Corriere della Sera, 23 gennaio 2024
Ferrarella spiega perché non si tratta di un bavaglio ma solo di una legge sbagliata
L’imminente approvazione anche al Senato di una nuova norma, che delegherà il governo a vietare sino all’udienza preliminare la pubblicazione in forma integrale o per estratto (lasciando possibile solo il contenuto) dei motivi degli arresti e dei sequestri illustrati dai gip nelle ordinanze cautelari, realizzerà una legge sbagliata nella teoria e persino controproducente nella pratica per i cittadini che millanta di voler tutelare, ma non sarà una «legge bavaglio».
Anche perché bavaglio è un’espressione da adoperare con pudore, in confronto sia ai bavagli e rischi a cui sono sottoposti giornalisti in Turchia o in Polonia, sia a pregresse proposte normative italiane (ad esempio il ddl Berlusconi-Alfano nel 2008) che di un arresto giungevano a vietare di riferire finanche il contenuto.
Non riuscirà a essere «bavaglio» anche senza che i giornalisti abbiano bisogno di violare apposta la legge con la disobbedienza civile; e persino senza nemmeno che debbano barcamenarsi a dosare modiche quantità di virgolettati per sfuggire all’ipocrita distinzione tra estratto (vietato) e contenuto (ammesso) su spezzoni di frasi che, vere o false, complete o travisate, verranno ugualmente fatte circolare (a seconda dell’interesse di cordata) da questo o quello degli ormai non più pochi legittimi detentori (indagati, magistrati, avvocati, forze dell’ordine, periti, cancellieri, staff di comunicazione di partiti e imprese).
Affinché non sia bavaglio, invece, basterà paradossalmente prendere in parola la legge: e quindi continuare a scrivere e normalmente virgolettare (anziché le ordinanze di misure cautelari emessa dai gip) le richieste dei pm di misure cautelari, che per definizione dettagliano i medesimi punti fondamentali riportati poi dai gip nelle ordinanze. Infatti, anche quando la norma caldeggiata dall’onorevole Enrico Costa vieterà la pubblicazione del testo delle ordinanze di misure cautelari, le sottostanti richieste dei pm – non essendo né «atti di indagine compiuti dal pm e dalla polizia giudiziaria», e neanche «richieste del pm di autorizzazione al compimento di atti di indagine» – resteranno pubblicabili perché fuori dal perimetro dell’articolo 329. Sicché i giornalisti prenderanno dalle richieste cautelari, anziché dalle ordinanze oggetto di divieto, i medesimi virgolettati dei contenuti salienti delle ordinanze.
Anche l’altra norma già per metà approvata nel ddl Nordio, che vuole vietare a forze dell’ordine e pm di riportare dati dei non indagati «salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione», in concreto non potrà ottenere il voluto «coprifuoco» informativo sui terzi. Perché i dati irrilevanti, e quelli sensibili su sesso e salute, vengono già oggi (e dal 2017) depurati per legge nelle richieste dei pm, tanto che il giudice, se li vede ancora, ha il potere di restituirli al pm; mentre i riferimenti a persone non indagate, ma funzionali alla comprensione delle indagini in corso, continueranno appunto a essere indicati dalle polizie ai pm, e poi dai pm nelle richieste ai gip.
Tanto per fare un esempio mesi fa a Milano riguardante proprio la presidente del Consiglio non indagata, si continuerà a scrivere il «Giorgia sa tutto» con cui un esponente FdI, subentrato a un collega nel Consiglio Comunale di Brescia, spiegava a compagni di partito la contropartita (un incarico al figlio come assistente) con la quale l’europarlamentare Carlo Fidanza aveva convinto il dimissionario a cedere il seggio («Se serve per levarlo dalle scatole, sono disponibile a dargli un vitalizio di mille euro al mese fino a fine legislatura, magari mettendo sotto contratto non lui ma uno/una che lui ci dice»). E i giornalisti lo continueranno a scrivere perché è interesse pubblico per i cittadini sapere da Meloni se ritenga il proprio dichiarato anelito alla legalità compatibile non solo con la permanenza nell’Europarlamento di chi per quel reato di corruzione ha patteggiato la pena sospesa di 1 anno e 4 mesi, ma anche con la già trionfalmente dichiarata ricandidatura ai primi posti delle liste FdI per le prossime elezioni europee. Tutto senza che per i giornalisti ci sia bisogno nemmeno di invocare il salvagente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, che in tante sentenze (come nel 2018 sulla Turchia nel ricorso di un libraio processato dopo un attentato al negozio) ribadisce come pubblicare intercettazioni di politici, ma anche di privati e persino se nemmeno poi condannati, non violi il diritto al rispetto della vita privata (nel quale è incluso quello alla reputazione) nel caso in cui la notizia sia di interesse per la collettività.
Il fatto che la legge in cantiere fallisca il proprio scopo non toglie che la maggioranza tradisca una mortificante idea del diritto dei cittadini di essere informati (per decidere) su questioni di interesse pubblico, e quindi del corrispondente compito dei giornalisti. I quali però per contrastarla, senza inflazionare l’allarme-bavaglio, avrebbero due modi. Da un lato, guardarsi allo specchio autocritico e richiamarsi a una attenta autodisciplina nel maneggiare i man mano depositati materiali giudiziari, in modo da mettere a fuoco in modo più corretto e completo le posizioni delle persone coinvolte. E, dall’altro lato, sfidare gli aspiranti censori sul loro stesso terreno, cioè il terreno della strumentale premura di cui si ammantano: impedire che la presunzione di non colpevolezza sia sfregiata dal dilagare della sola versione accusatoria veicolata dagli arresti.
Se davvero sta loro a cuore, allora Costa e Nordio, invece di togliere, aggiungano: invece di togliere dalla legge del 2017 la piena pubblicabilità delle ordinanze d’arresto, aggiungano per legge (senza affidarsi poi unicamente allo scrupolo del singolo giornalista nella penombra del finto proibizionismo dei rapporti con le fonti) la medesima piena pubblicabilità ad esempio anche delle ordinanze del Tribunale del Riesame, che a distanza di pochi giorni confermano o annullano le misure cautelari in base agli argomenti difensivi. Sfida che i fautori dei divieti non potranno non raccogliere, pena disvelare il reale segno dei loro progetti.