la Repubblica, 25 gennaio 2024
I giochi di guerra di Putin
È vero che Putin si sta preparando alla guerra con le Repubbliche baltiche e la Nato? La questione è al centro delle discussioni di politici, giornalisti ed esperti militari. Su tutti l’americano Institute for the Study of War (Isw), i cui collaboratori sono dell’avviso che il presidente russo stia ponendo le basi per un’ulteriore esacerbazione anche del conflitto con l’Europa.
La dichiarazione di Putin al centro dei ragionamenti relativi a un possibile attacco è la seguente: «Quanto accade in Lettonia e nelle altre Repubbliche baltiche, dove i russi vengono espulsi e mandati oltre i confini, è, come capirete, una vicenda molto seria, che riguarda direttamente la sicurezza del nostro Paese».
Sulla scia di questa frase, i ministri della Difesa delle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) hanno deciso di creare una zona comune di difesa alle frontiere confinanti con Russia e Bielorussia. L’idea prevede di costituire fortificazioni difensive, il cui obiettivo sarebbe quello di contenere il nemico.
Innanzitutto, però, è necessario inquadrare il contesto in cui Putin ha rilasciato la dichiarazione che ha gettato scompiglio nelle cancellerie europee e provare a comprendere cosa sta succedendo nei Paesi baltici visto che, nei fatti, sono loro ad aver provocato la reazione del capo di Stato russo.
Dopo l’inizio della guerra in Ucraina, gli esponenti politici baltici hanno iniziato con tenacia e determinazione una lotta contro tutti e tutto quello che c’è di russo sul loro suolo, a causa della vicinanza al nemico, la Russia, appunto.
I primi destinatari dell’assalto sono stati i cittadini che si identificano come russi di etnia. Tra questi figura anche il pensionato 82enne Boris Katkov, residente in Lettonia dal 1966, che Riga ha deciso di espellere. Katkov, ancora lo scorso secolo, aveva ottenuto il passaporto di non cittadino lettone e nel 2000 la cittadinanza russa. Un cittadino anziano come lui è stato inserito nella lista delle persone non grate a causa della sua “pluriennale e sistematica attività negli interessi della Russia”.
Katkov è il presidente dell’associazione per la collaborazione fra Lettonia e Russia, fondata nel 1999, una piattaforma per cittadini russi che si pone l’obiettivo di promuovere l’interazione con la Federazione Russa (non è dato sapere di più sulle sue attività). Ciononostante, secondo i servizi di sicurezza statale di Riga, la presenza di Katkov sul territorio lettone era diventata inammissibile. In Lettonia sono rimasti sua moglie, i figli e i nipoti. Il fatto che tutta la sua famiglia si trovi al di là del confine non ha impedito ai politici di dare seguito alle decisione presa.
Con questo non sto assolutamente dicendo che Katkov non conosce peccati, che la sua biografia è candida e non presenta ombre che possano fungere da pretesto. Ma si parla di un personaggio che ha trascorso tutta la vita in Lettonia, il cui allontanamento, malgrado l’età, la situazione familiare e il passaporto russo, non può non sembrare una rappresaglia.
Katkov è solo uno delle migliaia di cittadini russi residenti nella Repubblica baltica che non hanno superato l’esame di lingua lettone. Dall’inizio della guerra in Ucraina proprio il conseguimento della prova linguistica è requisito indispensabile per prolungare il permesso di soggiorno. È per questo che la dichiarazione di Putin ha una sua logica.
Non sto negando il fatto che, sulla base di quanto vediamo, Putin si vede come una sorta di “recuperatore delle terre russe” (o, per correttezza, di quelle sovietiche). Tuttavia, prima di prepararsi alle ostilità e intimorire la popolazione europea paventando un’ulteriore invasione della Russia, bisognerebbe prendere atto di come vanno le cose al fronte, qual è l’andamento della guerra e come viene sovvenzionata.
Ad oggi la Russia non dispone delle capacità per iniziare operazioni militari in altri Stati oltre a quello ucraino. Può a malapena contare su un numero sufficiente di uomini (i soldati russi caduti sono tanti, secondo alcuni 800 o mille al giorno) e l’industria bellica esprime già il massimo potenziale per garantire quanto serve per il conflitto con Kiev.
Senza contare che, secondo quanto riportato dagli stessi militari, lasciati al freddo, affamati e picchiati dai comandanti, chi viene mandato al fronte spesso non ha munizioni, né corredo militare, né kit di pronto intervento.
Qualsiasi congettura sullo scenario di un’aggressione ai Paesi Nato è allarmistica. È evidente che i Paesi confinanti con la Russia sono spaventati e, in virtù della loro posizione geografica, devono tenere in considerazione qualsiasi circostanza, consapevoli che Mosca li vede come finestra sull’Europa. Me erigere fortificazioni difensive potrà al massimo arginare i flussi migratori, ma non rappresenterà mai un deterrente per un eventuale attacco russo.
Al contempo non è possibile escludere del tutto l’aggressione, dal momento che gli esseri umani non sono in grado di divinare il comportamento di una persona fuori di sé o in preda al delirio. Ma questo non significa che al Cremlino lavorano emeriti cretini che, fregandosene delle reali capacità militari, possono muovere guerra ai membri della Nato. Al contrario, nella capitale russa, sono consapevoli che le conseguenze di una simile azione sarebbero nefaste. Il conflitto tra Russia e Ucraina è una cosa. La guerra contro la Nato un’altra.
Non sono solo i Paesi baltici ad essere affetti dalla paura che Putin possa aggredire. Anche la Germania ha deciso di prepararsi all’evenienza. Secondo la Bild, la prima fase dello scontro potrebbe già arrivare a febbraio di quest’anno, nel momento in cui la Russia mobiliterà altri duecentomila uomini, che garantiranno il successo dell’offensiva in Ucraina la prossima estate.
Il tabloid tedesco riporta anche che, quando l’Ucraina “perderà a causa della mancanza di aiuti occidentali e dell’attacco su larga scala da parte dell’esercito russo”, allora si verificherà un’escalation anche in Europa.
Non ci sarà alcuna mobilitazione in Russia, almeno finché non sarà rieletto Putin come presidente del Paese per i prossimi sei anni. E anche qualora la guerra in Ucraina dovesse finire domani mattina, la Russia avrebbe bisogno di molto tempo per riprendersi in toto e quindi non sarebbe in grado di sostenere una guerra su ampia scala.
Malgrado l’ostentazione di coraggio e la propaganda, la vita in Russia oggi è tutt’altro che semplice. E dopo la fine della guerra con l’Ucraina dovrà affrontare un lungo e difficile periodo di ripresa, senza contare che nemmeno Putin è eterno e un giorno, per ragioni naturali o meno, non ci sarà più. E il grande e terribile uomo non è più così tanto giovane.
Tuttavia, secondo gli analisti militari occidentali, la capacità di combattimento dei Paesi europei è attualmente ai minimi e le forze armate sono impotenti.
Se misuriamo la prontezza dell’esercito di un Paese nell’eventualità di una guerra in base alla mole di fondi che viene destinata agli eserciti, sembra proprio che l’Europa non abbia le carte in regola. E sappiamo cosa potrebbe accadere se domani dovesse scoppiare una nuova guerra qui da noi.
Avendo all’uscio un vicino minaccioso come la Russia, ovviamente, dobbiamo essere sempre pronti a tutto. E se le nostre capacità non sono sufficienti, toccherà potenziarle. Quanto prima.
(Traduzione di Andrea Bertazzoni)
L’autrice è figlia della giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006