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 2023  dicembre 29 Venerdì calendario

Biografia di Patti Smith (Patricia Lee S.)

Patti Smith (Patricia Lee S.), nata a Chicago (Illinois, Stati Uniti) il 30 dicembre 1946 (77 anni). Cantante. Poetessa. Artista. Musicista • «La Sacerdotessa del rock» • «È stata, negli anni Settanta, una delle star della nouvelle vague del rock americano. Vicina al punk, ma innamorata della poesia di Baudelaire» (Ernesto Assante) • Autrice di alcune pietre miliari della storia del rock. I suoi primi tre album, Horses (1975), Radio Ethiopia (1976) e Easter (1978), la resero un mito. Sua canzone più celebre: Because the Night (1978, scritta insieme a Bruce Springsteen). La sua People have the power (1988, scritta insieme al marito Fred Smith) è considerata un inno alla libertà e alla democrazia. Qualcuno ha paragonato il suo modo di esibirsi ai dolori del parto. Il New York Times ha definito i suoi concerti «una sorta di battaglia cosmica tra angeli e demoni» • «Ha l’età di una nonna, ma è più ribelle di un’adolescente» (Giuseppe Videtti) • «Avete presente un angelo, ottimista e di sinistra? (Gino Castaldo) • «Ha mantenuto una sua divisa che si fa beffe del lavorio estetico di tante colleghe. Lunghi capelli bianchi, sempre in nero, rughe in bella vista: ci mostra che il carisma è una faccenda per pochi» (Marinella Venegoni) • È stata amica di Jean-Luc Godard, Michael Stipe, Bob Dylan, Allen Ginsberg • Nel 2014 papa Francesco la invitò a cantare in Vaticano per Natale • Ottimista per natura • Non ha manager né agenti. È la segretaria di sé stessa. Lavora in proprio e consegna all’industria la copia finita. Nessuna interferenza, zero strategie di marketing «Ha un animo troppo puro per cadere nello stereotipo dell’artista maledetto o in quello del genio e sregolatezza: l’arte per lei si realizza solo con il duro lavoro quotidiano, umile e costante. È una regola che applica anche nelle relazioni umane, perfino nell’amore che cerca in ogni momento e in ogni cosa» (Antonio Monda) • Dice che al centro della sua vita vi sono la musica e il potere delle parole. «Metto la mia musica nei libri e viceversa» • Considera la sua arte una missione quasi religiosa e, per gli artisti, un dovere mettere a frutto i propri talenti • Quando le chiedono di definirsi, lei risponde: «Sono come un orologio, cioè composta di tanti pezzi che, messi insieme, danno qualcosa di esatto, o quasi».
Titoli di testa «Love is a ring, the telephone... È una notte di fine estate, e in attesa di una telefonata di Patti Smith è difficile non canticchiare Because the night. La musica è di Bruce Springsteen, di una dolcezza senza tregua, la canzone rotolò fuori dall’album cui stava lavoravando e la diede a Patti Smith, che trovò le parole per raccontare la complice tenerezza della notte, parole di chi ama la poesia francese dell’800 e vive a New York negli Anni 70 del Novecento: “L’amore è uno squillo, il telefono / l’amore è un angelo, travestito da lussuria”. Il telefono! Finalmente. “Hi, it’s Patti”» (Luca Mastrantonio, 7, 2/10/2023).
