l’auto con la quale sono fuggiti aveva la targa oscurata. Troppo poco.
«Oltre alle tecniche “classiche” sul campo sfruttiamo anche le tecnologie – prosegue l’ufficiale che in passato ha dato la caccia ai latitanti del Trapanese —. Abbiamo acquisito sia le immagini delle telecamere di sorveglianza delle zone oggetto dei vandalismi sia quelle dei “targa system” che vigilano sulle cittadine. Li stiamo sviluppando e man mano incrociamo i dati ottenuti. È un lavoro certosino ma che spero porterà a breve a risultati concreti».
Uno spiraglio di ottimismo dettato dal fatto che questo metodo sta stringendo sempre di più il cerchio sulle auto che, in modo ripetuto e sospetto, hanno circolato nelle aree dove, poco prima o subito dopo, i misuratori di velocità sono stati segati. La pista più battuta, infatti, è che la mano di «Fleximan» – o del gruppo che si cela sotto questo nomignolo – sia la stessa fra Padova e Rovigo. Meno plausibile è che abbia agito pure Lombardia e Piemonte dove, ieri, i carabinieri hanno denunciato un 50enne accusandolo di aver sradicato due autovelox a Druogno (Vco).
Tornando al Veneto, l’impressione è che «Fleximan» non si fermerà. «Abbiamo intensificato i controlli notturni impiegando tutte e 100 le “gazzelle” a disposizione – conclude il colonnello Cucuglielli – perché vogliamo arrivare a chi ha commesso dei reati che rendono momentaneamente più insicure le strade: limitare la velocità in certi punti risparmia vite».
Intanto mentre i sindaci veneti si dividono sull’opportuno di reinstallare o meno gli autovelox abbattuti; sui social «Fleximan» è per molti come un novello Robin Hood.
Non ne è sorpresa Annamaria Giannini, professoressa di Psicologia dell’Università Sapienza di Roma, che ha un’idea del suo profilo: «Un tempo chi agiva così era facile da individuare perché erano bravate da adolescenti». Oggi invece l’età potrebbe aiutare poco le indagini. «Con i social sono cambiati anche gli atteggiamenti di chi per anagrafe avrebbe dovuto superare la fase ribelle», argomenta la docente che è anche esperta di psicologia del traffico. Poi aggiunge: «Fleximan può essere tranquillamente un 50enne, insofferente a regole che lui ritiene intollerabili e che pretende di imporre a tutti le sue». A esempio «chi ha ricevuto molte multe e ha deciso di distruggere fisicamente l’oggetto che ha causato la presunta ingiustizia».
Sono comportamenti che potrebbero rivelare devianze: «Sì, sono soggetti con spiccate tendenze egocentriche, con una visione della vita soggettiva e unilaterale che può essersi sentito più legittimato leggendo in Rete che viene chiamato “eroe”. Sceglie di commettere reati perché si sente un vendicatore».
Potrebbe essere, insomma, un insospettabile. «Uno che incontriamo al bar e non giudicheremmo mai capace di essere violento ma che potrebbe in realtà soffrire di “rabbia da strada, una devianza che coglie i guidatori – conclude Giannini –. Dentro l’involucro delle quattroruote diventano aggressivi perché si sentono protetti. Lo stesso principio che anima insospettabili a fomentare odio sui social, celati da uno schermo».