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 2023  dicembre 02 Sabato calendario

Biografia di Alberto Alessi

Alberto Alessi, nato ad Arona (Novara) il 3 dicembre 1946 (77 anni). Imprenditore. Presidente della Alessi (dal 2009); già amministratore delegato e direttore generale. «Alberto Alessi dal 1970 ad oggi ha prodotto più di mille oggetti diversi: cavatappi a forma di uomini e donne, spremiagrumi firmati Philippe Starck, Parmenide, la grattugia che prende il nome di un filosofo, la fruttiera Cactus!, la ciotola per gatti Tigrito e altri best seller che da decenni sono parte dell’arredamento delle case degli italiani» (Giorgia Mecca). «Una vera opera di design deve saper commuovere, emozionare, evocare memorie, sorprendere, trasgredire, deve farci sentire con più precisione che stiamo vivendo la nostra unica vita, insomma deve essere poetica» • «Lo stabilimento è nascosto sopra la strada della valle Strona che collega l’ultima sponda del lago Maggiore alla prima del lago d’Orta. Dalle finestre del suo ufficio si vedono solo alberi. Qui ha fatto fortuna il nonno Giovanni, artigiano imprenditore che nel 1921 costruì a Crusinallo l’officina per la lavorazione della lastra in ottone e alpacca con fonderia» (Myriam De Cesco). «Mio nonno ha sempre avuto una grande passione per le cose belle, per oggetti solidi per la tavola e la cucina. Il design, nel senso corrente del termine, è venuto dopo, con mio padre Carlo» (a Marina Vizzinisi). «Il padre Carlo disegna la famosa serie Bombé nel ’45, poi smette di disegnare, dopo la guerra, per dedicarsi alla gestione dell’azienda» (Luisa Bocchietto). «Solo a metà degli anni Cinquanta iniziò la collaborazione con designer esterni, grazie anche agli sforzi di Ettore Alessi, fratello di Carlo. “La nostra azienda si è evoluta nel tempo come un laboratorio di ricerca per l’arte applicata, un processo che è durato decenni. Noi siamo, per così dire, gli eredi dei grandi movimenti del passato, come le Arts and Crafts inglesi, l’austriaca Wiener Werkstätte e la Bauhaus”, racconta Alberto» (Vizzinisi). «Alberto voleva studiare Psicologia o Architettura, ma il padre lo spinge a laurearsi in Legge. La sua tesi sarà sugli statuti della val Formazza. Il giorno dopo la laurea è già in fabbrica, e poi subito in Germania a visitare i clienti, per capire il mercato. Siamo nel 1970: l’azienda gli appare un po’ tetra, e anche il paesaggio intorno risulta plumbeo. Cerca di allargare i contatti, aprire la rosa delle persone che possano portare respiro. Nel ’71 crea Alessi d’après, una collezione che coinvolge artisti come Cappello, Consagra, Cascella, Pomodoro. L’idea è portare l’arte al grande pubblico con tiratura illimitata. La collezione non funziona. Alberto non si lascia intimorire. Nel ’71 incontra Sottsass, che gli presenta Sapper. Attraverso Modo incontra Mendini, che gli presenta Castiglioni. Tramite Sargiani conosce Grignani, Tovaglia, Munari» (Bocchietto). «“Ettore Sottsass, lo incontrai nel 1971. Allora lui aveva la fama di designer della Olivetti. Io ero giovanissimo, gli esposi la mia idea di allora, che è la stessa di oggi: creare oggetti i più belli e raffinati possibili ma alla portata del grande pubblico. Scoprii che la mia idea era anche la sua”. Quale fu il primo lavoro che gli commissionò? “Un set di vassoi, mai messi in produzione perché erano un po’ troppo costosi per avere successo. Il primo prodotto di successo fu invece un’oliera, best seller negli anni Ottanta, che oggi continua a essere in catalogo”» (Mecca). «Gli anni ’70 sono caratterizzati dalla frequentazione di professionisti di qualità che collaborano con l’azienda. La visione di trasformare la “produzione di arte applicata” in “fabbrica del design italiano” prende corpo. I prodotti si vendono. Il padre Carlo inizia ad andare a pescare; il nuovo condottiero è saldamente in sella» (Bocchietto). «“Il mio primo grande progetto, quando ho iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, è stato […] un omaggio al mio nonno materno, Alfonso Bialetti. Nonno Alfonso ha creato e prodotto la Moka Express, la caffettiera in alluminio che è presente in tutte le cucine italiane da oltre ottant’anni. Nel 1977 ho conosciuto il tedesco Richard Sapper (1932), filosofo e designer, e gli ho chiesto di reinventare la macchinetta del caffè”. È stato un grande successo: la moka di Sapper, che è ancora in produzione, ha vinto il Compasso d’oro nel 1979, il premio di design più prestigioso in