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 2023  dicembre 06 Mercoledì calendario

Biografia di Noam Chomsky (Avram Noam Chomsky)

Noam Chomsky (Avram Noam Chomsky), nato a Filadelfia il 7 dicembre 1928 (95 anni). Linguista. Filosofo. Scienziato cognitivista. Attivista politico. «Pioniere scientifico e guru radical, divo e paria, anarchico anticapitalista e borghese di rango, superpacifista e colluso di tiranni e ideologie sanguinarie, nume della mente e icona antiamericana, mandarino raffinato e bastonatore del demi-monde» (Giulio Meotti). «Qual è stata la sua prima parola? “Non lo so realmente. Ma non mi sorprenderebbe se fosse stata ‘no’”» (Luca Mastrantonio) • Figlio di una coppia di ebrei ashkenaziti nati in Europa orientale ed emigrati negli Stati Uniti per scampare ai pogrom. «La famiglia di mia madre lasciò quella che oggi è la Bielorussia quando lei era una bambina, nel 1905. La famiglia di mio padre fuggì dall’Ucraina zarista nel 1913. Ma non ho mai sentito parlare di legami con quelle terre. A parte i parenti stretti di mio padre, tutti gli altri furono sterminati, a quanto pare, e probabilmente l’intera comunità ebraica nella loro piccola città. L’ultimo parente conosciuto fu ucciso nel 1942 da nazisti ucraini, secondo lo Yad Vashem». «Il padre William è stato un pioniere della lingua ebraica medievale, sfuggito all’arruolamento coatto della Russia zarista. Non si nominava Dio in casa Chomsky, sebbene si rispettasse lo shabbath e le leggi kosher sull’alimentazione. La storia di Chomsky è anche quella di un ripudio ebraico. La madre, arrivata direttamente da un villaggio lituano e nota insegnante di ebraico, fu autrice di libri per bambini su coraggiosi combattenti ebrei che sfidavano i terroristi arabi nella fondazione d’Israele» (Meotti). «Il padre e la madre di Chomsky erano ebrei in prima linea nella lotta per l’emancipazione dei lavoratori, negli States. Ma erano anche persone che, in nome dell’utopia sionista, avevano bandito la loro lingua madre, lo yiddish, per optare invece per l’ebraico, l’idioma che (così pareva) doveva segnare la nascita di un ebreo nuovo, combattente e agricoltore e non più commerciante “privo di radici”» (Włodek Goldkorn). Quando nacque, a Filadelfia, «l’impiegato del Comune sbagliò a trascrivere il nome completo. Credeva che “Noam” fosse una variante di “Naomi”, nome femminile, così femminilizzò “Avram” in “Avrane”: “Sul mio certificato di nascita è scritto ‘Avrane Naomi Chomsky’”, racconta, “l’ho scoperto quando mi serviva una copia. Errori di trascrizione. D’altronde, uno dei motivi che m’ha appassionato alla linguistica fu la scoperta che la Bibbia era stata tradotta male, già dalla prima frase: non è ‘In principio Dio creò’, ma ‘Al principio della creazione era il caos’”» (Mastrantonio). «Da bambino speravo di fare il tassidermista. Mi piaceva la parola, ma non l’idea di imbalsamare gli animali». «Chomsky è stato un bambino prodigio. Il primo articolo, lo scrisse ad appena dieci anni per un giornale locale, ed era dedicato alla guerra civile spagnola. Chomsky, già bastian contrario, parteggiava per i trotzkisti contro gli stalinisti» (Meotti). «Fu precoce anche la scoperta dell’anarchismo. “Ho subìto il fascino degli anarchici spagnoli esuli negli Usa. Tra gli anni Trenta e Quaranta ero adolescente, avevo undici o dodici anni, prendevo il treno per andare dai miei parenti a New York, da solo, nei weekend. Giravo per la città e finivo tra Union Square e Fourth Avenue, dove c’erano librerie di seconda mano gestite da immigrati, tra cui i profughi della guerra civile spagnola, e molti erano anarchici. Mi sembravano vecchi e saggi, anche se magari avevano massimo 30 o 40 anni, ma avevano un sacco di storie da raccontare, dentro e fuori dai libri”» (Mastrantonio). «I miei genitori appartenevano a ciò che si potrebbe definire un ghetto non fisico ma culturale, la comunità ebraica di Philadelphia, che era composta da diverse branche; quella in cui loro erano più coinvolti promuoveva la rinascita dei centri culturali ebraici, con particolare attenzione all’istruzione ebraica. […] Ho frequentato la scuola ebraica e l’università ebraica e, una volta cresciuto, ho iniziato a insegnare alla scuola ebraica. Facevo parte dell’organizzazione di quelli che all’epoca