la Repubblica, 22 gennaio 2024
La storia Marco,il trans incinto
Di Marco (nome di fantasia) conosciamo la storia: è un ragazzo transgender, che soffre di disforia di genere e che quindi sta portando avanti il proprio percorso di transizione, dal femminile al maschile. Avendo già cambiato i documenti all’anagrafe, che adesso lo riconosce legalmente come uomo, stava per affrontare l’intervento per rimuovere l’utero e le ovaie, fino a quando dei controlli più approfonditi non hanno svelato che Marco è già al quinto mese di gravidanza, a sua insaputa: infatti, un corpo biologicamente femminile sottoposto a terapia ormonale con testosterone, non dovrebbe poter essere fecondabile.
In questi giorni si sta decidendo sul da farsi, in quale struttura portare Marco, un ospedale che sia specializzato sia per le gravidanze che per le cure che necessitano i corpi trans. Ho letto in giro sui social molta preoccupazione e stupore per la situazione di questo ragazzo, ma anche tanta confusione sulle parole e il rispetto che una situazione come questa merita. Non stiamo parlando qui di “maternità” ma di “paternità” o, al massimo, di “genitorialità”. Non sappiamo nemmeno se Marco voglia o meno interrompere la gravidanza. E ancora, il fatto che lui sia stato fecondato da un uomo non significa (come ho letto da qualche parte) che abbia avuto dei ripensamenti riguardo al suo percorso. Lui, nonostante la situazione, è e rimane un ragazzo transgender. Può essere etero, gay o bisex, e se lo specifico è perché noto che temi come l’identità di genere e sessualità vengono ancora non compresi appieno.
I corpi transgender, come tutti gli altri corpi, se non hanno fatto interventi di rimozione di testicoli o utero e ovaie, possono procreare. Ho imparato leggendo e informandomi che, nel caso si voglia diventare genitori, la cura ormonale sostitutiva deve prima essere interrotta e poi bisogna monitorare la situazione. Ma il caso di Marco fa scoprire quanto le strutture, come la società stessa, siano impreparate alle vite transgender, non previste. È una situazione che svela come la società non preveda i corpi transgender. Praticamente è come non esistere, senza leggi che ci tutelino concretamente o diritti.
Vi immaginate quanto può essere stressante vivere così? Ve lo dico io. Scrivo in prima persona, in qualità di donna transgender. Ho iniziato il mio percorso di transizione a 18 anni. Nel 2014 ho fatto l’operazione per cambiare il sesso, ma per poter avere il cambio didocumenti a quei tempi la legge costringeva i corpi transgender alla sterilizzazione. Ora per fortuna non è più necessario ricorrere alla sterilizzazione per cambiare il nome sui documenti, ed è questo il caso di Marco. Qualcuno nei commenti in rete ha scritto che quella di Marco è una situazione nuova, una storia “imprevista”.
Ma noi non siamo imprevisti, siamo sempre stati qui, solo che a differenza delle altre persone a noi di diritti ce ne hanno concessi pochi, una tantum, come degli esseriumani di serie B, e spesso è capitato che le persone transgender fossero costrette a nascondere la loro identità di genere, per poter vivere tranquillamente in società.
È tempo che la società sia pronta a cambiare per permettere alle persone transgender di vivere normalmente come meritano. Mando tutto il sostegno e supporto possibile a Marco per quello che si troverà a vivere e ad affrontare, dicendogli che non è solo e che esistiamo e brilliamo insieme. Comele stelle nella notte.