Corriere della Sera, 22 gennaio 2024
Le consulenze e la sanità
Partiamo da un dato incontrovertibile: uno Stato per gestire le sue risorse nell’interesse dei cittadini deve disporre di personale qualificato in grado di valutare le necessità, analizzare i mutamenti in corso, prendere decisioni conseguenti e assumersene la responsabilità. Da una quindicina d’anni questi compiti vengono sempre più spesso esternalizzati. Prendiamo la politica sanitaria: dopo mesi di lettura di documenti, gare di appalto, accordi quadro e raccolta di informazioni da fonti qualificate, si scopre che a muovere le fila dell’intera macchina sono i big della consulenza globale. Il ricorso al loro supporto dovrebbe essere straordinario e circoscritto ad acquisire competenze per poi procedere in autonomia. Avviene l’esatto contrario e, infatti, i loro contratti vengono reiterati costantemente. Vediamo con quali costi e risultati e come, in definitiva, i consulenti finiscono per sostituirsi non solo ai manager interni all’istituzione, ma all’istituzione stessa. Sullo sfondo una domanda: la pubblica amministrazione è piena di incapaci o non vuole assumersi responsabilità?
I Piani di rientro
Nel 2005 viene stabilito per legge che le Regioni con i conti sanitari in rosso devono rientrare e hanno l’obbligo di farsi certificare i bilanci da un advisor. In campo entra la società di revisione contabile americana Kpmg, prima scelta dal Mef senza gara, poi con tre gare nel 2011, 2014 e nel 2018, e con l’ok del Mef le Regioni gli affidano anche la riorganizzazione della spesa sanitaria. Kpmg lavora anche in cordata con altri due colossi: Ernst&Young e Price Waterhouse Coopers (PwC). Dal 2007 al 2019 Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise e Sicilia sborsano in consulenza 85,4 milioni di euro. Il 12 gennaio 2021 la Corte dei conti scrive: perché pagate Kpmg quando per aiutare le Regioni a spendere meglio i soldi c’è l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) che ha i tecnici competenti dedicati? Per tutta risposta, con la gara del 14 novembre 2022, scatta un nuovo affidamento a Kpmg per altri 8,17 milioni euro per Lazio, Campania, Calabria, Sicilia; e a Intellera (costola di PwC) per 3,16 milioni di euro per Abruzzo e Molise. I risultati? I conti migliorano, ma vediamo come. Per esempio, il Lazio passa da un debito di 1,2 miliardi a un attivo di 84 milioni, però nello stesso periodo riceve dallo Stato 2,49 miliardi in più. La Campania da un debito di 917 milioni va in attivo per 27 milioni, ma dallo Stato arrivano 1,6 miliardi in più. E via così. Nonostante le consulenze, al 2020 Abruzzo, Molise e Calabria non sono riuscite nemmeno ad azzerare il disavanzo e anche le altre sono ancora in Piano di rientro. Nel frattempo, guardando i dati del rapporto Oasi 2023, scopriamo che le cure alla popolazione: 1) risentono del taglio al numero di medici (dal 2009 ad oggi in Campania, Sicilia e Calabria sono in calo tra il 22% e il 14%, contro un aumento del 10% per l’Emilia-Romagna e dell’8% per la Toscana); 2) non raggiungono i livelli essenziali di assistenza in Molise, Campania, Calabria e Sicilia.
La digitalizzazione
Uno degli assi strategici del Pnrr è la transizione digitale. Per la Sanità vuol dire rinnovare i sistemi informatici di ospedali e Asl. Per farlo il Pnrr dà 2,1 miliardi così divisi: 1,45 miliardi di euro per la digitalizzazione dei Dipartimenti di Emergenza, Urgenza e Accettazione; 600 milioni per lo sviluppo del fascicolo sanitario; 80 milioni per la formazione di competenze digitali e 30 milioni per la reingegnerizzazione del Nuovo Sistema Informativo Sanitario a livello locale. Per tutto il sistema sanitario pubblico vuol dire digitalizzare le informazioni sanitarie sui pazienti (cartella clinica e fascicolo sanitario) e organizzare il lavoro di conseguenza. Nel 2021 la cordata formata da Kpmg, McKinsey, Ernst & Young si aggiudica la gara per la consulenza. Spesa: 185 milioni di euro. Le Regioni (tranne Valle d’Aosta e Basilicata) chiedono a queste società di fornire esperti per istruire il personale sanitario e operatori indipendenti per monitorare l’avanzamento lavori nelle singole Asl. Ma leggendo i piani dei fabbisogni si scopre che è richiesta anche la parte strategica e di governance e, cioè, stabilire cosa serve, come gestire i progetti, e analizzare i flussi informativi per rendere l’assistenza più efficiente. Cosa vuol dire in concreto?