venivano chiamati gruppi della gioventù sionista, che probabilmente oggi sarebbero chiamati anti-sionisti, perché per la maggior parte si opponevano all’idea di uno Stato ebraico. Il mio impegno, fin da quando ero adolescente, va nella direzione di un binazionalismo socialista» (a Mouin Rabbani). Conseguito nel 1955 il dottorato in Linguistica all’Università della Pennsylvania perfezionandosi a Harvard, fu subito assunto al Massachusetts Institute of Technology (Mit) in qualità di «assistant professor», per divenire poi nel 1957 professore associato e nel 1961 professore ordinario di Linguistica; nel 2002 si ritirò dall’insegnamento, divenendo professore emerito e continuando comunque a svolgere i propri studi. In seguito, nel 2017, ha accettato la cattedra di Linguistica dell’Università dell’Arizona. «La storia del linguaggio è stata divisa in “B.C.” e “A.D.”: “Before Chomsky” (prima di lui) e “After his Discoveries” (dopo le sue scoperte). E in mezzo ci sono le guerre con i semiologi decostruzionisti, postmodernisti, strutturalisti. La linguistica americana chomskiana contro quella francese. Tutto inizia in mezzo all’Atlantico in burrasca su una vecchia carcassa affondata dai tedeschi e recuperata dagli americani, un giorno del lontano 1953, quando, in preda al mal di mare, un giovane studente di Linguistica nato a Filadelfia e desideroso di raggiungere l’Europa, Noam Chomsky, si ritira in cabina e viene folgorato da un’idea. E se l’uomo possedesse un organo del linguaggio? Un’entità mentale, astratta ma reale, localizzata nel cervello? […] Chomsky deve la sua importanza al fatto che è il padre contemporaneo della teoria “innatistica” del linguaggio, la “grammatica generativa”. Chomsky considera la linguistica come un aspetto della psicologia umana, come branca che ha a che fare con la capacità umana di padroneggiare una lingua. […] A partire di qui, l’acquisizione di una lingua si spiega solo ipotizzando l’esistenza di una facoltà mentale innata nel cervello, quasi genetica. Se così non fosse, sarebbe impossibile spiegare l’apprendimento da parte dei bambini di lingue straordinariamente complesse sulla base di dati frammentari e scarsi. Un “miracolo”, come l’ha chiamato Chomsky in termini religiosi, decifrabile soltanto ipotizzando una struttura linguistica comune a tutte le lingue e a tutte le menti. In questo quadro, obiettivo chiave della linguistica è quello di fornire una descrizione accurata della cosiddetta “grammatica universale”, da intendersi come il sistema di restrizioni imposte dalla facoltà (innata) del linguaggio sulla struttura di una qualsiasi lingua. […] Con il suo primo libro del 1957, Syntactic Structures, scatenò un terremoto intellettuale. Disse che il linguaggio non era un artificio culturale che esisteva là fuori, nel mondo; è invece parte dello sviluppo umano. Fu bollato come “medievale” e paragonato alla scuola di Port-Royal, che riteneva la grammatica innata e una manifestazione divina. È lì che affondano le origini delle sue polemiche contro il postmodernismo» (Meotti). «“Chomsky ha fatto per la scienza cognitiva quello che Galileo ha fatto alla scienza fisica”, dirà forse con un po’ troppa enfasi Neil Smith, linguista allo University College di Londra. Steven Pinker, collega di Chomsky al Mit e su posizioni opposte alle sue, dice che quella generativa è diventata “la teoria da battere”. Leonard Bernstein avrebbe utilizzato la teoria chomskiana a fini musicali. E dalla sua teoria innatista è emersa persino una nuova scuola: il cognitivismo» (Meotti). «Le ripercussioni della “rivoluzione chomskiana” sono state profonde, e non soltanto nel campo della linguistica, ma anche nella psicologia e nella metodologia della scienza. Chomsky da un lato ha aperto nuove vie in una branca della matematica (la teoria formale del linguaggio) e dall’altro ha riaffermato il carattere mentalistico e astratto (invece che comportamentistico ed empiristico) della psicologia cognitiva e della linguistica» (Meotti). «È impossibile negare che Chomsky è un gigante che ha rivoluzionato il modo di intendere il linguaggio umano. Chi si avvicina a questa disciplina deve fare i conti con lui, punto. Ha scritto più di cento libri, e oggi è professore emerito al Mit. Nel suo secondo ruolo, di celeberrimo