Vita Figlia di Grant e Beverly Smith: lui operaio, lei ex cantante jazz finita a fare la cameriera. Patricia è la prima di quattro figli (dopo di lei: Linda, Kimberly e Todd). Famiglia povera, a volte si fa fatica a mettere assieme il pranzo con la cena. «I miei però avevano un grande sense of humour, che ha reso migliori quei tempi difficili. È una cosa che mi sono portata anche sul palco: quando mi capita di fare un errore, mi metto a ridere e ricomincio da capo» (Laura Pezzino, Vanity 7/7/2022) • Famiglia originale, peraltro. Il padre è appassionato di extraterrestri. La madre, testimone di Geova. «Papà leggeva di storia, di filosofia, libri sugli alieni, sui segreti delle piramidi... era carburante per l’immaginazione. Come la Bibbia, con gli angeli, la Creazione, il misticismo dei sogni, la sensualità del Cantico dei Cantici, la poesia dei Salmi di David... Ciò che nutre l’immaginazione ci spinge a pensare le cose da soli, in modo indipendente. Così si diventa artisti, poeti, storici: vogliamo saperne di più». Accompagnava sua madre porta a porta, per fare proselitismo? «I testimoni di Geova lo fanno perché Gesù ha detto ai discepoli di dare da mangiare alle pecore, e quindi diffondere la parola sacra: vanno di porta in porta per aprire la coscienza della gente alle Scritture. Erano gli Anni 50... ricordo che certe persone ci tiravano secchiate d’acqua addosso!» (Mastrantonio) • Gli Smith si trasferiscono varie volte: da Chicago a Filadelfia, poi da Filadelfia in una località sperduta del New Jersey. «Un posto bellissimo dove vivere, ma dal punto di vista culturale non c’era nulla: non una galleria d’arte, non una biblioteca…» • Patti è autodidatta. Impara a leggere e a scrivere dalla madre, prima ancora di andare a scuola. «Mi dava gioia leggere sotto le coperte con una torcia elettrica, fino ad addormentarmi». «Avevo dieci anni. Ero infelice perché avevamo lasciato la città per la campagna, finché non ho esplorato i campi con il mio cane, e siamo arrivati a un campo in mezzo ai peschi, vicino a un vecchio fienile. Mi sono addormentata e poi, al risveglio, la prima cosa che ho visto sono state le nuvole. Mi sentivo in Paradiso». «Da piccola feci un incubo mai dimenticatao. Sognai che mia madre era con il mio fratellino, stava guarendo da una polmonite. “Non disturbarlo, stagli lontano”, mi fa. Io invece vado a vedere come sta, gli sfioro il braccino e accidentalmente glielo stacco. Mi sono svegliata terrorizzata, temevo fosse reale, cercai una bambola per staccare un braccio e darlo a mio fratello. Poi ho capito che era un sogno. Avrò avuto quattro o cinque anni, ma lo ricordo come fosse ieri». «I sogni hanno sempre significato molto per me e ne ho sempre fatti moltissimi. Da giovane, uno dei motivi per cui ho cominciato a scrivere è stato proprio il fatto che li volevo registrare» • «A sette anni ascoltai per caso alla radio la Madama Butterfly. Nel paesino dove abitavo, Puccini era uno sconosciuto. Me ne innamorai di colpo. Lui mi ha portato a Verdi, Verdi a Wagner e così via… Sono i miei fidanzati. Li amo tutti». Appena può, Patti va al cinema: gli italiani, gli svedesi, La dolce vita, Anna Magnani, il cinema di Godard. Legge i poeti francesi e si innamora di Rimbaud. Si appassiona ai quadri di Picasso, ai dischi di Charlie Parker, alla voce di Maria Callas • «La chiamata da parte dell’arte è stata fin da subito fortissima […] Oggi direi che la mia vocazione personale è la scrittura, quella pubblica è essere una performer». Le sue primissime composizioni sono preghiere. «Da bambina parlavo sempre con Dio anche senza chiedergli nulla. La preghiera, nella sua forma più semplice, è una forma di gratitudine. Per la vita, la natura, la terra, mia madre, mio padre, i miei figli» (Pezzino) • La giovane Patti è molto anticonformista. «Una sorta di maschiaccio, sempre in pantaloni, barricadera e poco incline a compromessi. Non si è mai curata, mai preoccupata di piacere, non ha mai nascosto i peli in eccesso su gambe e braccia» (Massimo Cotto, Mess 13/9/2019). «Da piccola non giravo attorno agli abiti da festa...» «Per la mia generazione ero alta, molto magra, non mi piaceva truccarmi, non mi facevo quelle acconciature con tonnellate di lacca, preferivo le trecce. Facevo quello che mi faceva stare bene con me stessa. Era una cosa che mi veniva da dentro e che non so spiegare» (Pezzino). «Il punto è che come artista devi saper andare oltre il genere, passare dal maschile al