Politica sanitaria e «Big Con»
I Big data, con le caratteristiche degli assistiti e le prestazioni erogate, devono essere raccolti e analizzati per monitorare e programmare le cure: per farlo vengono richiesti studi di fattibilità per la creazione di database regionali e reportistica sulla situazione attuale. In sintesi: è nelle loro mani la definizione dei nuovi modelli organizzativi delle cure che fanno seguito alla digitalizzazione, compreso il fabbisogno di medici e infermieri e l’individuazione dei criteri in base ai quali definire i tetti di spesa. Detto in parole povere: i consulenti decidono la politica sanitaria.
La confusione è grande
Le attività delle «Big Con» si svolgono all’interno degli uffici e delle direzioni sanitarie o delle Asl. Sono ammessi sub-appalti: vuol dire che le stesse società di consulenza vanno a cercare sul mercato le competenze che non hanno. Del resto la loro esperienza primaria è quella di revisori contabili. Quindi le Regioni pagano un consulente che poi ingaggia altri consulenti e si tiene pure il know how, oltre ad una mole di informazioni sanitarie dal valore inestimabile per disegnare strategie di marketing. Veniamo ai soldi: questi 185 milioni di progetti relativi alla sola consulenza sono interamente finanziati dal Pnrr, ma per una buona fetta (65 milioni sui 148 che siamo riusciti a esaminare) le Regioni hanno deciso di prenderli da fondi regionali. Nel caso della Campania vengono pagati i consulenti con i soldi destinati a curare i pazienti. Una scelta che denota una certa confusione.
Il ministero della Salute
Sempre per la digitalizzazione, nel 2022 per 28 milioni di euro si affidano a Kpmg, McKinsey e Ernst & Young anche il Dipartimento per la trasformazione digitale e il ministero della Salute. Nonostante sia un compito istituzionale del ministero definire e programmare la direzione di marcia del servizio sanitario nazionale, con linee guida e decreti, il lavoro viene fatto svolgere a soggetti privati facendoli entrare nel cuore del sistema sanitario nazionale. L’oggetto specifico di questi servizi di supporto non è individuabile se non per i macro-ambiti; non si conosce (perché non risulta pubblicato) di che cosa specificamente questi consulenti si siano occupati in concreto, né risulta pubblicato alcun report sugli esisti delle attività svolte. E non è la prima volta. Dal 2007 il ministero della Salute paga 7,4 milioni a Pricewaterhouse per farsi dire quali prestazioni offrono e a chi le assicurazioni sanitarie, per fare previsioni sui bisogni di salute del futuro incrociando i dati che arrivano da varie piattaforme e per sviluppare, in generale, il sistema informativo sanitario. Altri 4,6 milioni vengono dati nel 2023 a Intellera, Deloitte e Arthur Andersen sempre per fare previsioni sui bisogni di salute futuri.
Lo svuotamento di competenze
Eppure il ministero ha i suoi direttori generali, i dirigenti, i funzionari, gli uffici legali, come pure le Regioni, che dal Veneto alla Campania, passando per Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Puglia hanno pure le società in house con centinaia di esperti e informatici. A cosa servono, se le decisioni poi vengono delegate alle società di consulenza per sfornare il pacchetto completo? E se va male non è colpa di nessuno. Un meccanismo paradossale che mina alla base la creazione di valore, quello che passa dall’investimento sulle competenze dei manager interni all’amministrazione.