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 2023  dicembre 28 Giovedì calendario

Biografia di Alice Rohrwacher

Alice Rohrwacher, nata a Fiesole (Firenze) il 29 dicembre 1981 (42 anni). Regista e sceneggiatrice. Con il film d’esordio, Corpo celeste, nel 2011 ha vinto il Nastro d’argento come miglior regista esordiente. Al Festival di Cannes nel 2014 Grand Prix Speciale della Giuria per Le meraviglie e nel 2018 Prix du scénario per Lazzaro felice (ex aequo con Tre volti di Jafar Panahi). Nel 2023 candidata agli Oscar nella sezione cortometraggi con Le pupille. Ultimo film: La Chimera, presentato in concorso a Cannes nel 2023. «Nei film c’è la mia vita ma c’è anche molto di nuovo e sconosciuto».
Vita «Il cognome tedesco è dovuto al padre Reinhard, un apicultore di Amburgo che ha sposato una donna di Castel Giorgio, in provincia di Terni» (Antonio Monda) • Sorella minore dell’attrice Alba (1979) • «Ricordo il giorno in cui è nata Alice, la scala dell’ospedale, i piedi di mia mamma che mi aspettava alla fine della scala, la porta dietro la quale sapevo avrei incontrato mia sorella. Ricordo che ho abbassato lo sguardo e ho visto i due fiori ricamati sulla pettorina del mio vestito, uno giallo e uno rosso. L’arrivo di questa sorella era un’evento sconvolgente nella mia vita e forse non avevo il coraggio di salire quelle scale e scoprirla. Un altro ricordo è legato ad una fotografia in cui Alice aveva due anni, su un passeggino. Ricordo la passeggiata in cui fu scattata: lei che si emozionava guardando i fiori secchi, la sterpaglia autunnale, quasi le si mozzava il respiro. Pensavo “cosa ci vedrà mia sorella in questo seccume?”» (Alba Rohrwacher ad Arianna Finos) • «Crescere in campagna in Umbria, senza televisione, molto isolate chi ha aiutato a osservare la vita vera grazie al mondo del lavoro agricolo. Ma tramite mia madre, che è insegnante di italiano, sono arrivate anche la grande letteratura, l’arte, il mondo dell’interpretazione. La televisione è uno strumento molto prezioso, ma il rischio è di abusarne, come con il cellulare e internet. Occorre riuscire a mettere limiti. Io non ho la tv in casa» (ad Angela Calvini) • «Ha visto il primo film a 15 anni» (Valerio Cappelli) • «Mi sono laureata in lettere e poi ho seguito una scuola di documentario a Lisbona. Ma il cinema non è stato il primo amore né per me né per mia sorella, perché in famiglia non abbiamo avuto un’educazione cinematografica. Il cinema l’ho scoperto tardi, infatti i miei riferimenti culturali sono prima di tutto letterari e pittorici» • «Alba ha frequentato l’Accademia dei Piccoli di Firenze prima di diplomarsi al Centro Sperimentale, mentre Alice, dopo alcune esperienze come montatrice e direttrice della fotografia, ha debuttato nel documentario collettivo Checosamanca con l’episodio La Fiumara. È stata Alba la prima ad affermarsi, grazie a una serie di interpretazioni memorabili per i migliori registi italiani, e poi anche internazionali. [...] Mentre Alba era diventata uno dei nomi più popolari del cinema italiano, nel 2011 Alice realizza il bellissimo Corpo Celeste, che rivela una personalità assolutamente originale, ma radicata nella migliore cultura italiana, a cominciare da Ermanno Olmi e Pier Paolo Pasolini: un cinema in versi, più che in prosa. Sin dal debutto, è diventata una beniamina del Festival di Cannes vincendo il Grand Prix della Giuria per Le Meraviglie e il premio per la migliore sceneggiatura per Lazzaro Felice, tuttavia la sua popolarità non ha tuttora lo stesso riscontro in Italia. “Quello su cui sto riflettendo è sul perché l’Italia abbia messo la sordina” ha detto a proposito del film “come se non interessasse una storia che parla anche del rapporto con la terra, e con le radicali e strampalate trasformazioni che la attraversano. Sembra che senza adrenalina il cinema non abbia più presa sul pubblico. È curioso che un film recepito in tutto il mondo così ’italiano’, abbia avuto così poca risonanza qui da noi”» (Antonio Monda) • «Come è arrivato il debutto da regista Corpo celeste? “Avevo partecipato ad alcuni documentari in maniera indipendente e selvaggia. Quando è nata mia figlia Anita studiavo lettere classiche e non avrei mai pensato di fare la regista, il montaggio mi sembrava un modo bello per partecipare a un film da lontano. Quando Carlo Cresto-Dina mi propose di dirigere Corpo Celeste non avevo mai visto girare una scena di finzione. Ho chiesto ad Alba di venire e in un momento confuso e difficile lei, con la sua sola presenza, mi ha fatto mettere a fuoco ciò che stavo facendo. Poi ha finalmente recitato in Le meraviglie”» (ad Arianna Finos) • «La campagna umbra è dilaniata tra l’abbandono, l’industrializzazione selvaggia e la trasformazione in museo tematico: le energie politiche e culturali residue vengono impiegate nella salvaguardia degli antichi valori, che però sono solo uno strato. Che tristezza. Il lavoro in campagna non è morto né un idillio a cui rifarsi con retorica» (a Federico Pontiggia) • Sul rapporto con la sorella Alba: «Ci siamo influenzate a vicenda, anche se siamo arrivate al cinema attraverso percorsi diversi. Io attraverso il documentario, il desiderio di raccontare il reale, l’invisibile