femminile, essere completo. Io ho i miei lati maschili e quelli femminili, che per esempio mi hanno permesso di essere madre, moglie. Posso cantare una canzone d’amore molto tenera, oppure recitare un pezzo rock molto maschile» (Mastrantonio). «Negli anni ’50 e ’60 dalle donne ci si aspettava che diventassero casalinghe, parrucchiere o segretarie. Non c’erano molte opzioni. Quando andavo a scuola, ai ragazzi veniva insegnato a guidare, a noi a cucinare - anche se io non ho mai imparato. Ho rigettato tutto e sono andata per la mia strada» (Pezzino) • Ha una figlia a 19 anni, data in affido (poi rientrata nella sua famiglia). «Quando arrivai in città avevo vent’anni, ero senza soldi e non conoscevo nessuno». «Mi spingevano motivi molto pratici, sbarcare il lunario. Sapevo però che volevo dedicarmi all’arte, per questo scelsi Manhattan e un’area precisa, il Village, dov’era in atto una rivoluzione culturale. Volevo entrare in contatto con quel mondo, non importa se per riuscirci dovevo fare la cameriera o la commessa in un negozio di libri, dove di nascosto dormivo perché non potevo permettermi una camera in affitto. Neanche mi sfiorava l’idea del successo, volevo consegnarmi al mondo dell’arte. Non era difficile nella New York dell’epoca, una città povera, sull’orlo della bancarotta, tutt’altro che costosa, smisuratamente stimolante e creativa”» (Giuseppe Videtti, Rep 15/5/2016) • Per diventare l’artista che è diventata l’incontro con Robert Mapplethorpe è stato cruciale. «Quando l’ho incontrato non avevamo un posto dove vivere, nessuno che credesse in noi... C’è una cosa che molti non sanno di Robert: suo padre era nell’esercito e sperava in una carriera militare per Robert, che alla scuola d’arte commerciale aveva una borsa di studio militare. Finché Robert a fine 1967 decide di non voler fare l’artista pubblicitario o il militare, per dedicarsi all’arte, rinuncia alla borsa di studio, il padre quasi lo rinnega e smette di dargli i soldi per l’appartamento. Così Robert è passato dall’avere una borsa di studio, un appartamento e l’approvazione del padre all’essere quasi per strada. Ed è stato allora che l’ho incontrato. Eravamo due che non avevano nulla, tranne il sogno comune di diventare artisti, per cui eravamo disposti a tutto, anche a grandi sacrifici». Se dovesse scegliere una vostra foto-talismano, una foto che racconta il vostro rapporto? «La gita a Coney Island, nel 1969. Avevamo pochi soldi, abbiamo mangiato un hot dog in due, ci siamo seduti, guardavamo l’oceano ed eravamo felici. Tornavamo sempre lì ogni anno quando potevamo. Anche quando avevamo molti più soldi e potevamo comprare cinque hot dog cercavamo di non perdere la felicità semplice di quell’hot dog condiviso. Anche quando abbiamo smesso di essere fidanzati è restato questo legame molto profondo». Come la prese quando lui le disse che era gay? «Non mi sembrava reale. Era il mio ragazzo, niente in lui mi aveva fatto pensare a qualcosa del genere, il suo modo di essere, la nostra intimità... è stato difficile da elaborare. Abbiamo attraversato tristezza, rabbia, accettazione e poi abbiamo cercato di tornare ad essere fidanzati, ma niente. Dopo un anno, mi ha detto che era sicuro, e io l’ho capito, processato. Siamo restati amici, l’arte ci ha aiutato. Lui è stato la prima persona a credere in me come artista. E io in lui» (Mastrantonio) • Patti ha 25 anni quando tiene il suo primo reading, nella chiesa di San Marco, sulla Bowery. Lo spettacolo si apre con un autoritratto: «Ha i connotati d’una ragazza-diavolo, ossuta come una santa, con la coscienza d’un serpente». Desta scandalo, perché dice: «Gesù è morto per i peccati di qualcuno / non i miei». «Era un riferimento critico non a Gesù ma alla Chiesa che ci faceva percepire Gesù come la persona responsabile di ciò che facciamo e faremo, colui che ci perdonerà, che è morto per i peccati futuri! Quei versi furono la mia Dichiarazione di Indipendenza. Se commetto errori, sono errori miei. L’essenza dell’arte, della poesia, del punk è questo, la libertà».
Amori Nel 1979 sposò il chitarrista degli MC5 Fred Smith, detto Sonic Smith (si disse che lei lo aveva scelto di modo da non dover cambiare cognome). Ebbero due figli: Jackson (n. 1982) e Jessica (n. 1987). Lui morì per un attacco di cuore nel 1994.
Politica Si è battuta per i malati di aids, la causa tibetana, i profughi palestinesi. Contro la guerra in Iraq, contro i cambiamenti climatici. Contro Bush e contro Trump.
