la Repubblica, 23 gennaio 2024
Trent’anni dopo la bomba all’Olimpico
Il 23 gennaio di trent’anni fa i mafiosi in trasferta a Roma fallirono l’attentato che avrebbe portato all’uccisione di quasi cento carabinieri in servizio allo stadio Olimpico. Se fosse riuscito sarebbe stato il più grave della storia repubblicana, paragonabile solo alla strage di Bologna del 2 agosto. Con questa azione terroristico-mafiosa, fortunatamente non riuscita, si chiuse la stagione delle bombe che i corleonesi avevano aperto nel 1992, quando dichiararono guerra allo Stato.Una stagione sulla quale ancora oggi si indaga e in particolare su questa ultima azione fallita che si intreccia con esponenti politici emergenti che proprio in quel periodo fondarono un nuovo movimento. Il fallito attentato si colloca tre giorni prima dell’annuncio ufficiale di Silvio Berlusconi di scendere in campo in politica. Come ha raccontato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, che aveva raccolto le confidenze del boss Giuseppe Graviano, quella bomba all’Olimpico avrebbe dovuto avvantaggiare Berlusconi e Marcello Dell’Utri.Questa ipotesi investigativa si basa su una serie di elementi raccontati dall’ex mafioso ai magistrati secondo il quale Graviano tra la fine del 1993 e il 21 gennaio 1994 avrebbe chiuso un accordo politico con il cavaliere e il suo amico Dell’Utri. Spatuzza, coinvolto nelle bombe di Roma, Milano e Firenze, aveva contestato al capomafia di Brancaccio il taglio terroristico, non mafioso, delle stragi, ma il boss lo rassicurò: «Ho nelle mani un accordo politico che se va in porto sarà un bene per tutti», frase che conforta e motiva Spatuzza a proseguire nella campagnastragista. Graviano, dunque, aveva una prospettiva politica e le stragi – come ipotizzano i pm – sono state richieste nell’ambito di questo disegno politico, tanto che Giuseppe Graviano sarà il solo a decidere il momento in cui eseguire l’attentato all’Olimpico. Dietro a questa bomba che doveva uccidere i carabinieri ci sono verità ancora non dette. Come quando Graviano dice a Spatuzza di aver chiuso l’accordo (politico), a quel punto l’ex mafioso controbatte dicendo che la strage dell’Olimpico non serve più, proprio perché, secondo la logica riferita da Graviano, «accordopolitico e stragi marciavano insieme». E Graviano, lungi dal contraddire Spatuzza, gli fa presente che l’Olimpico andrà comunque fatto, «per dare il colpo di grazia», in quel momento.Le dichiarazioni di Spatuzza devono essere lette correlativamente al contesto istituzionale, caratterizzato dalle dimissioni del governo Ciampi il 13 gennaio 1994 e dallo scioglimento anticipato delle Camere il 16 gennaio 1994, da parte del Capo dello Stato, sette giorni prima dell’attentato all’Olimpico, che sarebbe avvenuto a Camere sciolte, vale a dire in un momento nel quale è senza ritorno la strada che conduce alla costituzione di un nuovo assetto parlamentare e di un nuovo Governo.La strage avrebbe costituito uno strumento di pressione di straordinaria portata nei confronti di tutte le forze politiche presenti al momento sulla scena, e attive nella fase di transito dalla precedente alla nuova legislatura.Ecco cosa avviene il 23 gennaio 1994. Spatuzza e altri mafiosi del clan di Brancaccio sistemano una Lancia Thema imbottita di esplosivo, più di 120 chili, all’Olimpico, in viale dei Gladiatori. Hanno scelto il posto con cura, tanto che si sono assicurati il parcheggio ideale per tempo, tenendo il posto con un’altra macchina. È proprio da lì che deve passare il pullman con i carabinieri che andranno a prendere servizio allo stadio.Arriva il momento decisivo, ilmafioso Salvatore Benigno preme il pulsante, non succede niente. L’innesco non si aziona. Un guasto. Come in stato di trance, Benigno preme ancora, e poi ancora. Però i carabinieri sono passati, se esplodesse adesso la Thema farebbe una carneficina di passanti e tifosi. Spatuzza scuote il suo compare dallo stordimento, l’attentato è fallito. Fuggono via da Roma. La strage non viene ripetuta.Il 27 gennaio Giuseppe e Filippo Graviano, latitanti, vengono arrestati a Milano. Se i corleonesi di Cosa nostra avessero realizzato la strage prima dello scioglimento del Parlamento,non si sarebbe proceduto da parte del presidente della Repubblica allo scioglimento delle Camere, perché sarebbe stato indispensabile e prioritario assicurare la continuità di una forte e incisiva azione del Governo (quello presieduto da Ciampi o da altri). In questo modo una strage realizzata nei mesi precedenti avrebbe consolidato il Governo e la maggioranza e avrebbe rinviato a tempo indeterminato lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni.Gli inquirenti sostengono che a beneficiare degli effetti dello stragismo, concluso trent’anni fa, sarebbero stati Berlusconi e Dell’Utri, quest’ultimo ancora indagato dalla procura antimafia di Firenze.