http://www.avellinesi.it/plebiscito.htm, 22 gennaio 2024
De Sanctis e il plebiscito al Sud
Dopo la vittoriosa spedizione di Giuseppe Garibaldi alla conquista del Regno delle due Sicilie, che costrinse il giovane re Francesco II Borbone ad allontanarsi da Napoli, l’eroe di Caprera, proclamatosi dittatore, costituì il suo governo provvisorio nominando con suo decreto del 9 settembre 1860 Francesco De Sanctis governatore di Avellino.
Iniziò così l’impegno politico diretto dell’illustre critico letterario di Morra, padre della critica letteraria italiana, che poté tornare in patria dall’esilio a Torino e a Zurigo, dove aveva insegnato letteratura italiana presso il Politecnico, e dopo il carcere nelle prigioni <http://it.wikipedia.org/wiki/Prigione> di Castel dell’Ovo <http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_dell%27Ovo> dal ’50 al ’53 per la sua partecipazione insieme ad alcuni suoi discepoli ai falliti moti insurrezionali del ’48.
Egli stesso con la consueta umiltà ricordò nel cap. XIII del “Viaggio elettorale”, il reportage del giro compiuto in alta Irpinia nel cuore dell’inverno nel collegio di Lacedonia, in cui era candidato per l’elezione alla Camera dei Deputati, alla vigilia di un difficile ballottaggio con Serafino Soldi, la fredda accoglienza ricevuta ad Avellino, dove capitò all’improvviso di notte senza aver comunicato l’ora dell’arrivo. L’usciere della prefettura, che non lo conosceva, gli chiese:“E lei chi è? ? Sono De Sanctis, ? E chi è De Sanctis ? ? È il governatore, ? Ah. E a questo nome formidabile il povero usciere si levò il cappello, con tante scuse”.
Ben diverso invece fu il suo incontro, subito dopo la nomina, con Avellino, dove il neogovernatore, giunto da Napoli in carrozza, fu accolto al rione Speranza nei pressi del casino Solimene appena fuori città con indicibile esultanza dal sindaco Domenico Capuano e dai liberali più noti della città (Solimene, Barra, De Concilj, Plantulli, Donatelli, Vetroni), che lo scortarono a piedi al Palazzo dell’Intendenza,dove gli offrirono un sontuoso pranzo di gala nelle sale sfarzosamente addobbate (Vincenzo Boccieri “De Sanctis inedito”).
Quando De Sanctis prese possesso della sua carica, Avellino fu teatro di una serie di episodi e di denunzie di delatori, espressione dell’ostilità al nuovo regime. Il Principato Ulteriore era privo di ogni controllo, il che consentiva alla reazione di farlo invadere da gente facinorosa, pronta ad abbandonarsi ad atti di violenta ferocia. Inoltre ad Avellino soldati garibaldini, addetti al mantenimento dell’ordine, per la loro indisciplina avevano accresciuto il disordine. Egli era contrario ad inserire nei ranghi dell’esercito piemontese tutti i garibaldini, che avevano chiesto di arruolarsi, ma che non avevano dato prova sicura di lealismo monarchico, ma solo coloro che si erano distinti per onestà e fede politica.
Il governatore aveva bisogno di soldati per mantenere l’ordine pubblico e, senza abusare mai dei poteri illimitati conferitigli, si impegnò subito a reprimere questi rigurgiti reazionari e a fronteggiare i primi atti di brigantaggio allo scopo di calmare gli animi e ristabilire l’ordine, compiendo un lavoro politico di necessaria epurazione dei funzionari legati al vecchio regime e usando equilibrio e comprensione per non inasprire gli animi ed attuare un’opera di pacificazione. Si recò a Lapio, Montemiletto, Solofra, accorse a Sant’Angelo dei Lombardi per sedare una grave sommossa scatenata dai reazionari, fece una breve sosta a Morra per salutare il vecchio padre.
Il 27 settembre fu nominato Ministro o Direttore della Istruzione Pubblica a Napoli, ma, malgrado il prestigio questa nomina, si dispiaceva di dover lasciare la sua terra, con cui sentì forte il legame e dove, come scrisse nella lettera del 26 ottobre al cugino Giovanni,. “Ci son venuto con indifferenza, ma me ne parto con dolore…..Era sì bello per me dedicarmi al bene ella mia provincia”.
Volle mantenere l’incarico di governatore oltre il termine, fino alla votazione per il plebiscito di annessione per la costituzione del Regno d’Italia indetto per il 21 ottobre, che riteneva una prova fondamentale per la nascita del nuovo stato.
Caldeggiò l’esito positivo della votazione invitando il popolo irpino a partecipare in massa votando a favore dell’annessione della provincia al Piemonte.
Aveva infatti una fede profonda nel principio monarchico-unitario, ma nutrita sempre da una viva sensibilità democratica e da una visione fortemente morale della vita politica.
Con un vibrante proclama il 16 ottobre 1860 il governatore De Sanctis enunciò i pericoli di un’opposizione al referendum, che avrebbe comportato un voto per l’ignoranza, per la povertà e per l’arbitrio del governo borbonico, il governo “delle bastonate”. Così scriveva “Il Governo borbonico aveva detto: facciamo il popolo ignorante, povero e corrotto. Un popolo ignorante non ragiona, ma ubbidisce. Un popolo povero pensa al pane e lascia fare a noi. E quando un popolo è corrotto, nelle sue basse passioni di campanile, dimenticherà la libertà e la patria”. Il sì all’annessione, invece, avrebbe assicurato istruzione, ricchezza, indipendenza e grandezza della patria, libertà. Nel proclama per il referendum erano già contenuti i cardini ideologici di uomo di centro-sinistra o sinistra moderata e le linee programmatiche di futuro ministro della pubblica istruzione nei gabinetti Cavour e Ricasoli: “Quando avremo scuole popolari, scuole tecniche per gli operai, scuole agrarie, scuole industriali, allora si apriranno nuove vie per guadagnarci la vita e acquisteremo coscienza della nostra dignità”.
Il risultato del plebiscito, che si tenne nel Seminario vescovile di Avellino il 21 ottobre,
raggiunse sorprendentemente una schiacciante maggioranza a favore della monarchia sabauda e non deluse le aspettative del governatore, che comunicava al ministero che “usciva dalle urne napoletane l’Italia”. Il plebiscito poteva quindi diventare per la nostra popolazione un’occasione di riscatto. E gli Irpini votarono quasi unanimemente come aveva loro suggerito il De Sanctis.