intellettuale pubblico, commentatore e guru anarchico-sindacalista, attivista per la giustizia sociale, è assai più controverso» (Anselma Dell’Olio). «Nel 1967, sulla New York Review of Books, l’allora non ancora trentanovenne Noam Chomsky […] pubblicava un lungo saggio sulla responsabilità degli intellettuali. Quel testo diceva, in fondo, una cosa semplice: occorre svelare le menzogne del potere e cercare di ristabilire la verità dei fatti. Era un potente manifesto che serviva alla mobilitazione della meglio gioventù d’America contro la guerra in Vietnam. Nel frattempo, il professore […] è stato al centro di varie e frequenti controversie; fu più volte indicato come l’intellettuale più influente del mondo (in genere il secondo classificato era il nostro Umberto Eco)» (Goldkorn). «Dalla fine degli anni Sessanta, Chomsky è l’emblema dell’intellettuale impegnato, sempre pronto a denunciare l’imperialismo “sinoamericano” e a chiudere più di un occhio sulle tirannie. E con più di una figuraccia. La difesa del regime genocida di Pol Pot, che fra il 1975 e il 1979 sterminò quasi un terzo della popolazione cambogiana, macchierà per sempre la sua reputazione. […] La peggior prova di sé, il guru del Mit l’ha data quando ha scritto che i tremila morti dell’11 settembre erano meno gravi dei sudanesi rimasti uccisi in un bombardamento ordinato da Clinton di una fabbrica a Khartoum. […] Questo guru della sinistra radicale, strana specie di anarchico libertario e anticomunista, con la moglie Carol avrebbe trascorso alcuni mesi a lavorare in un kibbutz: “Amavo quella vita, il lavoro fisico, ma mi disturbava l’omologazione ideologica, stalinista”, dirà Chomsky. Da allora il rapporto con Israele, soprattutto dopo la guerra del 1967, ha portato il linguista su posizioni favorevoli allo smantellamento dello Stato ebraico e alla collusione con i suoi più spietati nemici. […] A differenza degli altermondisti italiani, gli eroi di Chomsky non sono mai stati Lenin e Marx, quanto Adam Smith e Wilhelm von Humboldt. Per Chomsky il vero libero mercato non esiste: c’è, invece, la collusione di Stato e interessi privati» (Meotti). «In ogni saggio militante di Chomsky la tecnica di formazione del testo è identica: si confeziona un collage con testi e citazioni inoppugnabili, quasi sempre selezionati da fonti che non condividono il nichilismo del linguista: l’Economist, il Wall Street Journal, fonti del governo Usa, l’amato columnist inglese filo-arabo Robert Fisk. Dall’assemblaggio di “dati oggettivi”, Chomsky deriva un’analisi cupa, tetragona, sempre dalle stesse conseguenze: gli Stati Uniti tessono un crudele, infingardo, onnipotente, organizzatissimo complotto per depredare i Paesi poveri e i loro lavoratori, il mercato, il capitale, le banche e Wall Street strizzano profitti, il resto del mondo assiste, complice, supino o vittima, allo scempio, di cui manutengolo è Israele» (Gianni Riotta) • «Di solito vengono definite come terrorismo le azioni perpetrate dalla parte avversa alla nostra. Così, quando l’Is decapita qualcuno siamo tutti indignati. Ma lo siamo stati molto meno quando […] Israele ha invaso e bombardato Gaza, e l’attacco è stato così massiccio e distruttivo che la gente riusciva a stento a trovare pezzi dei cadaveri dei propri cari, tra le macerie delle abitazioni. Quell’attacco fu perpetrato con la scusa del terrorismo di Hamas e con le armi fornite dagli Stati Uniti. E quindi, essendo stato fatto da un nostro alleato, non l’abbiamo considerato come un atto di terrorismo. […] Il terrorismo jihadista cui assistiamo oggi è conseguenza dell’aggressione americana contro l’Iraq». Grande risonanza ebbe nel 2007 la «lode riservatagli da Bin Laden, che lo ha definito “uno dei più capaci fra quelli che stanno dalla vostra parte” per via delle tesi anticapitaliste esposte nel libro Hegemony or Survival, già oggetto dei complimenti del presidente venezuelano Hugo Chávez» (Maurizio Molinari) • «Le principali minacce per tutti noi oggi sono le catastrofi ambientali e la guerra nucleare. […] Per le “democrazie occidentali” una grave minaccia è il declino della democrazia radicale, per l’assalto neoliberista alla popolazione mondiale nella passata generazione: le democrazie formali diventano sempre più plutocrazie». Celebre la sua