Religione È stata vicina al buddhismo tibetano e al cattolicesimo. Ogni volta che entra in una chiesa, accende una candela.
Vizi Non beve. Non fuma. Evita cibi che possano causare reflusso, per tutelare le corde vocali. «Il mio unico vizio, che non lascio, è il caffè italiano».
Curiosità Vive con un vecchio gatto di nome Cairo • Ha dedicato l’album Gung Ho (2000) alla figura di Ho Chi Minh • Da giovane ha lavorato come operaia in una fabbrica • Adora gli affreschi di Giotto e le opere di Pier Paolo Pasolini • È una grandissima fan dei gialli televisivi. Le piacciono le storie di Sherlock Holmes. Ha fatto un cameo nella serie The Killing e sta scrivendo una detective story • Nel 2010, due anni prima del naufragio e di Schettino, andò in crociera sulla Costa Concordia: «Abbiamo mangiato molta pizza surgelata. Non ero mai stata in mare aperto così a lungo» • Il 10 dicembre 2016, a Stoccolma, ha ritirato la medaglia del Nobel per la letteratura assegnata a Bob Dylan • Il sindaco di New York Bill De Blasio le ha consegnato le chiavi della città • La Francia l’ha nominata Cavaliere nell’Ordre des Arts et des Letters • Modella di Yves Saint-Laurent, volto ufficiale per la collezione primavera/estate 2020 • Le piace fare il bucato. «Fare il bucato è un modo per rimanere con i piedi per terra» • «Oggi a New York è tutto costoso, tutti hanno una carta di credito, tutti vanno a fare shopping, tutti stanno al telefono» • I suoi figli non hanno avuto il cellulare fino ai sedici anni, non sono mai andati a scuola scollacciati o in minigonna • Usa Instagram, ma non è molto tecnologica. «Cerco di stare a galla, ma capisco come si sentivano William Blake e i poeti romantici ai tempi della rivoluzione industriale» • Dice di riconoscersi poco nei giovani di oggi. «Noi eravamo degli idealisti, loro sono dei materialisti. Vogliono fama e ricchezza ma non si concentrano sul lavoro. Il percorso logico è quello inverso: lavoro come un pazzo per diventare ricco e famoso» • «Ho avuto il privilegio di crescere in un periodo di rivoluzione culturale. E la musica ne è stata una componente. Forse non sono stata altro che una pedina, ma sono contenta, comunque, di aver contribuito a cambiare qualcosa» • In ogni suo libro, lei parla dei suoi morti. Che rapporto ha con loro? «Sono sempre con me. A volte sento di più la presenza di mia madre, altre quella di mio marito, di Robert o di mio fratello. Parte del mio rapporto con loro è memoria, parte vera e propria comunicazione, anche attraverso i sogni» Pensa che un giorno li rivedrà? «La mia filosofia su come sarà dopo la morte è molto personale e in evoluzione. Credo che alcuni andranno molto lontano e si fonderanno con una coscienza collettiva, altri resteranno più legati alla terra. Io penso che continuerò la mia avventura a contatto con le persone che ho amato» (Laura Pezzino).
Titoli di coda Ha vissuto gli anni della liberazione sessuale. Oggi si parla di genere più che di sesso. «Non ho molto da dire su chi oggi chiede “che pronome usi?” “Sei questo o quello?” “Sei bisessuale?”. Sono eterosessuale, ho avuto compagni maschi, sono la stessa di allora, degli Anni 70, ma non mi sono mai piaciute le etichette. “Sei femminista?” “Sei una cantante donna?” “Sei un’artista donna?” No, sono un’artista. Non voglio essere definita un’artista donna non più di quanto Marcel Duchamp o Raffaello siano etichettati come artisti uomini. Nella nota di copertina di Horses c’era scritto “oltre il genere”. Io sono così. Poesia o punk? Maschile o femminile? Quello che conta è la libertà. Non è l’orientamento o il genere a definirci, ma le azioni, come ti comporti con la Natura e gli altri. Prendiamo Robert. La sua sessualità, che mi ha coinvolto, non era la cosa più importante. Le cose più importanti erano la sua gentilezza verso di me e il suo amore per l’arte e... aspetti, ho una chiamata…». Pronto? Tutto bene? «Sì, scusi, mi stanno chiamando al telefono per il soundcheck del concerto. Domani la richiamo».