Italia, ed è stata il primo prodotto Alessi a essere incluso nella collezione permanente di design del Moma di New York» (Vizzinisi). «I contatti aumentano. Si apre una fase di ricerca di collaborazioni che si renderà evidente con la presentazione della collezione Tea & Coffee Piazza: oggetti da tavola disegnati da architetti e presentati come architetture da tavola. La visibilità di Alessi esplode a livello internazionale. Il segno di Aldo Rossi con il Teatro del Mondo campeggia nella laguna di Venezia durante la Biennale del 1980, che sancisce la nascita del Postmodern, e sulla tavola di chiunque con la Conica di Alessi. Di fatto questo processo di ricerca è per Alessi un modo di individuare gli architetti con i quali continuare a lavorare. Ne usciranno rafforzate le collaborazioni con Aldo Rossi e Michael Graves, con produzioni di grande successo. Starck arriva da solo, conosciuto a Parigi all’Istituto Italiano di Cultura a metà degli anni ’80. Alessi come un direttore d’orchestra dà voce a personaggi diversi, ascolta il mercato, immagina racconti, affascina il pubblico. L’azienda gli sembra troppo autorevole e sente la necessità di aprire ai giovani. I progetti che gli sottopongono sono colorati, non si possono realizzare in metallo, ma sono portatori di novità. L’acciaio non basta più: si aprono le sperimentazioni con il legno e la ceramica, ma è con la plastica che si sviluppano i nuovi progetti come la collezione Family Follows Fiction di Giovannoni, Venturini, Mirri, Giacon. I nuovi prodotti sono più trasparenti e leggeri e meno costosi. Caratterizza gli anni ’90 il design ludico, giocoso, colorato di Venturini, Giovannoni, Starck, che asseconda l’acquisto d’impulso e apre nuovi mercati» (Bocchietto). «Quando ho presentato la collezione di plastica ai negozi leader, credevano che fossi diventato pazzo. Ma è stata proprio questa innovazione che ha abbassato in modo drastico l’età del nostro cliente. I giovani, che non compravano il metallo, sono stati affascinati da colori e forme. Così abbiamo conquistato anche il Giappone». «Nelle prime collezioni i progettisti coinvolti erano una dozzina e la loro presenza più forte, negli ultimi anni c’è maggiore frammentazione. La collezione Tea & Coffee Towers del 2003, in tiratura limitata di 99 esemplari, rappresenta lavori di 23 progettisti tra cui Toyoo Ito, Chipperfield, Fuksas, Hadid. Ogni autore ha un linguaggio diverso e oggi sono più di 400 i designer che collaborano con l’azienda. […] La curiosità spinge Alessi a continui nuovi contatti, tra i più recenti: Fukasawa, Morrison, Wanders, Zumthor. I nuovi percorsi di ricerca si aprono alle partnership negli anni ’90 con Philips nel settore degli elettrodomestici e con Thomson nell’elettronica e si sviluppano con i progetti di licensing nel settore del bagno con Laufen, Oras e Inda, delle cucine con Valcucine, dei telefoni con Siemens, degli orologi con Seiko, del tessile da cucina con Zucchi/Bassetti. Un intero mondo di prodotti declinato secondo Alessi» (Bocchietto). «Dal 2019 Alessi ha fatto spazio a nuovi soci, il fondo inglese Oakley Capital, che ha comprato il 40% dell’azienda. È diventato fondamentale fare sinergia per crescere? “Volevamo espanderci in aree in cui eravamo presenti ma con poco successo. Da Crusinallo facciamo salti mortali per avere una copertura ragionevole in un mondo sempre più globalizzato. Il fondo poteva darci nuove possibilità di sviluppo”» (Mecca). Da ultimo, al Salone del mobile 2023, Alessi ha presentato il suo nuovo marchio, Il Tornitore Matto, «liberamente ispirato al Cappellaio Matto incontrato, nel celebre romanzo di Lewis Carroll, da Alice nel Paese delle Meraviglie. […] Marchio ispirato agli oggetti di una volta e realizzati con il tornio, una delle macchine da lavoro più antiche inventate dall’uomo e con la quale – sin dai primordi dell’umanità – si è data forma alla materia, l’argilla prima e i metalli poi. “Il movimento del tornio mi ha sempre affascinato, è nel Dna di famiglia. Mio nonno Giovanni, fondatore dell’azienda, era un abile tornitore”, racconta Alberto Alessi. “Anche adesso, nell’èra dell’intelligenza artificiale, il movimento del tornio, quel suo girare come la Terra, è sinonimo di creatività. Con questo strumento così semplice e raffinato si possono realizzare opere straordinarie”. Gesti antichi, quelli al tornio, esaltati da Alessi con l’apporto di Giulio Iacchetti e poi di altri designer come Michael Anastassiades, Federico Angi, Andrea