il Fatto Quotidiano, 25 gennaio 2024
Intervista a Paolo Rossi
Paolo Rossi, qual è il cancro del politicamente corretto?
La cultura oggi è l’oppio del popolo pubblico come lo era un tempo la religione, con tanto di norme, divieti e consigli sui comportamenti. In un mondo che ci vede sotto tensione ci vuole un pensiero unico, ‘per bene’, tranquillizzante, affinché poi ci si possa sfogare sulle emergenze, dal clima alla salute e prima di tutto la guerra.
Perché nasce e pasce il politicamente corretto?
Nessuna ordinanza o galateo farebbe presa se non ci fosse un terreno fertile. Una signora all’uscita di uno spettacolo mi dice: ‘Signor Rossi, lei è molto bravo, fa lavorare anche attori e musicisti di colore’. La ringrazio, e lei: ‘Se mi permette, però dà loro sempre la parte dei neri…’. Sono rimasto di sasso.
Paolo Rossi ammutolito?
Mi sono rifatto l’altra sera, dalla platea: ‘Non hai paura che tornino i fascisti?’, ho replicato al volo: ‘Perché, erano andati via?’.
Potenza del comico.
Siamo la cartina al tornasole per capire quanto il politicamente corretto sia stupido e cerchi di annullare la figura dell’attore. Se interpreto un razzista, un reazionario, un bigotto, devo prendere quel linguaggio, non posso fare altrimenti.
Lei è stato censurato in tv, per il discorso di Pericle e per Questa sera si recita Molière.
Io me la ridevo, a differenza di molti colleghi che si auto-crocifiggevano, dicevo ai miei compari: ‘Guardate domani in biglietteria!’. Schermi spenti e teatri pieni, ‘non facciamo le vittime, ce la siamo cercata ed è giusto così’. Anche se quando Travaglio ha fatto il suo intervento sulla censura al Molière, me la sono assai goduta.
Oggi impera l’autocensura.
E c’è un alto rischio di contagio: devi stare molto attento, io finora ho preso solo raffreddori, ma l’energia negativa la senti.
Via d’uscita?
Raccontare storie a volte deliranti, parzialmente inventate, perché gratta gratta sotto c’è un’ulteriore verità. È il mio mestiere, il mio dovere di contastorie. C’è in corso una guerra psichica, e la prima strategia è cantare l’inno del nemico e togliergli forza: anche per le parolacce, il tono è tutto. Nell’intercalare “cazzo” ci vuole stile, non puoi dirlo così, alla cazzo.
Dove punge di più il politicamente corretto?
Noi che facciamo questo mestiere siamo un mondo a parte, certi problemi della società degli “umani” li abbiamo risolti 500 anni prima. Parlo di famiglia allargata, stranieri ben accetti, i gay per l’amor di Dio andavi a cercarli, e le donne comandavano le compagnie o erano il governo ombra, si pensi a Isabella Andreini o madame Béjart per Molière.
Ma è peggio la correttezza o la politica?
Oggi la politica è società dello spettacolo, e parlar male dei colleghi (ride) non è corretto… Sono loro che si fanno i selfie e vengono applauditi nei talk show, ma non vorrei passasse per invidia la mia. Io sono stato candidato una volta, sinistra altrove più che oltre, ma quella mattina mi son guardato allo specchio e non mi fidavo, sicché non sono andato a votarmi. Un caso unico nella storia della Repubblica.
I suoi amici Fo, Strehler, Gaber, Jannacci oggi che farebbero?
Me lo chiedo spesso, Strehler – e forse pure Paolo Grassi – non si sarebbe risparmiato sulla nomina di La Russa nel Cda del Piccolo, Jannacci si sarebbe precipitato con la chitarra al Teatro dell’Opera. Ma i problemi oramai riguardano lo stesso Shakespeare: in questa finta non-conflittualità cambieranno anche Romeo e Giulietta, con le due famiglie che vanno subito d’accordo e finita la commedia. E non solo…
Ci dica.
Quando fai spettacolo, almeno alla vecchia maniera, fai controinformazione, sveli magagne, gridi che il re è nudo: e non solo è nudo, ma vi sta prendendo per il culo. Ebbene, lo dici alla gente, e la gente ti risponde ‘hai ragione’ e ride. Ma non devi, ti prendono per il culo e ridi?
Comicità e distruzione si prendono per mano, e l’edificante?
È un lavoro vostro, di voi “umani”. Noi tiriamo giù, e se volete davvero ridere nominatemi assessore all’urbanistica o al traffico.
I 30 chilometri all’ora in città?
Frega poco: io o vado a piedi, in tram o in taxi.
Alla Berlinale la troveremo in Concorso con Gloria!, opera prima di Margherita Vicario.
Faccio la parte di un prete abbastanza degenerato del 700, e tutto torna, perché anche in quel pensiero unico omologante c’era grande perversione: il musicista doveva diventare prete, la cantante monaca.
Con i Vanzina ha fatto Montecarlo Gran Casinò e Via Montenapoleone, ricordi?
L’errore: non di averli fatti, ma di averli presi con il senso di colpa. Provvedevano un sano intrattenimento, comicità di situazione senza parolacce, e i Vanzina sapevano girare: lo scriva, ho un debito, li rifarei di corsa.
E con il politicamente corretto che facciamo?
Gliela metto così, una ragazza molto presa, femminista mi ha interrotto Da questa sera si recita a soggetto: ‘Come mai in compagnia hai quattro uomini e solo due donne?’. Le ho risposto: ‘E chi ti dice che siamo quattro uomini?’. È venuto giù il teatro.