del reale. Lei invece ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Vivevamo in due città diverse, poi ci siamo ritrovate ed è stato una festa. E anche una sorpresa incredibile scoprirci così forti anche insieme nella nostra capacità di concentrazione. Quando siamo insieme diamo il meglio di noi nel lavoro. È un rapporto molto vero, in cui ci si dice tutto, anche le cose più difficili. Ma è una grande forza ricevere uno sguardo autentico. Spero di lavorare il più possibile insieme, è un grande piacere anche come attrice» (ad Angela Calvini) • «Amo il ritorno alle radici, i paesaggi arcaici e quelli urbani. Alla fine metto insieme tutto, mescolo le cose, perché la linearità del tempo non mi appartiene. Non considero il passato come luogo di nostalgia, al contrario, credo che tutto viri verso un luogo non finito. Molto prima di me, ci sono stati dei registi che sono riusciti a raccontare il passato come sorgente di un potenziale futuro, senza però tornare necessariamente indietro. Vedere come evolvono le cose è affascinante; rintracciare le cause e i veri responsabili delle trasformazioni altrettanto. Oggi per esempio si dà la colpa ai migranti di essere migrati, così come allora la si dava ai contadini per aver abbandonato le terre» (ad Andrea Giordano) • Nel 2019 il MoMA di New York (con Istituto Luce-Cinecittà) ha dedicato alle sorelle Alice e Alba la retrospettiva The Wonders • «È incredibile, Martin Scorsese si è innamorato di Lazzaro felice. Mi ha mandato una lettera molto bella, poi ci siamo incontrati a New York, mi ha abbracciato forte» (ad Arianna Finos) • A proposito della candidatura agli Oscar nel 2023: «Come vive questi giorni? “Con gioia. Sono qui con la montatrice Carlotta Cristiani, con il produttore Carlo Cresto-Dina. Alba non poteva venire, ho pensato allora alla persona più improbabile, mio padre, apicultore che vive isolato, è il regalo di compleanno”. Hollywood vista da dentro? “Straniante. È come essere in un luogo mitico e riempirlo di umanità. Sono qui con un film nato dall’amicizia: tra me e Cuarón, tra Elsa Morante e Goffredo Fofi»» (ad Arianna Finos) • «Nel suo nuovo La chimera affianca attori italiani e inglesi: il protagonista è Josh O’Connor. “Con il mio lavoro entro in una specie di simbiosi con i territori dove giro i film, lavoro sempre con interpreti locali, e nel nostro ultimo progetto, la storia di un archeologo inglese trapiantato in Italia, Josh ha dovuto imparare il dialetto di Blera”» (Arianna Finos) • «La chimera è un film nel più puro stile Rohrwacher. Da tempo, la regista ha trovato la sua voce, unica, e il suo stile. Una sorta di realismo magico, in cui si mescolano il mistero, la meraviglia, l’amore per la terra, la cultura contadina di una volta. Anche se, avverte, Rohrwacher, “io non mi sento nostalgica. Nel senso che non desidero un ritorno al passato. Anzi, sono radicata nel presente e curiosa del futuro. Per questo, anche se potrebbe sembrare una storia seria, romantica, un po’ genere Cime tempestose, il mio sguardo nel film è ironico”» (Enrica Brocardo) • «La Chimera è nato riflettendo sulla natura e sul rapporto che l’uomo ha con la natura. Da piccole io e Alba, che il territorio dell’Etruria lo conosciamo bene, sentivamo parlare spesso dei tombaroli. L’impressione era che quegli uomini non solo si appropriassero di oggetti preziosi, ma sfidassero anche la legge dei morti, dell’invisibile. Mi sono chiesta come mai si sentissero capaci di entrare là dentro, in tombe vecchie di 3000 anni. E la risposta è che non temono il sacro. Allora ho pensato al personaggio dello straniero, un uomo senza radici, di cui non sappiamo nulla, che inseguendo una leggenda cerca le sue radici proprio là: sotto terra» (a Ilaria Ravarino) • Sposata con Piero. Una figlia, Anita. Vive in un casale a Castel San Giorgio, in provincia di Terni.
Musica «Ho iniziato come musicista di strada, dal mondo dei cantastorie» (a Stefania Ulivi) • Suona la fisarmonica nella band di rock balcanico l’Orchestra del Comitato: «Facciamo concerti soprattutto nei paesini dei dintorni».
Religione «Sono laica e non sono battezzata» • «Qual è il suo rapporto col sacro? “La mia educazione è stata totalmente anarchica e al tempo stesso reale. Quando si cresce molto a contatto con la natura, come è successo a me figlia di un apicoltore, il sacro entra nella vita e nei gesti senza bisogno di ulteriori cerimonie. È evidente che ciò che si vede è collegato a ciò che non si vede. Personalmente non ho mai aderito a nessuna religione, ma ho studiato storia delle religioni quando frequentavo Lettere classiche all’Università di Torino. Penso che il rapporto dell’umanità con la spiritualità sia stato liquidato in una maniera molto frettolosa all’interno della struttura sociale, è stato rimosso, ma non all’interno degli individui”. Come è arrivata a trasporre tutto ciò nel cinema? “Mi affascina l’idea di vedere l’anima incarnata. Il mistico e filosofo russo Pavel Florenskji ha influenzato la mia crescita, anche l’idea di dedicarmi alle immagini, sia come contenitori di storie, ma anche come testimonianza di una fiducia. Io mi fido che quelle immagini possono trasmettere qualcosa che le trascende”» (ad Angela Calvini).