metafora della rana bollita, a significare la studiata gradualità con cui i potenti soggiogherebbero le masse: «Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole, e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°, avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone» • «“L’establishment politico centrista spesso chiamato ‘sinistra’ (come i democratici Usa, i Labour nel Regno Unito, i socialdemocratici in Europa) si è piegato all’ordine neoliberale voluto dalla destra e delle élite del secolo scorso. Quello di cui ha bisogno adesso la sinistra sono nuove forze politiche e sociali per combattere questo status quo ingiusto. Bisogna ripartire dai Sanders, dai Corbyn e dagli altri: adesso sono molto più organizzati che in passato”. Lei si è spesso definito anarchico. Lo è ancora, a quasi 90 anni? “Credo che la gerarchia e il dominio non si giustifichino da soli. E quando non riescono ad avere una giustificazione dovrebbero essere smantellati in favore di una società più equa e giusta: è il principio fondamentale del pensiero anarchico”» (Antonello Guerrera) • È uno dei 153 firmatari di A Letter on Justice and Open Debate, la lettera aperta contro le tendenze illiberali e censorie di destra (esplicito il riferimento a Trump) e di sinistra (la cosiddetta «cancel culture») pubblicata sul sito di Harper’s Magazine il 7 luglio 2020. «“Abbiamo due scelte: fare come Stalin e Hitler o difendere la libertà di parola, inclusa la libertà accademica”, dice […] Chomsky. […] “E io ho scelto di non fare come Stalin e Hitler. Dobbiamo difendere la libertà di parola per le opinioni che non approviamo”. […] Il suo nome si trova su Harper’s […] vicino a quello di conservatori come Francis Fukuyama. Chomsky non trova nulla di nuovo nella cancel culture. La sua è ancora la vecchia critica radical al sistema. “Ciò che ora viene chiamata cancel culture è la norma. Ciò che è nuovo e suscita rabbia è che gli obiettivi non sono più soltanto la sinistra. […] Se una società […] rifiuta di difendere la libertà di parola, si ridurrà al conformismo e alla passività. La soppressione delle opinioni non conformi serve a ciò che Antonio Gramsci chiamava ‘egemonia’. […] Non dovremmo essere sorpresi se le corporation, inclusa l’industria dell’intrattenimento, contribuiscono a imporre l’egemonia gramsciana”. Alla domanda se non sia deluso che molti vecchi compagni abbiano scelto la censura woke, Chomsky conclude: “Sono troppo vecchio per aspettarmi che coloro che si definiscono di sinistra si preoccupino della libertà di parola”» (Meotti) • Tre figli dalla linguista Carol Doris Schatz (1930-2008), con cui è stato sposato dal 1949 fino alla morte di lei. «La moglie […] aveva spiegato le modalità con cui i bambini apprendono il linguaggio nella primissima infanzia. Lei accademica di rango alla Harvard Graduate School of Education, lui guru al celebre Mit del Massachusetts» (Meotti). Nel 2014 si è sposato in seconde nozze con la traduttrice brasiliana Valeria Wasserman, di oltre trent’anni più giovane. «La vita senza l’amore è un affare piuttosto vuoto» • «Noam Chomsky costituisce un mistero culturale, politico e umano. Il New Yorker lo ha definito “una delle più grandi menti del XX secolo, ma anche una delle più odiate”» (Meotti). «Quando sento parlare di Ken Loach, di Noam Chomsky o di Thomas Piketty metto mano alla pistola e invoco un governo mondiale delle multinazionali» (Giuliano Ferrara) • «I suoi saggi di linguistica non parlano mai di politica, e i suoi saggi di politica non parlano mai di linguistica, ma ci si può chiedere se e come, a un livello profondo, il suo pensiero linguistico e il suo pensiero politico trovino un fattore comune. Così mi risponde Chomsky: “Forse, andando abbastanza in profondità, si tratta di speculazioni sugli aspetti fondamentalmente creativi della natura umana. Queste idee trovano espressione tanto nel pensiero sociale e politico di stampo libertario quanto nello studio del linguaggio. I primordi si possono rintracciare, andando indietro nel tempo, all’alba della rivoluzione scientifica, in Galileo, Cartesio e altre figure-guida del pensiero moderno. Le ramificazioni e le implicazioni sono numerose e significative ancora ai nostri giorni, in ambedue queste aree”» (Massimo Piattelli Palmarini).