Branzi, Pierre Charpin, Michele De Lucchi, Naoto Fukasawa, Paolo Ulian e Nika Zupanc. Loro hanno disegnato, inventato, creato oggetti di semplicità e bellezza utilizzando i metalli di sempre: ferro, acciaio, alluminio, ottone, rame. “Lavorare con il tornio significa andare nel passato”, riflette l’imprenditore omegnese. “Con Il Tornitore Matto, è un ritorno alle origini utile per costruire il futuro. La tornitura in lastra sin dagli anni ’40 è stata la lavorazione tipica della Alessi, sostituita poi dall’imbutitura con pressa. […] A un certo punto della mia vita ho deciso che avrei dovuto imparare anch’io il mestiere di tornitore e ho preso lezioni da un ottimo tira-lastra, il solo rimasto in azienda, Ivano”, conclude Alberto Alessi. “Mi colpiva la dimensione umanizzante e intima di questo lavoro”. Il risultato sono oggetti dalla forma unica che richiamano i casalinghi di un tempo» (Vincenzo Amato) • «Fuori dall’azienda prende vita un altro progetto: quello della produzione del vino, che avviene in una antica tenuta del 1641, sul lago d’Orta. Il vino ha un nome lungo e singolare, “La Signora Eugenia e il Passero Solitario”» (Bocchietto). «Eugenia, nel ’600, era l’antica proprietaria della cascina. Oggi la signora del luogo è mia moglie, il Passero Solitario sono io: passavo di qui, lei mi è piaciuta e mi sono fermato» (a Silvia Nani). «Per arrivare alle prime centinaia di bottiglie di Pinot nero e Chardonnay è servito molto più tempo (e denaro) del previsto, ma in compenso ad Alessi si sono spalancate le porte dell’agricoltura biodinamica, teorizzata da Rudolf Steiner. “È una scoperta che mi ha cambiato la vita”, racconta, “perché ho capito che in fondo il mio ruolo in azienda non è diverso da quello di un buon giardiniere: seminare, aspettare, selezionare i frutti migliori, valorizzarli”» (Marco Ferrando). Il vigneto infatti «è biodinamico: niente chimica, nessun interventismo sul territorio, operazioni fatte in base al calendario lunare. Complicatissimo. E io che pensavo richiedesse meno lavoro…» • Sposato, una figlia • «Un sorriso dolce. Gli occhi celesti. La voce bassa, con qualche pausa impacciata. Si potrebbe prendere per un tipo semplice, ritroso. […] Invece è un “guerriero” forte e astuto» (De Cesco) • «Un industriale emblematico, al contempo canonico, sul piano economico, ed eretico, sul piano filosofico» (Silvana Annicchiarico). «Un mercante di felicità» (Philippe Starck) • Ha indicato quali propri maestri Ettore Sottsass, Achille Castiglioni, Alessandro Mendini e Richard Sapper • Si definisce «design manager». «“In questa professione si hanno due fasi: quella mentale relativa alla preparazione e il progetto vero e proprio. Nella prima fase cerco di guardare al futuro, di immaginare contesti in cui si possano collocare i nuovi prodotti. In questa fase non so ancora chi sia il designer (o i designer). Ciò avviene solo nel momento in cui il contesto acquista corpo. Ci può essere un designer, o ce ne possono essere due, o anche dieci. Poi mi siedo a tavolino con il o i designer per capire chi mi possa aiutare a completare il contesto e realizzarlo. Solo allora il progetto parte, di solito con due o tre designer per ogni progetto”. La seconda fase è il progetto stesso: “Dal momento in cui il designer prende in mano la matita fino al momento in cui il prodotto è in negozio, passano un anno e mezzo, due anni. Al designer si fa un briefing, che può essere a grandi linee oppure avere dei contorni ben precisi, a volte anche con l’indicazione del prezzo finale del prodotto per il consumatore”. È essenziale che l’Alessi e i designer si conoscano e si capiscano bene, perché con il loro lavoro contribuiscono all’immagine dell’azienda. È il compito di Alberto, in quanto design manager, trasmettere l’immagine aziendale al designer. “Sono un designer di designer”» (Vizzinisi) • «La nostra missione consiste nell’esplorare l’immensità del possibile creativo e quindi il nostro destino ci spinge a camminare per strade che non sono state ancora aperte, a battere sentieri sconosciuti per raggiungere il cuore della gente. Un approccio che ci porta a muoverci costantemente su una linea di confine fra la zona del possibile, ciò che potrebbe divenire reale, cioè oggetti realmente amati e posseduti dalla gente, e la zona del non possibile, ciò che non diverrà mai reale, vale a dire oggetti troppo distanti da ciò che il pubblico è pronto a capire e desiderare. Il nostro primo ruolo non è tanto quello di produrre