La Stampa, 25 gennaio 2024
L’energia di Baricco
Abbraccia il figlio Sebastiano, Alessandro Baricco. E più di uno in sala si commuove. Lo abbraccia e si fa abbracciare davanti al palco di questo salone della scuola Sant’Anna. Ed è esattamente in quel momento che lo scrittore di Novecento, di Oceano Mare, e di tante altre opere diventa soltanto «il papà».
Poi si offre ai dieci studenti che lo conducono attraverso un lungo ragionamento sull’energia dell’uomo.
Già, si doveva parlare di energia questa sera. E chi meglio di Alessandro Baricco può trasmetterla. A scuola avevano dedicato una tre giorni a questi temi, parlando di rinnovabili ed ecologia. Poi Francesco Barberis, il preside, ha avuto l’intuizione: «L’energia è anche quella dell’uomo. E sapere da Baricco da dove trae la sua per la scrittura era un tema affascinante». Ma c’è di più. Barberis è un docente che guarda avanti. Che sa misurare i ragazzi, percepire fragilità e forze. Sa inquadrarli come pochi sanno fare. E ha capito che i ragazzi del nostro tempo hanno spesso paure che frenano quell’istinto che dovrebbe essere proprio dei giovani, la voglia di affrontare il mondo, scoprire, mettersi in gioco. E gli è sbocciata una suggestione che chiama in causa lo scrittore. E Lenny Boodman T. D. Lemon Novecento.
A chi gli domanda se non abbia mai avuto paura di «scendere dalla nave» Baricco racconta di se stesso. Ed intendi che no, quel terrore non lo ha avuto. Neanche adesso, neanche ora che la sua vita ha incrociato il tunnel della malattia: «La malattia come tante altre cose sono venti laterali. Che possono essere molto forti. Se sei lì che scali una montagna, arriva il vento e perdi magari l’equilibrio. Ma resti appeso con una mano sola. Così nella vita reale quando scrivi e arriva il vento continui con una mano sola, ma sai che un graffio arriverà. Eppure resti appeso. Magari, nella vita, cadi giù, ma continui a scrivere. E scrivere dà un punto di vista nella vita differente». Poi va oltre e racconta un pezzo in più, tira in ballo Abel, il libro pubblicato a novembre, l’ultimo in ordine di tempo. Dice: «L’ho scritto durante la malattia è, un po’, figlio di quel mondo lì».
Applausi. Ma qui stasera le curiosità sono tante. E lui si sottrae poco. Gli domandano in quanto tempo si scrive un libro e la risposta è immediata: «I libri si scrivono in una settimana. Abel, l’ultimo, c’è voluto un po’ di più. Ma oltre i due anni è quasi una malattia. Poi uno si innamora dei libri perché ti danno vigore. Nasce tutto lì».
Qui, stasera, però si parla in particolare di Novecento. Della genesi. Si aspettava un successo che dura da ventitré anni? La risposta è no: «Ho lavorato per un anno ad un film ed è stato in sala per un week end. Ho scritto Novecento in tre settimane, e non è ancora passato oggi. Qualche tempo fa qualcuno mi ha detto che non c’è sera che da qualche parte non sia portato in scena Novecento».
Ma poi qui si parla di scrittura. «Scrivere lo può fare chiunque. Qualsiasi barriera che ci sia tra un umano e la scrittura si può smontare. Scrivere è un gesto antico che abbiamo nel sangue. Ho iniziato con la macchina per scrivere perché a mano io prendo solo appunti. Trovo più poetico il taccuino che il cellulare di mio figlio. Ma fa parte del mondo e del modo in cui sono cresciuto. Ciò che conta è che il messaggio sia coerente. Ti aiuta a regolare l’energia, a volte anche incontrarla. Il cammino da fare è quello della postura. Quando scrivi puoi correggere, puoi tornare indietro. Nella vita no».
Se chi è qui stasera potesse, gli ruberebbe ogni segreto. Ogni sfumatura del suo essere scrittore. Perché anche nell’era di chat Gpt lo scrivere è vita. «La scrittura ha le sue leggi, ma è un materiale come il marmo, il legno, la pasta del pane» dice Baricco. «Un goal di Messi è dinamico, lo vedi magari da 4 parti. Ma la scrittura la vedi da ogni parte che vuoi. Si lavora con gli umani che abbiamo incontrato. O di cui conosciamo storie. Ho scritto di mio bisnonno che andò a cercare in campagna una giovane contadina da sposare. La trovò e la sposò. Ma non perse l’abitudine di viaggiare. Stava via tanto, ma prima di lui arrivava sempre un gioiello per sua moglie. Ecco quella scena l’ho elaborata e l’ho messa, anche se in altri termini, nel mio primo libro».
Poi è tempo di parlare di letteratura. Di libri. Di storie. Resta in sottofondo Novecento, libro scritto per un amico attore. Inseguendo un monologo teatrale, nato durante una cena a tre con l’attore e Gabriele Vacis. Eè è un continuo legare fili dei ricordi. Parlare di parole. Di attimi. Di storie. Emozionare.
Come ha emozionato quell’abbraccio davanti al palco. Che vale un libro. —