delle lampade o delle caffettiere. È piuttosto quello di mediatori artistici: da una parte le migliori espressioni del design internazionale e dall’altra il cosiddetto mercato, i bisogni del pubblico o, come preferisco dire io, i sogni del pubblico» (a Vincenzo Petraglia). «“Non esito a compiere errori. Cerco sempre quel confine tra successo e fallimento con nuove forme e prodotti. Questo confine non è indicato da nessuna parte esplicitamente, e per scoprire dove si trova devo fare cose che potrebbero anche fallire. Solo in questo modo posso vedere fino a che punto mi posso spingere in quel momento”. Secondo Alessi un prodotto deve suscitare emozioni nei consumatori. “Deve essere bello, interessante o almeno divertente, e soprattutto comprensibile. In caso contrario, non sarà acquistato e quindi sarà un fiasco. Un fiasco dimostra subito che ho attraversato il confine. Naturalmente cerco di non superare questo confine, perché come società non si devono commettere errori troppo spesso. Un fiasco all’anno è sano e ti mantiene all’erta”» (Vizzinisi) • «Distinguo l’ambito progettuale in paranoico e metanoico. I paranoici sono i maestri come Sottsass e Mari, che affermano in modo perentorio ciò che è bello e il pubblico dovrebbe capirlo. In realtà la gente non capisce. L’esempio estremo è la frase di Mari che dice “Quando faccio un progetto e si vende davvero bene, comincio a dubitare che non sia un buon design”. I metanoici, invece, sono quelli che si chinano sul pubblico e cercano di assecondarlo. Il campione è Stefano Giovannoni, anche molto criticato, ma non ne conosco un altro così bravo». «“Sono da sempre attratto da due visioni diametralmente opposte: quella di Mies van der Rohe, l’architetto razionalista tedesco, e quella di Robert Venturi, il padre del movimento postmoderno in architettura. Per il primo il concetto di design è riassumibile nel motto ‘less is more’, cioè ‘il meno è di più’, che è quindi un inno alla semplicità, alla profondità e alla ricerca della vera essenza delle cose. Venturi, invece, ama gli elementi ibridi piuttosto che quelli puri, quelli di compromesso anziché quelli puliti. È un design basato, quindi, sulla complessità e sulla contraddizione, in cui ‘il più non è di meno’. Ma esiste, infine, un terzo orientamento che abbiamo fatto nostro, quello del designer tedesco Dieter Rams: ‘less, but better’, quindi ‘meno, ma meglio’. Il design è un po’ tutto questo, ed è un concetto in continua evoluzione”. Quando possiamo dire di trovarci di fronte a un vero oggetto di design? “Una vera opera di design deve far muovere le persone, trasmettere emozioni, riportare alla mente ricordi, sorprendere, andare controcorrente. Chi si occupa di questo settore lavora con il potenziale espressivo degli oggetti, per cui il design mira a rievocare immagini nelle persone e può essere in grado di rendere queste persone più felici”. È questo, quindi, l’obiettivo finale? “Sì, quello di offrire un po’ di felicità a tutti offrendo allo stesso tempo l’opportunità di migliorare la propria percezione del mondo”» (Petraglia). «Lei parla di valore poetico degli oggetti. Gli oggetti non sono oggetti e basta? “Assolutamente no. Io credo che i bravi designer debbano essere come i poeti. Come il poeta nei suoi versi aggiunge trascendenza alle cose, così il designer deve fare altrettanto con le sue produzioni. Gli oggetti soddisfano il bisogno di arte e di poesia presente in ognuno di noi”» (Mecca) • «Non ci sono più bisogni insoddisfatti. Ma sogni. È sull’immaginario che lavora il design. La poesia guida le mie scelte» • «Per tutta la carriera ho cercato di lavorare nella consapevolezza che, anche se produttori di oggetti in fondo semplici e umili, agiamo in un conteso di cultura materiale, siamo parte del più vasto fermento delle arti applicate. Mi sento un mediatore tra business e cultura» • «Vedere quale nuovo bel progetto mi porterà il prossimo designer continua a essere un buon motivo per scendere dal letto ogni mattina. Dall’inizio degli anni Settanta ho collaborato con centinaia di grandi progettisti e questa è stata l’esperienza più gratificante della mia vita, che tuttora continua a entusiasmarmi. Mi ritengo, infatti, davvero un uomo fortunato, perché ciascuno di questi incontri mi ha lasciato qualcosa di importante. Amo vedere come, ogni volta, l’immensità del possibile creativo prende forma in immagini, parole, gesti, pensieri, nell’eroica impresa di esprimere qualcosa di più grande di noi».